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Perchè gli Stati Uniti hanno bisogno di una guerra globale

di Victor Burbaki - 08/01/2012


Al momento, ci troviamo al centro di una fase turbolenta del ciclo evolutivo globale avviato negli anni '80 e che dovrebbe finire alla metà del XXI secolo. In questo processo, gli Stati Uniti stanno evidentemente perdendo il proprio status di superpotenza.

Stime elaborate dagli esperti dall'Accademia Russa delle Scienze indicano che l'attuale periodo di forte instabilità dovrebbe finire attorno al 2017-2019 con una nuova crisi. Questa non sarà profonda come quella del 2008-2009 o del 2011-2012 e segnerà la transizione verso un'economia incentrata su nuove basi tecnologiche. La ripresa economica del 2016-2020 probabilmente provocherà serie modifiche nell'equilibrio del potere globale e gravi conflitti politico-militari che riguarderanno i pesi massimi planetari e i paesi in via di sviluppo. L’epicentro del conflitto dovrebbe essere localizzato nel Medio Oriente e nell'Asia Centrale post-sovietica.

Il secolo del dominio militare-politico globale e del primato economico degli Stati sembra che stia giungendo al suo completamento. Gli Stati Uniti hanno fallito nel loro tentativo unipolare e, dissanguati dai conflitti permanenti nel Medio Oriente, ora mancano delle risorse necessarie a mantenere il comando globale.

La multipolarità implica una molto più equa distribuzione della ricchezza in tutto il mondo e una trasformazione profonda delle istituzioni internazionali come l'ONU, il FMI, la Banca Mondiale, eccetera. Al momento il Washington Consensus sembra irreversibilmente morto e le agende globali dovrebbero essere rinnovate per costruire un'economia con livelli di incertezza molto più bassi, regolamentazioni finanziarie più rigide e maggiore giustizia nell'allocazione dei redditi e dei benefici economici.

I centri di sviluppo economico stanno spostandosi dall’Occidente - che ha dalla sua l’introduzione della rivoluzione industriale - verso l’Asia. Cina e India dovrebbero prepararsi a una corsa economica senza precedenti in uno scenario che vede una forte competizione tra le economie che hanno introdotto il capitalismo di stato e i modelli democratici tradizionali. Cina e India, i due paesi più popolati al mondo, definiranno la direzione e il ritmo di sviluppo nel futuro, ma la battaglia principale per il primato globale verrà giocata tra Stati Uniti e Cina, e in ballo ci saranno il modello socioeconomico post-industriale il sistema politico del XXI secolo.

La domanda che sorge in questo contesto è, “Come reagiranno gli Stati Uniti alla transizione?”

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Intanto va considerato che qualsiasi strategia attuata dagli Stati Uniti parte dal presupposto che perdere il primato globale è per loro una cosa inaccettabile. Il collegamento tra leadership globale e la prosperità del XXI secolo è un assioma per le élite statunitensi, indipendentemente dai dettagli politici.

I modelli matematici delle dinamiche geopolitiche globali assicurano che una guerra vittoriosa di grosse dimensioni e combattuta con le armi convenzionali è l’unica opzione a disposizione degli Stati Uniti per invertire il rapido collasso del suo ancora insuperato status geopolitico.

È fatto noto che anche i metodi non militari hanno una loro utilità – come nel collasso dell’Unione Sovietica – e che le tecnologie relative vengono costantemente impiegate dagli Stati Uniti. Ma, fino a questo momento, paesi come Cina o Iran sembrano essere immuni alla manipolazione esterna. Se l’attuale dinamica geopolitica dovesse persistere, ci si può aspettare un cambio di leadership globale entro il 2025, e l'unica possibilità che gli Stati Uniti hanno a disposizione per impedire questo processo è provocando una guerra allargata.

Questo paese, che deve affrontare un’imminente perdita della leadership, deve necessariamente colpire per primo, e Washington sta facendo proprio questo negli ultimi 15 anni. La tattica specifica degli Stati Uniti è quella di non scegliere come obiettivo un candidato alternativo al primato geopolitico, ma quei paesi con cui lo scontro può essere fattibile. Attaccando la Jugoslavia, l’Afghanistan e l’Iraq, gli Stati Uniti hanno cercato di occuparsi di problemi regionali o economici relativamente minori, ma un gioco più allargato richiederebbe per forza un rivale più consistente. Gli analisti militari ritengono che Iran, Siria e i gruppi sciiti non arabi – come gli Hezbollah in Libano – hanno le maggiori opportunità di venire colpiti nell’ambito di una nuova redistribuzione globale.

La redistribuzione è già in corso. La Primavera Araba provocata e gestita da Washington ha creato le condizioni adatte per la fusione del mondo musulmano in un unico califfato. Il piano degli Stati Uniti è che questa nuova formazione possa aiutare la superpotenza a mantenere la sua presa sulle maggiori risorse energetiche mondiali e a salvaguardare i propri interessi in Asia e in Africa. Non ci sono dubbi che lo sfidante degli Stati Uniti nella composizione di questi accordi è la potenza sempre più forte della Cina.

Liberarsi di Iran e Siria, che stanno intralciando il cammino verso il dominio globale statunitense, sarà il prossimo passo di Washington. I tentativi di mettere in difficoltà il regime iraniano, provocando le rivolte civili all’interno del paese, hanno palesemente fallito e gli analisti militari ritengono possa essere riproposto in Iran uno scenario di intervento simile a quelli implementatati in Iraq e in Afghanistan. Il piano ha sicuramente l’opportunità di materializzarsi anche se, al momento, il ritiro delle truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan comporta per gli Stati Uniti una serie di problematiche.

La realizzazione del progetto del Grande Medio Oriente – con i danni inferti alla posizione di Russia e Cina - sarebbe il primo desiderio degli Stati Uniti dopo la vittoria in un conflitto allargato. Questo progetto è diventato ben noto negli Stati Uniti dopo la pubblicazione nell’Armed Forces Journal della famosa mappa di Peters. Le motivazioni nascoste dietro a questo disegno erano di escludere Russia e Cina dal Mediterraneo e dal Medio Oriente, di separare la Russia dal Caucaso meridionale e dall'Asia Centrale e di scollegare la Cina dai suoi più importanti fornitori di energia.

La materializzazione del progetto del Grande Medio Oriente rovinerebbe le prospettive di un pacifico e solido sviluppo da parte della Russia, mentre il Caucaso del Sud controllato dagli Stati Uniti invierebbe onde d’urto verso il Caucaso del Nord. Le rivolte verrebbero provocate dalle forze del fondamentalismo musulmano, e le regioni russe a prevalenza musulmana sarebbero sicuramente colpite.

Gli Stati Uniti non sono capaci di sostenere il consenso di Washington contando solamente sugli strumenti economici e politici. Il cinese Jemin Jibao ha parlato con la massima chiarezza quando ha scritto che gli Stati Uniti sono diventati un parassita globale che stampa quantità illimitate di dollari, che li esporta per pagarsi le proprie importazioni per potersi comprare un ricco tenore di vita derubando il resto del pianeta. Il primo ministro russo ha espresso simili considerazioni durante la sua visita in Cina del 17 novembre 2011.

Al momento la Cina sta spingendo per limitare la sfera di circolazione del dollaro. La quota della moneta statunitense presente nelle riserve cinesi si sta restringendo e, nell’aprile del 2011, la Banca Centrale cinese ha annunciato un piano per escludere il dollaro dalle compensazioni internazionali. Il colpo inferto al dominio valutario degli Stati Uniti non rimarrà senza risposta, evidentemente. L'Iran sta tentando allo stesso modo di ridurre la quota di dollari che vengono utilizzati nelle transazioni: nel luglio 2011 ha aperto una borsa petrolifera dove vengono accettati solo l’Euro e la valuta iraniana. Iran e Cina stanno trattando uno scambio di prodotti cinesi con il petrolio iraniano che, tra l’altro, renderebbe possibile aggirare le sanzioni imposte all'Iran. Il dirigente iraniano detto che il volume di scambi del suo paese con la Cina dovrebbe raggiungere i 100 miliardi di dollari, e ciò renderebbe il piano di aggiramento degli Stati Uniti assolutamente insignificante.

Gli sforzi degli Stati Uniti per minare la stabilità nel Medio Oriente possono in parte essere attribuiti al fatto che la ricostruzione delle infrastrutture devastate in tutta la regione renderebbe necessaria una massiccia infusione di dollari, rivitalizzando così l’economia statunitense. Nel 2011 la strategia degli Stati Uniti per la conservazione della propria leadership globale punterà a politiche basate sulla forza, mentre Washington sta anche pensando alla svalutazione del dollaro tra le possibili soluzioni alla crisi. Una guerra di primo livello potrebbe davvero servire allo scopo. Al termine, il vincitore sarebbe in grado di imporre le proprie condizioni al resto del mondo come avvenne quando il sistema di Bretton Woods fu introdotto nel 1944. Per Washington, per guidare il mondo bisogna essere pronti a combattere una guerra globale.

L'Iran potrà riuscire, se ben appoggiato, a porre fine all'espansione universale degli Stati Uniti? La domanda avrà la sua risposta nel prossimo articolo.

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Fonte: Why The US Needs a Major War

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE