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Tutti davanti a Sanremo? Volta la carta, e viene la guerra

di Giulietto Chiesa - 19/02/2012

Fonte: libreidee

 

Confesso: non ho visto e non sto vedendo Sanremo. Lo so che è una grave colpa, perché milioni di italiani – uno share pazzesco – stanno vedendo Sanremo. Addirittura sono state cancellate trasmissioni cruciali come “Ballarò”, come “Servizio pubblico”. Tutta l’Italia è ferma per guardare Sanremo, e io non lo vedo. Grave limite, anche se scopro che su “Repubblica”, sull’onda di Bocca, Curzio Maltese definisce Celentano un gran cretino, un cretino di talento. Non credo che sia proprio così, esattamente. Come cantante, Celentano mi è sempre piaciuto molto. E penso che faccia molto bene a parlare di guerra – unico, nella televisione italiana. Poi, come ne parla è importante fino a un certo punto: l’essenziale è che se ne parli, visto che è l’unico che lo fa sul serio, in questo panorama desolante.

In realtà, non vedo Sanremo perché c’è altro di cui occuparsi. Per esempio: del fatto che siamo in recessione. Cominciano a verificarsi tutte le facilissime profezie. Ci è stato detto dal nostro capo del governo, Monti, che dovevamo fare sacrifici perché poi ci sarebbe stata la crescita? E intanto, tiè, beccati la recessione: siamo entrati in recessione. Quale recessione? Tecnica, dicono. E cosa potrebbe essere, la recessione, se non tecnica? Pratica? Non so, spirituale? Morale? Sì, in effetti, c’è anche la recessione morale. Appunto: guardi gli effetti di Celentano e dell’intero paese che al 45% di share sta davanti alla televisione. Panem et circensens, ma intanto c’è la recessione tecnica. Dopo sarà ancora peggio, la chiameranno “tecnica al quadrato”, diranno che è una piccola crisi, insomma troveranno il modo per raccontarcela: di fatto, siamo in recessione. E ci restiamo: questa è una previsione non tecnica, ma politico-economica, basata sui fatti. Ci siamo, ci resteremo, e quello che sta accadendo in Grecia arriverà anche da noi. Vediamo se ci sarà, oltre alla recessione, anche la protesta popolare. Noi facciamo del nostro meglio per crearla.

La cosa più importante per cui non guardo Sanremo è che sta arrivando la guerra. L’ho già detto tante volte. Non vorrei apparire, a molti, quello che già appaio: un catastrofista che annuncia sventure, una Cassandra. Ma in qualche misura mi metto sullo stesso piano, umilmente, di quel grande scrittore austriaco che si chiamava Karl Kraus, che all’inizio del secolo scorso andava in giro per i teatri viennesi spiegando alla gente: guardate che arriverà la guerra. E parlava di fronte a teatri stracolmi di gente che applaudiva, capiva, era d’accordo con lui, temeva. Poi la guerra c’è stata: la Prima Guerra Mondiale. Lui aveva scritto una grande opera teatrale, “Gli ultimi giorni dell’umanità”. Io non vi sto dicendo che siamo agli ultimi giorni dell’umanità. Vi sto soltanto dicendo che siamo in pericolo, e questo spiega perché non guardo Sanremo.

Siamo in pericolo: la guerra all’Iran è alle porte. La situazione in Siria è il prologo della guerra in Iran. E dovremmo stare un po’ attenti a come ci regoliamo rispetto a questo, perché il movimento pacifista sembra completamente disorientato – come lo è da molti anni, ormai – e non è capace di distinguere, non capisce quello che sta accadendo, e quindi dice sciocchezze, cioè mette Bashar Assad più o meno nello stesso piatto, o meglio nella stessa pentola bollente in cui fu messo Muhammar Gheddafi. Pensano che il problema sia in quello; in realtà il problema non è solo quello. E quindi, dire che quello è il problema significa fare il gioco dei bombardieri che poi andranno a bombardare forse la Siria, ma sicuramente l’Iran.

Le ultime notizie dicono che la situazione è molto confusa, intorno all’Iran ci sono possenti interessi – ormai visibili – che puntano a una drammatizzazione, fino all’intervento militare. Le cose non sono così definite, naturalmente, ma potrebbero esserlo nel corso delle prossime settimane o dei prossimi mesi: non dimentichiamo che le sanzioni contro l’Iran decise dalle Nazioni Unite dovrebbero entrare in vigore intorno a maggio, quindi vuol dire che è intorno a maggio che dobbiamo aspettarci sviluppi pericolosi. Di nuovo è ritornata in primo piano Al Qaeda: Al-Zawahiri ha fatto un proclama di guerra santa contro Bashar el-Assad, i Fratelli Musulmani dalla Giordania fanno la stessa cosa, la Turchia continua a insistere sul fronte nord – ed è lì che ci sono i campi militari. L’unico punto dove sembra esserci una qualche attenuazione è la frontiera libanese: è stata riaperta, e ora si può andare da Beirut a Homs in macchina senza incontrare combattimenti.

Notizie fa verificare, ma tutto lascia pensare che la guerra è in preparazione. Lo stato maggiore delle forze armate di Mosca dice che la Russia ritiene la guerra ormai sostanzialmente inevitabile: i preparativi sono in corso e i russi stanno monitorando con molta attenzione la situazione perché sono preoccupati da una guerra che potrebbe esplodere ai loro confini. Questo è il quadro. Se qualcuno, in Italia o in Europa, pensa che questa guerra lascerà l’Europa intatta, si sbaglia: questa guerra ci coinvolgerà. E quindi io non guardo Sanremo, mi occupo di quello che sta arrivando. Mi occupo della recessione, ma soprattutto di questo. Non capirlo, soprattutto da parte di chi con tutta la buona volontà sta cercando di difendere gli interessi delle classi lavoratrici italiane, significa non capire che dovremo fare due cose, molto difficili entrambe: uno, difendere gli interessi dei lavoratori, che sono colpiti duramente; due, stare attenti perché questa difesa non avverrà nel vuoto pneumatico di un dibattito politico-economico astratto, ma avverrà probabilmente nel corso di una nuova guerra.

Penso che la fotografia della Grecia di oggi dice che potremmo essere noi dentro quell’obiettivo, e dice che potrebbe esserci una grande rivolta popolare: non so se questo potrà far finire la guerra o potrà impedirla o potrà frenarla, ma sono convinto che se la gente fosse pronta a entrare in lizza, a scendere nelle piazze e a chiedere giustizia, eguaglianza, solidarietà e pace, la guerra sarebbe comunque più difficile. Quindi, cerchiamo un’alternativa. Forse non c’è ancora, ma sicuramente c’è in prospettiva. Noi lavoriamo per questo, perché è a questa alternativa che crediamo.

(Giulietto Chiesa, “Non vedo Sanremo”, video-editoriale su “Pandora.tv/ MegaChannelZero” del 16 febbraio 2012).