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Spagna e Italia uguali sul lavoro, non sulle regioni

di Maurizio Blondet - 06/02/2012

Fonte: rischiocalcolato

   
   

(al prossimo taglio come minimo vogliamo il seppuku)

Elsa Fornero è il nostro ministro del Lavoro. Anche il governo spagnolo di Mariano Rajoy ha una ministra del Lavoro: si chiama Fatima Baez. Ed esattamente come la Fornero, anche quella sta attuando la “riforma del lavoro”, facendosi forte della disoccupazione al 23%. La riforma dovrà, ha detto Fatima Baez, “restituire fiducia ai lavoratori e imprenditori, perchè possano superare la crisi insieme e il licenziamento sia l’ultima opzione”.

Suona bene, ma un po’ vago. Javier Diaz-Gimenez, economista alla IESE Business School di Madrid, ha tradotto la neolingua della ministra nella seguente frase più brutale, ma più chiara: si tratta di ammorbidire la legislazione del lavoro: “La prima misura da prendere è ridurre il costo del lavoro, che è eccessivo, limitando le indennità di licenziamento; la seconda è sbarazzarsi dei contratti temporanei per instaurare un solo contratto di durata indeterminata”, ma “più facile da interrompere”.



Sembra la copia di quel che fa’ la Ferrero. Strano. L’una sta copiando l’altra? Più probabilmente, le due ministre tecniche obbediscono allo stesso foglio d’ordini emanato dallo stesso ente superiore. Quello che ha insediato i governi tecnici nell’Europa del Sud. Trilateral? Bilderberg? Goldman Sachs? Fate voi.

Ma c’è una cosa in cui il tecnico Monti non imiterà il governo Rajoy: il trattamento verso le Regioni. Per sostenere quelle iberiche, finanziariamente strangolate, Madrid ha aperto loro una linea di credito di 10 miliardi di euro; ma in contropartita, il governo centrale intende esercitare il controllo sui bilanci regionali. Ogni aiuto sarà condizionato all’adozione di un piano per la riduzione del deficit regionale, validato da Madrid, sulla linea dei tagli che già colpiscono la sanità e l’istruzione.

Insomma Madrid procede, di fronte alla Regioni ispaniche, come Berlino vuol fare agli stati malconci della zona euro: controllare preventivamente i bilanci della nazioni bisognose di aiuti, imponendo tagli alle spese. Ciò che è illegittimo a livello europeo in quanto arrogante violazione delle sovranità (tanto vale che la Merkel ci mandasse governatori tedeschi: sarebbe tutto più chiaro), ma è perfettamente giustificato all’interno della Spagna, dove le Regioni (nonostante i forti autonomismi baschi e catalani) non hanno, ovviamente, la sovranità.

lombardocuffaro Spagna e Italia uguali sul Lavoro, non sulle Regioni (Maurizio Blondet)

(la meglio gioventù)

Ma in questo, anche se volesse, il governo Monti non potrebbe imitare il governo Rajoy, per un semplice motivo: ha bisogno dei partiti per far passare le sue “riforme”, e i partiti non voterebbero mai per mettere sotto controllo centrale le spese delle Regioni, che sono loro feudi clientelari e grassi centri di corruzione. Le spese dello stato stanno per un certo verso sotto l’occhio dell’opinione pubblica; le spese regionali sfuggono meglio all’attenzione, anche se fanno impallidire quelle dello stato. Soprattutto in termini di sprechi, sono scandalosi pozzi senza fondo: la Sicilia spende il doppio della Lombardia (avendo metà dei suoi abitanti), la Campania il triplo del Veneto; tutte insieme hanno speso un miliardo di euro nel 2011 solo per mantenere i loro consiglieri regionali; 7 miliardi (14 mila miliardi, in vecchie lire) per le giunte e gli uffici regionali. Sono circa altri 240 miliardi di euro che si aggiungono alla spesa pubblica: qui sì che sono possibili grossi risparmi e tagli, perchè proprio nelle Regioni c’è tanto grasso che cola. Basta ricordare che i contribuenti del Nord trasferiscono ogni anno, da decenni, alle Regioni del Meridione, senza miglioramento dell’arretratezza meridionale.

Ma il governo, tecnico o no, non ha alcuna possibilità di mettere un freno a questi folli spenditoi locali: mai otterrebbe una maggioranza parlamentare per riformare questo colabrodo di denaro pubblico a cui poppano voluttuosamente tutti i partiti. Cadrebbe immediatamente. E inoltre le Regioni hanno “l’autonomia finanziaria” (scritta nella Costituzione, art. 119) di cui sono gelosissime, e una legge costituzionale (dunque varata da maggioranza qualificata) del 2001 che ha abolito i controlli sugli atti regionali, in precedenza esercitati dal governo centrale. Senza contare le Regioni che sono “autonome” per legge divina, fra cui brilla la Sicilia. Da allora, queste entità sono buchi neri di spesa, irresponsabili e insindacabili, ancorchè molte di esse esibiscano debiti colossali. Basti dire che la Regione Sicilia paga i suoi consiglieri regionali più dei senatori della repubblica: 19.850 euro al mese. E che la stessa Sicilia spende 240 milioni di euro l’anno per la “formazione professionale” dove foraggia un esercito di presunti docenti, e alla fine dei quali corsi solo uno studente e mezzo trova effettivamente lavoro. Ragion per cui il procuratore della Corte dei Conti ha recentemente dichiarato: «L’effettivo avviamento al lavoro di un giovane siciliano pesa sui contribuenti 72 mila euro, non so davvero se ne valga la pena».

Ma che lo Stato non osi mettere becco, men che meno esigere la consegna dei libri contabili: i governatori delle Regioni si coalizzano nella protesta, mobilitano le loro affollate clientele, i partiti (ciascuno dei maggiori ha un qualche governo regionale) difendono con le unghie la loro “autonomia”. E così continuano a spendere come pare a loro. Ossia a sprecare e rubare.

In tal modo, accade questo fatterello paradossale: il governo centrale italiano accetta il “fiscal compact” europeo, ossia di mettere i suoi bilanci sotto il controllo preventivo dei commissari europei, rinunciando all’ultimo brandello di sovranità e divenendo di fatto una macro-regione della Germania, che occhiutamente impone il pareggio di bilancio e la riduzione del debito al 60% del Pil; e nello stesso tempo, non può imporre la sua sovranità alle sue Regioni, controllandone i conti e le spese, come riesce a fare la Spagna.

In altri termini: le Regioni sono più “sovrane” dello stato centrale.

Ciò non è altro, in fondo, il motivo stesso della nascita delle Regioni. I lettori più giovani possono non saperlo, ma lo stato italiano non è sempre stato regionale; anche se la creazione di Regioni era iscritta nel bronzo della Costituzione (che per certe parti è invece di pastafrolla), per molti decenni s’è lasciata inattuata questa parte. E la popolazione non ha mai espresso scontento di essere sotto uno stato centralizzato, mai la richiesta di “autonomie” regionali è stata espressa a livello popolare. Era un ordine dall’alto a volerle.

ugolamalfa Spagna e Italia uguali sul Lavoro, non sulle Regioni (Maurizio Blondet)

(compagno di grembiule)

Infatti a battersi per l’istituzione delle Regioni fu da dopoguerra Ugo La Malfa, gran massone, l’uomo del Partito Repubblicano, appoggiato da Cuccia e da Mattioli delle Commerciale, ossia il fiduciario della finanza internazionale: l’unico italiano dahgli anglo-americani agli incontri di Bretton Woods in cui si mise in atto l’ordine monetario mondiale dei vincitori. Benchè il Pri di La Malfa avesse sì e no il 3 per cento dei voti, la DC se lo associò fin dal primo governo De Gasperi, perchè senza i repubblicani nel governo, non arrivavano i soldi del piano Marshall: dunque i desideri di La Malfa erano legge. E il perchè volesse le Regioni, il La Malfa lo chiarì in tutte le sedi: servivano ad erodere la sovranità degli stati-nazione. Il progetto europeista di Jean Monnet (che distribuiva i soldi del piano Marshall per incarico della Lazard) era infatti un’Europa di Regioni, senza stati, o con stati spettrali. L’autorità degli stati doveva essere sminuita e smangiata sia dall’alto (dalla Unione Europea) sia dal basso, dalle Regioni appunto.

Nel gran progetto mondialista, globalizzazione deve accompagnarsi alla regionalizzazione del mondo. Piccole entità sub-sovrane, senza dimensioni economiche nè peso politico per negoziare a livello europeo con qualche credibilità. Questo era il progetto. La Germania disfatta fu la prima ad essere spezzata in Laender, su comando alleato. Alla regionalizzazione della Francia (il più antico stato unitario d’Europa) si oppose De Gaulle, finchè potè. La Spagna fu centralizzata fino a quando durò Francisco Franco, il sopravvissuto dell’era precedente, e per questo Madrid ha ancora voce in capitolo sulle spese regionali. Oggi , il progetto si realizza, ma sotto una forma paradossale: è la Germania l’unico ente sovrano che comanda sugli altri stati denazionalizzati: un esito che farà rivoltare nella tomba La Malfa, Jean Monnet e Andrè Meyer della Lazard Brothers….