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Il necessario ritorno dei lupi

di Claudio Risé - 15/02/2012

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Malgrado alcuni falsi allarmi, sembra che i lupi comparsi con la neve ai bordi dei boschi appenninici non abbiano finora azzannato nessuno. Etologi e ambientalisti hanno così potuto rispiegare che i lupi sono indispensabili per ridurre le mandrie di cinghiali sempre più numerose e le devastazioni di culture da loro compiute, come per altri problemi attuali del territorio. L’uomo, però, ha paura del lupo. Perché rappresenta una sua parte selvatica, oscura, che preferisce non vedere.
L’istinto dell’uomo non è, infatti, solo quello domestico del cane. Il quale d’altra parte una volta abbandonato dal padrone (molti lo fanno), è sempre pronto a riprendere la strada della montagna dove diventa anche più selvaggio dei lupi: sembra che fossero di cani inselvatichiti i morsi di questi giorni nel riminese.
Esiste anche, per ognuno di noi, l’aspetto selvatico rappresentato dal lupo, che compare spesso nei sogni dei pazienti dell’analista. Era già presente (ad esempio) in San Francesco il quale, avendo molto a cuore l’equilibrio psichico e spirituale delle persone, e quindi amando intensamente la natura (da cui quell’equilibrio dipende), provò a comporre il conflitto tra l’uomo adattato alle esigenze della Comunità, e gli appetiti irrefrenabili del “fratello” lupo attraverso l’apologo del lupo di Gubbio.
In esso si narrava che i contadini di Gubbio, in Umbria, furibondi per le incursioni notturne del lupo che mangiava le loro galline ed altri animali domestici, stavano organizzando una spedizione per ucciderlo. Francesco li sgridò, spiegando che il lupo altro non era che un loro fratello dei boschi (un po’ come fa oggi l’analista quando interpreta i lupi dei sogni come aspetti psichici del sognatore, rifiutati dalla coscienza e ricacciati nell’oscurità dell’inconscio).
Invitò dunque i contadini a lasciare in una capace ciotola i resti del loro cibo per il lupo, invece di cercare di ucciderlo. Però convocò anche il lupo, e gli ingiunse di smettere di mangiare gli animali dei contadini, e di accontentarsi di ciò che trovava nella ciotola. Il lupo continuò così a proteggere i boschi (e anche i contadini) da irruzioni di animali devastanti come i cinghiali, e tra lupo e persone umane fu siglata una muta alleanza.
Otto secoli dopo il problema non è molto cambiato, se non per la necessità ancor maggiore dell’uomo moderno di fare amicizia coi lupi: quelli dei boschi, e quelli dentro di lui.
Oggi la mancanza di natura (“nature deficit”, lo chiamano in America, dove però la natura incontaminata è molto più estesa e protetta), è all’origine dalla maggior parte delle patologie più diffuse: disturbi alimentari, tossicomanie, depressioni.
Noi abbiamo paura del lupo, come i contadini di Gubbio, ma spesso il cibo lo buttiamo (vomitiamo), come nell’anoressia, o ce ne ingozziamo fino a star male. Dobbiamo trovare un nuovo “equilibrio alimentare”, energetico, tra quanto vogliamo per noi, e quanto siamo disposti a dare alla natura, senza la quale non possiamo vivere, e ci ammaliamo, anche psichicamente.
Della natura fanno parte i nostri istinti, che sperimentiamo anche nella relazione con gli animali. Quelli più domestici, come i cani, che oggi un grave allontanamento dalla natura ci spinge a trattare come oggetti, abbandonandoli sul ciglio della strada, da dove (a volte) si salvano ridiventando selvaggi.
Il lupo invece è un volto del nostro istinto più selvatico, introverso, che più soffre dell’alta intensità abitativa delle città e che ama il silenzio e la solitudine dei boschi.
Rieducarsi agli animali ci aiuta a guarire i nostri istinti. Lupi compresi.