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Declassamento europeo: una strategia “vincente”

di Roberto Marchesi - 20/01/2012

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Abbassando il rating a ben 7 nazioni europee in un colpo solo è senza dubbio una strategia che dà i suoi frutti, anche se un po’ troppo scoperta nel suo vero scopo. Perché è chiaro ormai a tutti che il vero scopo di questo voto delle agenzie di rating (ma non è la prima volta) non è quello di dare una informativa tecnica ai risparmiatori sul rischio insito nei titoli del debito pubblico di questi paesi, ma è quello di provocare, in un momento in cui la finanza europea stava cercando di riprende fiato, una fittizia tensione nei mercati al fine di mantenere alta la pressione sulle istituzioni europee alle prese con manovre di austerity che sfiorano la rivolta popolare.
Grazie al cielo, benché ormai anche la stampa libera sia ampiamente controllata dai poteri forti politici ed economici, ci sono ancora piccoli spazi (come nel nostro giornale) dove di tanto in tanto si possono trovare notizie che aprono gli occhi ai cittadini sul come e perché avvengono certi fatti. Così si riesce a individuare qualche notizia utile per farsi, sulla politica e sull’economia, idee più attinenti alla realtà che non quelle divulgate ad arte dai grandi organi di informazione per far credere cose diverse.
Quindi, seguendo per esempio un po’ alla volta i miei articoli su questo tema, è possibile farsi un’idea più chiara su chi tira i fili della grande speculazione internazionale e in che modo questa riesce a controllare la finanza globale.
Le agenzie di rating, che in questi giorni hanno di nuovo giudicato negativamente il debito sovrano delle principali economie europee (meno la Germania), fanno strettamente parte del gioco, dato che sono controllate da quelle stesse entità (Wall Street e grandi banche) che loro dovrebbero invece controllare. Quest’ultimo aspetto non è novità, perché è da anni che funziona così, ma per qualche ragione (non tanto difficile da capire) nessuno sembra accorgersene.
Allora diventa facile concludere che fa tutto parte di un grande disegno.
Naturalmente tutto questo non può avvenire come in un consiglio di amministrazione, con un gruppo di persone che si riunisce e decide cosa fare, ma avviene come in una partita a scacchi: si pensa ad una strategia e la si applica muovendo le pedine sulla scacchiera. Per vincere le partite è importante avere le pedine (cioè i manager) piazzate al posto giusto per fare ciò che è loro compito di fare.
Ciò è esattamente quello che il capitalismo americano ha nell’ultimo secolo sempre saputo fare meglio degli altri.
L’attacco della grande speculazione ai fondi dei debiti sovrani europei è iniziato (come strategia) fin dall’autunno del 2010 (l’ho scritto anche nel mio articolo del 22/12/2010 “Inter Continental Exchange: la congrega delle banche d’affari” http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=5641 ), poi è partito concretamente nella primavera del 2011 con lo strangolamento finanziario della Grecia e dell’Irlanda e si è disteso in tutta la sua forza a partire dall’estate 2011 (come testimonia il mio articolo “Tsunami economico in vista” del 7 giugno 2011 http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8738. Tutto si è verificato (purtroppo) con puntuale coerenza e tempismo in ordine alla strategia segretamente concepita.
Quello che non è giustificabile (se visto da economisti non arruolati nella speculazione internazionale) è come sia stato possibile, in un momento di crisi così delicato come quello che l’Europa stava vivendo già a primavera 2011, che la Banca europea attuasse per ben due volte, nel giro di pochi mesi, l’aumento del tasso di sconto di un quarto di punto. La scusa è stata che si voleva tenere sotto controllo l’inflazione, ma la reale motivazione (pensando a quella strategia) era che si voleva invece aprire la strada ai micidiali attacchi speculativi contro il sistema Europa, diventato troppo forte contro un sistema Usa che, benché fiaccato dai sentimentalismi obamiani, aveva ancora tutta la potenzialità per riprendere il controllo dei mercati.
Visto che in Europa il primo aumento del tasso di sconto voluto da Trichet in marzo non aveva prodotto adeguati risultati, è arrivata pochi mesi dopo la seconda mazzata (a fine giugno), che ha finalmente spezzato ogni resistenza e ha rotto gli argini delle (blande) difese europee. Lo tsunami è arrivato come previsto, e il neo-presidente Draghi ha dovuto intervenire subito, riducendo il tasso di sconto per ben due volte a distanza di un solo mese, per riportarlo al livello di inizio 2011. Questo non era immediatamente nell’interesse degli speculatori, ma se non lo avesse fatto il sistema europeo sarebbe crollato in pochi giorni come un futile castello di carte che crolla al primo soffio di vento, e questo naturalmente era ancora meno nell’interesse della grande speculazione. Queste manovre sui tassi non sono però state le sole a “fiaccare” le capacità di resistenza del sistema economico-finanziario europeo. Intanto bisognerebbe chiedersi quale strategia ha portato la Banca Centrale Europea, dopo la crisi del 2008, a mantenere un tasso di cambio così alto dell’euro rispetto al dollaro. È necessario dire che questo favoriva largamente le esportazioni americane nel mercato europeo, mentre penalizzava poco le importazioni americane, in gran parte pagate provenienti dall’Asia e pagate con dollari?
Insieme a questo, e sotto il profilo tecnico persino più importante, è arrivata anche, dalla Bce, la nuova regola sulla capitalizzazione delle banche, che ha messo quasi tutte le banche europee (specialmente quelle italiane) in una posizione di estrema debolezza finanziaria. I nuovi parametri impedivano infatti, per mancanza di fondi adeguati, l’incremento delle normali attività di finanziamento, le quali, oltre a fiaccare la forza concorrenziale delle banche stesse, finiva per ripercuotersi sulle capacità di finanziamento alle imprese e quindi sulle capacità dell’economia europea di avviare la crescita necessaria all’uscita della crisi e alla ripresa economica. Per la finanza americana è stato come prendere due piccioni con una fava!
È possibile che tutto questo sia avvenuto nell’ignoranza dei vertici della Bce e della Commissione europea? Purtroppo non è impossibile (visto il calibro intellettuale e manageriale di certi elementi che scaldano quelle poltrone) ma è molto più probabile che i personaggi di vertice, tutti legati più o meno alla grande speculazione internazionale, abbiano semplicemente fatto ciò che a loro era richiesto, e cioè: tenere in piedi l’economia europea il tempo necessario all’America per risvegliarsi dal KO autoprocuratosi nel 2008, e quindi tenere in piedi l’Europa come “vacca da mungere” per rilanciare la tuttora sofferente economia americana.
L’attuale downgrade delle agenzie di rating è solo l’ultimo tassello di questa strategia.