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Ma cosa sta succedendo agli Italiani?

di Francesco Lamendola - 20/02/2012


 

 

Sarà che siamo in crisi, che siamo in recessione; ma non basta, c’è dell’altro.

Che cosa diavolo sta succedendo agli Italiani, da un po’ di tempo in qua, che continuano a collezionare gaffes su gaffes, brutte figure su brutte figure, in patria e all’estero?

Non bastava che Berlusconi facesse il baciamano a Gheddafi, e poi mandasse gli aerei a bombardare la Libia, per servilismo verso la N.A.T.O.

Non bastava che lo stesso Berlusconi si aggrappasse alla poltrona fin quasi a portare a fondo tutto il Paese - c’è mancato un soffio, e ancora non è detta - pur di resistere fino a tanto che le sue numerose pendenze giudiziarie cadessero in prescrizione.

E non bastava che Bersani, al colmo dello squallore, brindasse a champagne quando l’altro si è deciso a dimettersi, costretto non già dalla forza di una opposizione interna seria e credibile, ma semplicemente dai livelli catastrofici dello spread con i Bond tedeschi.

Né che Bossi e i suoi cortigiani, dopo essere stati al governo per un bel po’ di anni e aver generosamente contribuito allo sfascio dell’economia e dell’amministrazione, senza mantenere una sola delle promesse fatte al proprio elettorato, saltassero sul cavallo dell’opposizione per rifarsi una verginità e si scagliassero contro tutto quello che il nuovo governo in carica stava facendo… da ben qualche giorno.

Né che l’eroico Scilipoti si ergesse a supremo difensore dell’Italia, della sua dignità, del suo onore e della sua indipendenza, contro la bieca manovra della finanza internazionale, volta a insediare un losco banchiere nelle sale di Palazzo Chigi.

Né che Napolitano promuovesse Mario Monti senatore a vita, giusto un giorno prima di conferirgli l’incarico di nuovo Presidente del Consiglio.

Né che il ministro Fornero, nell’annunciare la manovra di lacrime e sangue che avrebbe dovuto salvare la Patria dal tracollo economico e finanziario, si sia lasciato sopraffare dalla commozione, pensando allo sconsolante destino di milioni di pensionati, lavoratori a reddito fisso e disoccupati, e abbia versato sincere e amare lacrime di turbamento.

Né che deputati e senatori, dopo aver votato e approvato misure economiche che portano una bella fetta della popolazione sull’orlo della povertà e anche oltre di essa, per dare il buon esempio mettessero mano ai loro faraonici emolumenti, riducendoseli in misura così crudele e sanguinosa, da ridursi tutti quanti come dei Cristi coronati di spine.

Né che il comandante Schettino, con il mare calmo e tutta la strumentazione tecnologica possibile e immaginabile, portasse la sua enorme nave da crociera su uno scoglio, a suo dire non segnato sulle carte nautiche; che aspettasse un’ora buona prima di lanciare l’allarme, e che scendesse dalla nave molto prima dei passeggeri e dell’equipaggio.

Né che i compaesani dell’eroico marinaio lo accogliessero, al suo ritorno, come un personaggio da leggenda, come una specie di Garibaldi redivivo, o giù di lì.

Né che il battagliero direttore de «Il Giornale», offeso per l’ironia della stampa tedesca su siffatto eroe, replicasse fieramente, come un novello Ettore Fieramosca alla Disfida di Barletta, agli oltracotanti barbari del Nord, con logica ferrea e con ineccepibile buon gusto e senso delle proporzioni: «A noi Schettino, a voi Auschwitz».

Né che il sindaco di Roma, dopo essersi fatto sorprendere in maniera incredibile da una nevicata largamente annunciata, con pietose conseguenze per la sua cittadinanza, prima invocasse una commissione d’inchiesta (e, verosimilmente, il plotone d’esecuzione) per i vertici della Protezione civile, rei d’aver barato sul numero dei centimetri di precipitazioni previste; poi, perdendo completamente la testa, si scagliasse contro una perfida congiura dei Nordisti, mirante a mettere in cattiva luce il Sud e la sua capitale morale e materiale: l‘Urbe fatale, la Città dei sette colli.

Né che i calciatori più amati e strapagati combinassero le partite a suon di pesantissime mazzette, mandando o lasciando entrare la palla in rete a comando, secondo un tariffario stabilito.

Né che il terrorista latitante Cesare Battisti accettasse l’invito di una scuola di samba a sfilare per le strade di Rio de Janeiro durante il leggendario Carnevale, con una sentenza definitiva sulle spalle per il coinvolgimento in quattro omicidi.

Né che i nostri militari di scorta ad una nave mercantile ammazzassero a raffiche di mitraglia due pescatori indiani scambiati, a quanto pare, per dei pericolosissimi pirati, già in procinto di andare all’abbordaggio come nei romanzi di Sandokan e delle Tigri di Mompracem.

No, tutto questo non bastava perché la tragicommedia fosse sufficiente, e perché l’immagine che gli Italiani stanno dando al mondo, e che stanno offrendo anche a se stessi, avesse toccato il suo nadir, il punto più basso immaginabile.

Ci voleva ancora qualcosa, qualcosa di piccante e originale.

E poiché gli Italiani toccano i vertici dell’originalità quando parlano di sesso, scherzano sul sesso, dicono barzellette, gesticolano e ammiccano riguardo al sesso, così ci voleva anche un Festival di Sanremo dove di musica se n’è sentita proprio poca e se ne è parlato ancora meno, ma, in compenso, si è offerto un pantagruelico banchetto agli eterni e inamovibili opinionisti dei salotti televisivi, col quale rimpinzarsi per ore e ore di trasmissioni, pagate dagli utenti mediante il canone Rai, e tutto ciò per mezzo di un anziano cantante col pallino della tele-predicazione a trecentosessanta gradi, di un paio di comici che hanno affastellato una parolaccia dietro l’altra (ma con la foglia di fico dell’autocensura sonora), di altri due comici che hanno scatenato le ire delle associazioni per i diritti degli omosessuali; e soprattutto, dulcis in fondo, di due giunoniche vallette che si sono esibite senza veli, con spacchi inguinali e tatuaggi galeotti, che hanno portato alle stelle l’italica audience.

Un dubbio conturbante, sconvolgente, corrosivo, si è insinuato nella mente di milioni di Italioti, turbandone i sonni, portando al parossismo la concupiscenza erotica, e, quel che più conta, offrendo materia di sproloqui infiniti a legioni di militanti favorevoli e contrari: quella signorina che ha esibito con tanta naturalezza e con tanta maliziosa innocenza la farfallina tra l’inguine e il ventre, generosamente scoperti da sotto le pieghe della veste, portava le mutandine o se ne stava lì con il sesso praticamente esposto ai quattro venti, per la gioia delle più sbrigliate e deliranti fantasie pornografiche formato famiglia?

Questo, dunque, il shakespeariano dilemma, in confronto al quale i dubbi esistenziali di Amleto impallidiscono, il cogito cartesiano si dissolve, le rimembranze leopardiane si eclissano e persino l’arcigno, inquietante essere-per-la.-morte di heideggeriana memoria sembra cedere il passo, secondo la legge dell’«ubi maior, minor cessat»; che saranno mai simili bazzecole, simili quisquilie, quando si tratta di capire se la scultorea Belén Rodriguez, sorriso assassino, cosce ben tornite e gambe chilometriche, veste o non veste il pur minuscolo accessorio della “lingerie” che costituisce l’ultimo baluardo del pudore e, per contro, la più contesa frontiera dell’eccitazione?

E non si creda che l’incandescente dibattito, subito accesosi intorno al drammatico dilemma, sia stato soprattutto maschile; al contrario: fin dall’inizio, con l’autorevole contributo del fior fiore della politica e della cultura, buona parte dell’intellighenzia femminile ha sentito il dovere morale di precipitarsi nell’agone e di incrociare i fioretti, o magari le alabarde e le colubrine, in nome della libertà di non portare gli slip o in nome della decenza di indossarli.

Mai, forse, dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini, o anche dei Guelfi Bianchi e dei Guelfi Neri, si erano visti due partiti affrontarsi con tanta veemenza e accanimento, con tanta asprezza e determinazione, con tale sublime sprezzo del pericolo.

E mentre l’ineffabile Giampiero Mughini tuonava contro l’antico male dell’omofobia, attardandosi in una querelle secondaria e inesorabilmente relegata dall’auditel alle modeste proporzioni d’una battaglia di retroguardia, le sperticate ammiratrici e sostenitrici dell’avvenente ragazza argentina e le sue implacabili e incollerite detrattrici, si sono confrontate fino all’ultimo luogo comune, fino all’ultima frase fatta, fino al gradino più basso del kitsch e del trash, oltre il quale non è possibile scendere, a meno di fare un buco nel sottosuolo per irrompere sino al centro della Terra, nel Cocito ghiacciato di dantesca memoria o, forse, negli universi paralleli fatti di antimateria.

Perché sapere se, al di sotto dell’ombelico e al di sopra della coscia lunga della maliarda sudamericana, c’era o non c’era, oltre alla graziosa effige dell’afrodisiaco Lepidottero, un sia pur esiguo pezzettino di stoffa, magari tenuto insieme da strani marchingegni, o addirittura cucito all’interno della gonna, questa sì é una di quelle inaudite rivelazioni, oltre le quali per poco il cor non si spaura, e naufragare è dolce nel mare dell’estasi totale.

Ma che cosa, dunque, sta succedendo agli Italiani?

Forse che, attraverso il buco nello strato atmosferico di ozono, oltre agli sconvolgimenti climatici di origine polare, è penetrato ed è disceso sulla nostra Penisola anche qualche raggio cosmico non ancora conosciuto dalla scienza, tale da produrre la pazzia collettiva?

O è una diabolica congiunzione degli astri che, proiettando la sua ombra nefasta proprio sulla porzione di superficie terrestre occupata dall’Italia - a chi la tocca, la tocca, come quando piovono dal cielo i meteoriti -, ha mandato gran parte della popolazione nostrana fuori dal proprio cervello e, quel che peggio, fuori da ogni senso della realtà e del ridicolo?

O forse siamo così, siamo sempre stati così, e non ce ne accorgevamo, perché era il tempo delle vacche grasse e, allora, ogni carnevalata sembrava legittima o, quanto meno, scusabile, ed ogni battuta cretina, ogni gesto volgare parevano peccati veniali, da accogliere con un complice sorriso d’indulgenza?

Forse siamo sempre stati pazzi, e quel che siamo riusciti a fare - che non è poco, visto che, bene o male, siamo una delle maggiori economie al mondo, membri del G-8, nonché patria di santi, di poeti, di artisti, di scienziati e, almeno fino a ieri, di arditi e geniali navigatori - lo abbiamo realizzato «per intervalla insaniae», come il povero Lucrezio allorché, negli intervalli di lucidità, componeva il suo immortale poema sulla natura delle cose, dopo che un micidiale beveraggio amoroso gli aveva liquefatto il senno?

Una cosa è certa: siamo in pina recessione, ma non solo economica e produttiva; a monte di queste, vi sono la recessione morale e quella dell’intelligenza. E ci siamo arrivati, quel che è più triste, per un eccesso di furberia.

Il peso delle cattive abitudini ha fatto il resto.

Non si possono rimandare i problemi all’infinito; non si può darla a intendere per sempre; se non si ha il coraggio di incidere la ferita con il bisturi quando è necessario, essa degenera in cancrena: perché nessun Dio assiste i pigri in eterno e ogni nodo, prima o dopo, giunge al pettine.

Troppo a lungo abbiamo seguito la meschina politica di nascondere la sporcizia sotto il tappeto; inevitabilmente doveva arrivare il giorno del «redde rationem».

Nessun destino avverso ci ha dichiarato guerra: abbiamo fatto e stiamo facendo tutto da soli. O avviamo una bonifica morale e una riforma radicale del nostro modo di vivere in società, imparando ad essere molto più esigenti con noi stessi e con quanti svolgono ruoli di responsabilità, oppure scivoleremo sempre più in basso.

Fuori dall’Europa, fuori dalla storia.

Forse non è troppo tardi; forse siamo ancora in tempo: ma dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere i nostri errori, le nostre inescusabili debolezze.

L’esame che dobbiamo fare di noi stessi dovrà essere spietato; non ci salveremo più con le formulette auto-assolutorie: «Italiani brava gente», «A noi Schettino, a voi Auschwitz»; né affidandoci a qualche grande illusionista, come lo è stato Berlusconi, il quale, al posto delle cose reali, ci ha rifilato slogan pubblicitari, sogni ed illusioni.

Non ci sarà più spazio per il patto scellerato in base al quale i politici chiudevano gli occhi davanti alle sistematiche illegalità quotidiane dei cittadini, e questi ultimi li chiudevano davanti alle ruberie e alle inverosimili incompetenze di quelli.

Dovremo diventare adulti, oppure precipitare nel baratro del Terzo Mondo.

Il tempo delle chiacchiere é finito.

A noi la scelta.