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Quale “patria” nell’era della “dittatura globale”?

di Enrico Galoppini - 19/02/2012

Fonte: europeanphoenix



 

 Sovente, spinti da ondate emotive e presi dalla smania di semplificare per poter manipolare e controllare meglio la realtà in cui viviamo e che proviamo ad interpretare, si cade nell’errore di generalizzare e di considerare tutti gli appartenenti ad una nazione e gli aderenti ad una religione o un’ideologia fatti con lo stampino. “Tutti uguali”, per scatenarsi a briglia sciolta in invettive preconfezionate o, peggio, quando la cosa deborda dall’ambito diciamo così, letterario, in aggressioni e violenze fisiche ai danni di chi viene individuato quale oggetto privilegiato del nostro odio.

Vi è quindi chi vede “tutti” gli arabi allo stesso modo, come potenziali “minacce” (terroristiche e/o ‘culturali’), e chi non sopporta gli americani bollandoli in toto come supinamente appiattiti sulle politiche criminali del loro governo; chi fa l’equazione tra “comunista” e “mostro”, e chi al solo pensiero di un “fascista” sente già il prurito alle mani; chi scorge in ogni “cattolico” un “nemico del Progresso”, e chi invece appena sente dire “Islam” si chiude a riccio senza voler sentire alcuna spiegazione. C’è poi chi in ogni “massone” individua un “anticristo” e un agente della “sovversione planetaria”, e chi in ogni “ateo” commisera un essere “senza speranza” destinato alle pene di un “Inferno” fatto ad immagine e somiglianza dei propri desideri. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi indefinitamente, poiché vi è addirittura chi s’è fatto un’idea preconfezionata di “tutti” i maschi e “tutte” le femmine, tanto per proporre un esempio spinto all’estremo.

A quest’inesorabile legge non scritta della semplificazione o del luogo comune, non sfuggono certamente gli ebrei1. Essi, per motivi che qua non analizziamo, ma sui quali esiste una vastissima letteratura2, vengono percepiti da molti come un blocco granitico, un tutt’uno solidale, in combutta – dal primo all’ultimo, nel “bene” o nel “male”, a seconda del punto di vista - contro il resto dell’umanità. A tale sbrigativo giudizio hanno contribuito in molti, in antitesi tra loro su un certo piano “dialogico”, col risultato che “l’antisemitismo” ha finito per rappresentare il punto d’incontro sia di chi “odia gli ebrei” sia di chi “li ama” aprioristicamente, con il che si comprende che i due estremi della giudeofobia e della giudeofilia si stringono idealmente la mano, convergendo nell’alimentare la fola secondo cui dietro ogni macchinazione o complotto3 vi siano degli ebrei.

Ripetiamo che in questa sede – trattandosi di un breve intervento che prende le mosse da un episodio che invitiamo a guardare in sequenza filmata – non vi è il tempo né lo spazio per introdurci nella spiegazione dettagliata di termini quale “ebreo” e “antisemitismo”, né di quale sia il meccanismo attraverso il quale si perviene alla convergenza tra le posizioni ciecamente ed acriticamente pro o contro “gli ebrei”. Chi conosce bene determinate dinamiche sa che gli “antisemiti”, quando non esistono, vengono appositamente fabbricati, proprio secondo il “paradigma” o lo “stereotipo” della vulgata ufficiale, con il “filo-semitismo” che passa regolarmente ‘all’incasso’ dei vantaggi e dei proventi veri e propri ($) dell’operazione.

Al riguardo delle idee preconcette e delle caricature che ciascuno di noi si fa sugli essere umani - presi individualmente e collettivamente - sulla base delle loro molteplici identità ed appartenenze, vi è poi da dire che il cosiddetto “luogo comune” non è inventato di sana pianta, ma se esiste vuol dire che una ragione pur tuttavia ci dev’essere. Il che però non ci deve far dimenticare che la realtà è sempre più complessa ed insondabile - coi nostri limitati mezzi di creature fallaci - di quanto i nostri sensi e strumenti d’indagine e di conoscenza ci vorrebbero far credere.

Se dunque concediamo anche al “luogo comune” i suoi diritti, qua vogliamo in particolare sottolineare che le cieche generalizzazioni non servono a nulla, se non ad impedirci di aprire gli occhi sul pericolo principale da cui devono guardarsi i proverbiali “uomini di buona volontà” in questo mondo oramai alla fine. Quegli uomini che in questo mondo cosiddetto “globalizzato” in cui le informazioni circolano come non mai, stanno diventando consapevoli che o si fa un salto di qualità a livello di “coscienza”, di “consapevolezza”, o non abbiamo alcuna via di scampo di fronte ad una parodistica “riduzione ad uno” di tutto quanto, dalla politica all’economia, dalla cultura alla religione e così via.

Questi uomini che sono chiamati a “svegliarsi” e a volgere in un certo senso di segno la “globalizzazione” in cui le élite dominanti intendono (s’illudono di?) imbrigliare l’intera umanità, si stanno rendendo conto che il pericolo principale che grava su tutti quanti è una dittatura planetaria mirata a rendere sempre più l’essere umano un burattino disanimato. E in un mondo di “spettri” e di “inganni” qual è quello “occidentale”, una delle finzioni tenute in piedi per controllare meglio la gente e chiedere “sacrifici” è quello della “nazione” e del relativo “Stato” che dovrebbe rappresentarla, difenderla e sostenerla.

Non mi si fraintenda: non voglio dire che l’amor di Patria sia un valore sbagliato, anzi. Ma un sano patriottismo non può essere disgiunto né dal timor di Dio né da una sincera filantropia4, che si traduce in un rispetto per tutti gli appartenenti alla nazione, considerati nei loro pregi e difetti sia perché tutti siamo creature di Dio, sia perché c’è bisogno di tutti e nessuno è “perfetto”; e tutti, se rettamente orientati, quindi esortati a migliorarsi, possono contribuire al bene comune e al benessere di una collettività. Da ciò discende un’importante conseguenza disconosciuta dai nazionalismi come si sono venuti a consolidare nel Novecento: il rispetto per le patrie altrui.

Oggi, però, il concetto di patria e del relativo affetto è completamente stravolto. Esso è diventato un’idea, non un sentimento naturale. Così, sentirsi “americani”, o “italiani”, mano a mano che l’americanizzazione avanza, per non parlare di chi si considera “occidentale”, è sempre più un convincimento ideologico e non una disposizione dell’animo che parte dalla constatazione di un fatto naturale. Si è perciò bravi “americani” eccetera se ci si allinea alla visione delle élite economico-finanziarie che decidono le sorti della maggioranza e che controllano la politica e i media. “Antiamericano”, infatti, non ha il significato che potevano avere nell’Ottocento “francofobo” o “anti-tedesco”. Lì si trattava di vecchie ruggini ‘campanilistiche’ ad un livello macroscopico perlopiù aizzate ad arte dai soliti furbi per il raggiungimento di fini strategici, ma l’accusa di “antiamericanismo” (e di “antisemitismo”) oggi compendia la messa al bando dal “mondo civile” perché viene associata al rifiuto di una concezione dell’uomo e della vita condivisa dai dominanti di quella parte di mondo chiamata “Occidente”: la Patria finisce così per trasformarsi non in un fatto naturale ma in un’ideocrazia alla quale si appartiene in via ideologica. Chi non condivide i “valori” dei dominanti, i quali camuffano i loro loschi fini dietro una bandiera “nazionale”, viene etichettato come un pericolo per la nazione, tanto che si vorrebbe far passare l’idea per cui per essere “bravi italiani” si deve sposare in tutto e per tutto la visione del mondo del padrone americano e stare sempre e comunque dalla sua parte.

Ecco perché, secondo un apparente paradosso, l’immigrato ben inquadrato e perfettamente a suo agio con la visione del mondo “moderna”, è più gradito alle élite globaliste rispetto all’”italiano vero” (o all’americano bianco e anglofono eccetera) che ne contesta la legittimità; e per questo viene premiato con la “cittadinanza”, che automaticamente lo inscrive nel mondo dei “buoni”, di quelli con le “idee a posto”. Ed un giorno potrà magari esercitarsi nel mettere alla berlina quegli italiani (da generazioni) che a suo insindacabile parere non meritano la qualifica di “bravi italiani”, di “italiani che non amano l’Italia” e perciò “se stessi”, com’è purtroppo già accaduto anche in Italia con un fenomeno politico-letterario che solo vent’anni fa sarebbe stato impensabile.

A questo punto, è evidente che anche il giovane ebreo americano protagonista di questo filmato, ‘reo’ di stare dalla parte dei palestinesi, diventa automaticamente un elemento “antinazionale”, uno che odia la sua “patria”, ovvero un “ebreo che odia se stesso”.

Uno scandalo per l’”Impero del bene” occidentale: subito separato dai “cattivi” e malmenato come un delinquente, poi legato come un salame ed infine ficcato a forza in un furgone, né più ne meno come un palestinese. Un piccolo esempio, questo, che ci rammenta una realtà sempre più evidente ai nostri giorni: che non è il passaporto – esibito ingenuamente come un ‘talismano’ dal ragazzo – a fare la differenza, come credono gli stranieri che non vedono l’ora di “diventare” per magia “americani”, “europei”, “italiani” eccetera, ma lo schieramento ideologico in cui ci si posiziona.

E non c’è “essere ebreo” che tenga se ti metti dalla parte dei palestinesi e del loro diritto di essere padroni a casa loro. I palestinesi, alla fine, se riduciamo all’osso la loro lotta, al di là delle inutili e dannose “fazioni”, che cosa vogliono da decenni se non poter vivere sulla loro terra, la terra degli avi, senza dover sottostare ad un’occupazione straniera?

In fondo questo giovane ebreo, col suo copricapo religioso e il suo passaporto americano, senza la pretesa di trasformarsi per incanto in quello che non è (un palestinese), difendendo le ragioni del “naturale”, della nazione palestinese, contro la prevaricazione dell’”artificiale”, dell’ideologia sionista, ha involontariamente dimostrato, con lo spietato trattamento riservatogli, che la nozione di “patria”, dove arrivano il mondo moderno e l’Occidente, non corrisponde ad alcuna realtà naturale: viene accettato nell’unica grande ‘patria occidentale’ solo chi non ne contesta l’ideologia-guida. E se uno s’illude di essere al riparo dietro una nazionalità (americana) o una religione (ebraica) “di serie A”, che si svegli, perché prima lo fa e meglio è.

 

1 Qua per “ebreo” si considera la definizione più semplice, che va oltre il dato etnico o religioso: è ebreo chi si considera tale. Che la spiegazione non sia poi così banale, lo sappiamo, ma questa definizione ci permette di considerare simultaneamente sia gli osservanti che gli indifferenti religiosi, sia i figli di madre ebrea che coloro che vantano ascendenze ebraiche e che per questo si sentono a qualche titolo “ebrei”.

2 Come approccio sintetico e al tempo stesso puntuale, propongo l’articolo di C. Mutti, Chi sono gli antenati degli ebrei?, pubblicato su “Eurasia”, 2/2009, pp. 25-34, ripubblicato qua: http://www.claudiomutti.com/index.php?url=6&imag=1&id_news=168.

3 Sia chiaro che i “complotti” esistono eccome, né è corretto ritenere semplicisticamente che siccome sono talmente tanti, sono destinati tutti quanti all’insuccesso poiché si ostacolano a vicenda. Se ciò è vero sotto un certo aspetto, cionondimeno è un fatto che alcuni di questi complotti sono più organizzati o meglio strutturati di altri, e per di più confluiscono in esiti che rappresentano la risultante dell’azione convergente di tali complotti, orditi da entità strettamente solidali e correlate tra di loro. Che poi le cose vadano esattamente così come se le immaginano i capi dei vari complotti è un altro paio di maniche, tuttavia un fatto è sotto gli occhi di tutti: le sofferenze e i disastri che, in vari modi (guerre, miseria, sfruttamento, manipolazione, controllo eccetera), l’attuazione di tali complotti infigge a gran parte dell’umanità. È infine vero che gli uomini possono ordire tutti i complotti che vogliono, ma il Creatore di tutte le cose resta sempre l’unico i cui “piani” sono infallibili ed inesorabili, anche se sfuggono agli uomini… In poche parole, chi crede di “controllare tutto” con trame che avviluppano l’intero pianeta è un illuso (da chi, è chiaro) sulle sue personali “onnipotenti” capacità, uno che “pecca d’orgoglio”, e che in fondo “non crede” che affidarsi all’unico “piano” progettato da Allâh per il bene delle Sue creature sarebbe un bene anche per lui.

4 Anche nella tradizione islamica lo hubb al watan (l’amor di patria), raccomandato dal Profeta stesso, è un dovere del devoto credente.