Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le persone più vere sono quelle che non giocano a nascondino con se stesse

Le persone più vere sono quelle che non giocano a nascondino con se stesse

di Francesco Lamendola - 05/01/2012


 

  

Nel film di Howard Hawks «Rio Bravo», del 1959, la ballerina e giocatrice d’azzardo Feathers (l’attrice Angie Dickinson) capita in un paesino del West nel mezzo di una guerra fra lo sceriffo Chance (John Wayne), impegnato a ristabilire l’ordine e la legge, e il ricco possidente Bourdette, che vorrebbe imporre le sue regole con la violenza.

Rimane affascinata dal solitario, burbero scapolone con la stella di latta, il quale può contare solamente su un ex pistolero alcolizzato, su un vecchio sciancato e petulante e su un giovanissimo tiratore, capitato anch’egli lì per caso; e, senza tanto girare attorno ai propri sentimenti, prende l’iniziativa e lascia capire a Chance quel che prova per lui.

Lo fa con estrema onestà, senza nulla chiedergli e accettando tutti i rischi, anche fisici, che la situazione comporta; infine, una volta che sono stati debellati i “cattivi”, si fa trovare in calzamaglia, con le chilometriche gambe nude, per far vedere sino in fondo che razza di donna era, quando si esibiva nei saloon, affinché l’uomo possa decidere se prenderla con sé, in un gesto di estrema lealtà e sincerità: eccomi, se mi vuoi, io sono questo e non altro, prendimi o lasciami andare.

Raramente le persone possiedono questa franchezza, a monte della quale c’è una capacità di guardarsi dentro con occhio limpido e di vedersi come si è realmente, senza trucco e senza inganno; la maggior parte di noi tende a barare al gioco, magari senza rendersene conto.

Specialmente la psicologia femminile tende alla dissimulazione e alla rimozione dei propri istinti e sentimenti; sono rarissime le donne che, come la Lupa di Giovanni Verga, sono capaci di dire a un uomo: «Te voglio»; certo la Lupa, che seduce il genero sotto gli occhi della figlia, dei nipoti, del prete, del maresciallo e di tutto il paese, non è un esempio di virtù etiche; ma quanto a franchezza, ne avrebbe di cose da insegnare alle smorfiose signore che tirano il sasso e nascondono la mano, per ipocrisia borghese e per un malinteso senso della propria onorabilità e rispettabilità.

Si prenda il caso delle “indemoniate di Loudun”, che sconvolse l’opinione pubblica francese nel 1634: il più celebre caso di possessione demoniaca di massa verificatosi nella storia moderna. Tutto era partito da un desiderio sessuale frustato della superiora delle orsoline, Jeanne des Anges, che, dopo aver tentato invano di entrare in rapporti diretti con il parroco Urbain Grandier, invitandolo a divenire il confessore del convento, cominciò a sostenere che egli aveva operato una magia nei suoi confronti e che le inviava dei diavoli per piegarla ai suoi voleri libidinosi, insieme alle sue consorelle.

È degno di nota il fatto che Jeanne non aveva mai conosciuto Grandier di persona, non lo aveva mai visto in faccia; sapevo soltanto, perché lo dicevano tutti, ch era un bell’uomo, aitante e pieno di fascino; e che godeva di fama di libertino impenitente, avendo intrecciato relazioni amorose con molte nobildonne del luogo. Ebbero inizio degli esorcismi che si intrecciarono a una oscura vicenda di natura politica, aggravata dai pessimi rapporti che Grandier aveva con i maggiorenti della sua parrocchia; alla fine egli venne condannato per stregoneria e mandato al rogo.

Questo è il classico esempio di come l’incapacità di leggere nel segreto del proprio cuore può spingere le persone a riversare sugli altri i propri fantasmi, attribuendo a loro le proprie ossessioni e finendo per accusare il prossimo di quei desideri che non hanno il coraggio di riconoscere in se stesse: la condanna di Grandier fu il rogo sacrificale nel quale Jeanne lavò i propri sensi di colpa per essersi abbandonata a sfrenate fantasie sessuali, facendone pagare il prezzo a un altro essere umano ed evitando di confrontarsi con la propria parte oscura.

Naturalmente non solo le donne sono capaci di simili comportamenti, ma anche molti uomini; una novella di Boccaccio, quella del re Carlo d’Angiò (giornata X, novella VI), la dice lunga al riguardo, sotto il profilo psicologico. Il vecchio re, vittorioso in guerra, vorrebbe portarsi a letto una bellissima giovinetta; recede dal suo intento solo dietro consiglio di un ministro, dopo di che fa il bel gesto di maritare onorevolmente la fanciulla, insieme alla sorella di lei.

Invece di riconoscere la propria pulsione, egli recita la parte del benefattore disinteressato e si lava così la coscienza dai sensi di colpa: ma se avesse appena un po’ di onestà intellettuale, dovrebbe riconoscere che le “onorevoli” nozze da lui organizzate per le due fanciulle sono state soltanto un ripiego, dopo che aveva compreso non la sconvenienza, ma il pericolo di esporsi all’odio dei suoi sudditi, seducendo le giovinette in un momento in cui la situazione politica era precaria, avendo appena pacificato il regno.

Quanta ipocrisia, quanta cattiva coscienza, quanta incapacità di guardarsi dentro onestamente, si nascondono dietro certi bei gesti, dietro certi comportamenti apparentemente nobili e disinteressati, dietro certe forme di generosità e certi slanci cavallereschi.

Si può dire che la falsa coscienza domini il modo di essere di un grandissimo numero di persone e che i comportamenti virtuosi nascano, tutt’altro che raramente, da conflitti interiori di cui non si ha il coraggio di riconoscere l’origine e con i quali non si è capaci di fare i conti, perché non si saprebbe sopportare l’immagine di se stessi messa così a nudo, dopo avene strappato via i fronzoli delle apparenze e tutte le svariate maschere che si indossano per sembrare altro da quel che si è realmente.

Non vogliamo dire, con questo, che sia cosa meritoria quella di agire in maniera sfrontata, tutt’altro; ma che bisognerebbe riconoscere la natura di quel che si prova e la vera origine di certi gesti e comportamenti che si adottano, perché questo ci aiuterebbe ad essere più leali e consapevoli di noi stessi; e, soprattutto, ci aiuterebbe a non prendere la via più facile, che è quella di incolpare gli altri delle nostre pulsioni inconfessabili.

Quanti individui hanno avuto la vita distrutta, la reputazione macchiata per sempre, non per quello che avevano fatto, ma per quello che avevano desiderato altre persone nei loro confronti; persone che, non avendo il coraggio di riconoscere quel che provavano, si sono liberate dal peso della cattiva coscienza, attribuendo agli altri desideri tutt’altro che limpidi.

E quello che vale nell’ambito della sfera sessuale, vale anche in tutti gli altri ambiti della vita: dalla politica agli affari, dalla vita pubblica a quella privata, dalla giovinezza all’estrema vecchiaia; come è facile scaricare all’esterno il fardello del proprio senso di colpa, come è semplice accusare il prossimo, invece che fare i conti con la propria anima.

In questo senso si potrebbe persino affermare che sono preferibili le persone che compiono il male sapendo di compierlo e chiamandolo con il suo nome, che non le persone che compiono il bene in modo ipocrita o perché inconsapevoli di se stesse: perché le prime possiedono almeno il coraggio di guardarsi per quel che sono, mentre le altre no: e il loro è, in se stesso, un comportamento etico, l’altro invece non lo è, pur avendone tutte le apparenze.

Non è escluso che un’anima malvagia, ma capace di lealtà verso se stessa, possa, a un certo punto, provare vergogna e rimorso del proprio modo di vivere: non è forse questa la situazione descritta magistralmente da Alessandro Manzoni, allorché parla della conversione dell’Innominato? Ma una persona che non sappia guardarsi dentro sino in fondo, senza ipocrisie e senza finzioni, non potrà mai provare né pentimento, né rimorso: potrà solo mentire, mentire e ancora mentire, sia con se stessa, sia con gli altri.

Può darsi che gli altri, dall’esterno, vedendola pregare con il collo storto e praticare tante azioni caritatevoli, tengano in altissima stima una persona del genere e arrivino a reputarla una santa o poco meno che una santa; ma ciò dovrebbe solo ricordarci quanto siano illusori i giudizi umani e quanto poco sappiamo circa i misteri del cuore umano, a cominciare dal nostro, per non parlare poi di quello altrui.

In questo senso, crediamo, Cristo diceva che, nella vita eterna, molti degli ultimi diventeranno i primi, e molti dei primi verranno retrocessi negli ultimi posti: perché quello che a noi è dato di vedere è solo la superficie delle cose, mentre Dio soltanto conosce il segreto dei cuori e può leggervi con assoluta chiarezza e trasparenza.

Invero, ci sono molto marciume, molto cattivo odore, molta falsa coscienza, dietro certi comportamenti, dietro certe persone che protestano a gran voce di non aver mai fatto “cattivi pensieri” e accusano gli altri di averli nutriti nei loro confronti; specialmente quando un invito, sia pure tacito e magari parzialmente inconscio, era stato fatto verso di loro, era giunto a destinazione ed era stato raccolto.

Non vi è niente di più brutto di una persona che incoraggia l’altro ad accendersi di passione verso di lei, che gioca a mandare dei messaggi di seduzione più o meno espliciti, per poi mostrarsi sorpresa, scandalizzata e magari pervasa di sacra indignazione, allorché viene avvicinata sul piano intimo; per esempio, accusandolo di aver rovinato una bella e disinteressata amicizia, “contaminandola” con bassi desideri carnali e con vili concupiscenze: e si tratta di situazioni che, nel gran teatro del mondo, sono assai più frequenti di quel che non s’immagini.

Come sarebbe meglio se ciascuno si abituasse a leggere dentro di sé con chiarezza e rettitudine; quale eccellente palestra sarebbe per la propria crescita spirituale, per l’affinamento della propria vista interiore; quale senso di maggiore armonia caratterizzerebbe la nostra vita, restituendoci pace con noi stessi, chiarezza e lealtà nei rapporti con gli altri…

Ma, si obietterà, come potremmo stare meglio con noi stessi, se riconoscessimo la nostra parte oscura?

Ciò non provocherebbe forse un colpo irreparabile alla stima che abbiamo di noi stessi, al nostro equilibrio e al nostro legittimo desiderio di serenità?

Rispondiamo, a chi la pensa in tal modo, che sarebbe come dire che il viandante può camminare meglio per la sua strada, tenendosi il chiodo confitto nella suola della scarpa; quel chiodo non lo costringerà forse a zoppicare penosamente, non gli imporrà forse un continuo disagio, una segreta sofferenza, anche se gli altri non si accorgessero di niente (ma la verità è che gli altri non sono ciechi e vedono benissimo, il più delle volte, cosa si nasconde dietro certe ripulse improvvise, dietro certi improbabili soprassalti di “virtù” e di “purezza”)?

Meglio, molto meglio sarebbe, per quel viandante, fermarsi sul ciglio della strada, togliersi la scarpa ed estrarre il chiodo che si è infisso nella suola; meglio, molto meglio per lui rendersi conto che il suo piede è piagato e bisognoso di essere medicato, piuttosto che continuare a sforzarlo, a torturarlo, a produrre la fuoriuscita di sangue e pus: e tutto questo solo per non ammettere con se stesso, e per non far vedere agli altri, che un chiodo lo sta straziando senza posa.

Certo, ci vuole una certa dose di coraggio: mostrarsi nudi e sofferenti, innanzitutto davanti a se stessi, è cosa che richiede una disposizione alla verità, un qualche allenamento ad anteporla a qualunque altro bene, magari apparente, a cominciare dal rispetto e dall’approvazione degli altri, ottenuti però con la finzione e con l’ipocrisia.

Ma è qui che si vede chi è davvero uomo, chi è davvero donna e chi, invece, non è altro che una marionetta, una creatura di paglia, un castello di menzogne.

È qui che si vede la differenza fra l’essere e il sembrare, fra l’essere e l’apparire; ed è qui che si vede di che stoffa siamo fatti e quanto ci possiamo fidare di noi stessi.

La vita è bella, ma non è una facile passeggiata per alcuno;  è un cammino aspro, talvolta perfino pericoloso, come può esserlo, per l’alpinista, l’arrampicarsi lungo un ripido costone roccioso, magari a strapiombo sul vuoto.

Ebbene, così come il bravo alpinista ha imparato a conoscersi a fondo, a sapere su quali forze e risorse può contare, su quali difficoltà può affrontare e davanti a quali deve riconoscere la propria impotenza, allo stesso modo ciascuno di noi dovrebbe imparare a fare una stima veritiera di se stesso e a giudicarsi senza pericolose finzioni.

È in gioco qualcosa di estremamente importante: l’autentico rispetto che dobbiamo a noi stessi e, contemporaneamente, la verità del nostro rapporto con il mondo esterno.