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Non tutti i bastardi sono di Vienna

di Romano Guatta Caldini - 27/12/2011

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Profondo conoscitore, nonché traduttore, di Ezra Pound, Andrea Molesini - ultimo vincitore del Premio Campiello - si è affermato nel panorama letterario italiano con l’opera “Non tutti i bastardi sono di Vienna” Ed. Sellerio pag. 363. Un titolo spiazzante, ma che rende bene l’idea dell’atmosfera in cui il lettore andrà ad addentrarsi, una volta girata l’elegante copertina blu che contraddistingue tutte le pubblicazioni della casa editrice siciliana, Sellerio.
Romanzo storico, ispirato da “Il diario dell’invasione” di Maria Spada, una pro-zia dell’autore, “Non tutti i bastardi sono di Vienna” è l’affresco di un anno di guerra, con tutti i suoi morti, la fame e le piccole miserie umane che ogni conflitto si lascia alle spalle. Un romanzo - questo - in cui il patriottismo e la rivalsa, contro i soprusi dell’occupante straniero, trasudano da ogni pagina, attraverso le parole del giovane Paolo Spada, voce narrante.
La guerra, si sa, non guarda in faccia nessuno; nel suo turbinio di violenza vengono fagocitati tutti, senza distinzione di censo. Il 9 novembre 1917, Villa Spada - dimora signorile situata nel comune di Refrontolo, a pochi chilometri dal Piave - viene requisita dalle truppe d’occupazione austriache, dopo la disfatta di Caporetto. Da qui in poi inizierà un intreccio esistenziale fatto di passioni, rancori, patriottismo e antichi odi sopiti che la guerra, con la sua crudeltà, riporterà alla luce.
Da buon traduttore, Molesini conosce bene il peso delle parole, la forma, il loro inserimento in un determinato contesto. Così, pagina dopo pagina, l’autore incasella frasi in dialetto veneto, accanto ad una prosa colta, formando un intreccio che ben rappresenta l’umanità del romanzo. Sullo sfondo, delle vicende che vedono protagonisti i signori Spada, si stagliano le figure miserabili di contadini affamati, di donne del popolo dalla parlantina svelta e, soprattutto, di soldati del Kaiser che come unni depredano ogni cosa, rubando anche l’innocenza delle giovani figlie del popolo. Incipit dell’opera, infatti, è lo stupro di alcune minorenni, tenute segregate nella chiesa del paese da quattro soldati austriaci. Dallo sdegno - a fronte dell’offesa subita - si farà strada il desiderio di vendetta contro un ospite indesiderato che giorno dopo giorno, come un predatore rapace, si avventa sulla popolazione ed i suoi pochi mezzi di sussistenza.
Nonostante l’invadenza delle truppe austriache, gli ufficiali di alto rango, che risiedono nella Villa, pur consci del loro ruolo guida nell’esercito occupante, non dimenticano il bon ton che il lignaggio impone, soprattutto di fronte alle donne della famiglia Spada. Paradossalmente, essendo all’apparenza un romanzo di guerra, ci si aspetterebbe che fossero gli uomini i protagonisti dell’opera, ma questo non è quello che traspare dalla lettura. L’elegante nonna Nancy, la fiera zia Maria, la procace Giulia: sono queste le personalità femminili che spiccano - sulle figure maschili - per la loro innata fierezza, per la loro preparazione culturale. Dall’altra parte dell’universo femminile, che il romanzo ci presenta, troviamo le servette, le contadine, tutte donne indurite dal lavoro prima e dalla guerra poi, quasi uomini in gonnella che, se accostate alle signore di Villa Spada, ci donano un affresco straordinario della società – nelle campagne trevigiane – d’inizio “900.
Forse non è un caso che l’autore - in molte delle sue pagine – abbia sottolineato i contrasti insiti nella società del tempo. Con la prima guerra mondiale si chiudeva un’epoca e all’orizzonte si profilavano oscuri cambiamenti inerenti gli assetti sociali. E di tali trasformazioni le donne di casa Spada erano consce, soprattutto Maria che, al pari del Principe di Salina nel celebre Gattopardo, esprimerà il proprio rammarico per il volgere di un’era, sottolineando la stanchezza esistenziale di una casta che non aveva più nulla da dare.
“I nostri marchesi, i nostri duchi, i signori e tutti quei loro Von...relitti alla deriva, non hanno, non avranno, più le forze da gettare nella battaglia. (…) Saranno loro, i sergenti, a guidare tutta questa miseria che i nostri modi cortesi offendono. Non abbiamo più lacrime né sorrisi, vogliamo solo riposare”, esclama Maria, rivolgendosi al padre ormai rassegnato di fronte al tramonto, non solo della sua epoca, ma anche del mondo, per come lo aveva conosciuto.
Non è, comunque, la rassegnazione a farla da padrona in questo romanzo, ma bensì lo spirito di vendetta mosso dalla violenza fatta alle ragazze del paese, dai soprusi che quotidianamente subisce la popolazione e dalle migliaia di vittime italiane che miete la guerra al fronte. S’innesca così un altro conflitto, meno cruento, ma non certo meno pericoloso: lo spionaggio, dietro le linee nemiche, di cui la famiglia Spada sarà protagonista attiva. In questo bailamme fatto di codici segreti, fughe nei boschi e spie dalla dubbia fama, s’erge cristallina la figura del giovane Paolo Spada che, in un solo anno, conoscerà la guerra, l’amore, la fame, la gelosia e la morte.
In sintesi, di primo acchito, si direbbe che questo è un romanzo di guerra, ma non è così, anche a detta dell’autore; in un’intervista rilasciata a Simone Visentini che gli faceva presente le affinità fra “Non tutti i bastardi sono di Vienna” e le opere di Lussu e Malaparte, Andrea Molesini ha sentenziato: “Sicuramente Lussu è stato un autore a cui ho ammiccato. Ma attenzione, questo non è un romanzo di guerra!”.