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Siria, la covert action occidentale

di Michele Paris - 21/02/2012

 
    


Mentre la crisi siriana non accenna a placarsi, le potenze occidentali e del Golfo Persico interessate a rovesciare il regime di Bashar al-Assad continuano a fare pressioni su Damasco e a operare dietro le quinte per promuovere finanziariamente e militarmente un’opposizione ancora frammentata e con poco seguito nel paese. A gettare nuova benzina sul fuoco, sono state negli ultimi giorni le dichiarazioni di due autorevoli senatori americani e la conferma ufficiale dell’impiego di droni statunitensi nei cieli della Siria.

Nel corso di una visita a Kabul, i repubblicani John McCain dell’Arizona e Lindsey Graham della Carolina del Sud, hanno sostenuto apertamente la necessità che gli Stati Uniti forniscano armi all’opposizione siriana, anche se non in maniera diretta ma tramite altri paesi. Il senatore Graham, inoltre, ha spiegato in maniera inequivocabile l’importanza della Siria nell’ambito della strategia americana in Medio Oriente, volta principalmente ad isolare l’Iran e a provocare un cambio di regime a Teheran. Per Graham, “allontanare la Siria dall’Iran avrebbe la stessa importanza delle sanzioni nel contenimento della Repubblica Islamica. Se il regime siriano verrà sostituito da un'altra forma di governo senza legami con gli iraniani nel prossimo futuro, il mondo sarà un posto migliore”.

Dopo l’Afghanistan, McCain e Graham si recheranno in Egitto, dove nel summit previsto con i rappresentanti della giunta militare al potere al Cairo la questione siriana occuperà una parte importante. Stati Uniti ed Egitto sono nel pieno di una crisi diplomatica circa la sorte di alcuni operatori di ONG americane messi sotto accusa dalle autorità locali. Nonostante Washington abbia chiesto al governo egiziano di lasciar cadere ogni accusa, il regime deve fare i conti con il diffuso sentimento anti-americano tra la popolazione.

Dal momento che gli USA hanno minacciato di tagliare gli aiuti all’Egitto, che ammontano a circa 1,3 miliardi di dollari l’anno, i militari al potere stanno allora mostrando la loro disponibilità verso Washington riguardo la crisi in Siria. L’Egitto ha infatti annunciato domenica di aver ritirato il proprio ambasciatore a Damasco, mentre pare abbia assicurato gli americani di adoperarsi all’interno della Lega Araba, che ha sede al Cairo, per aumentare le pressioni sul regime di Assad.

Le dichiarazioni dei due senatori USA, peraltro, sono superate dalla realtà sul campo, visto che l’opposizione siriana riceve da tempo sostegno materiale sia dall’Occidente che dalla Turchia e da molti paesi arabi interessati a rimuove Assad. Il cinismo dei governi occidentali emerge anche dalle preoccupazioni espresse da più parti per l’aggravarsi della situazione in Siria.

L’altro giorno, ad esempio, il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha affermato di temere per lo scivolamento del paese verso la guerra civile. Dal Messico, poi, gli ha fatto eco il suo omologo australiano, Kevin Rudd, per il quale è sempre più difficile giungere ad una soluzione pacifica della crisi in Siria. Dichiarazioni simili tralasciano ovviamente di ricordare come le violenze e la deriva della guerra civile siano alimentate anche da questi stessi governi per giustificare un intervento militare esterno.

L’atteggiamento sempre più aggressivo degli Stati Uniti è stato confermato poi sabato da un esponente dell’amministrazione Obama, il quale ha detto alla NBC che Washington sta operando una “missione” con aerei senza pilota in Siria. La fonte della rivelazione ha escluso che gli USA stiano preparando un intervento armato in questo paese. Il dispiegamento dei droni, che rappresenta un’evidente violazione dello spazio aereo siriano, servirebbe piuttosto a raccogliere informazioni circa la repressione del dissenso da parte delle forze del regime, in vista di una “risposta della comunità internazionale”.

Ancora sabato, inoltre, il giornale israeliano Haaretz ha scritto che l’esercito siriano ha arrestato più di 40 agenti turchi che stavano collaborando con l’opposizione in territorio siriano. Gli arrestati, secondo quanto riportato dalla stampa ufficiale del regime di Assad, avrebbero confessato di avere ricevuto addestramento dal Mossad israeliano ed avevano il compito di organizzare attentati per destabilizzare il paese. Uno degli agenti turchi avrebbe anche rivelato che il Mossad sta addestrando i disertori che fanno parte dell’Esercito Libero della Siria, così come membri di Al-Qaeda in Giordania da inviare in Siria per mettere in atto azioni terroristiche. Attorno ai 40 arrestati sarebbero in coso trattative tra Ankara e Damasco. Per la loro liberazione, il governo siriano vorrebbe in cambio l’estradizione di ufficiali e soldati che hanno defezionato e trovano ora rifugio in Turchia.

Che le confessioni estratte dagli agenti turchi corrispondano o meno alla verità, la presenza di cellule di Al-Qaeda in Siria è stata confermata recentemente anche dal direttore dell’intelligence americana, James Clapper, riferendosi alle bombe esplose nelle ultime settimane a Damasco e Aleppo.

L’atteggiamento sempre più spregiudicato dell’opposizione armata siriana è emerso anche da una serie di assassini mirati. Nella provincia nord-occidentale di Idlib vicino al confine turco, domenica sono stati uccisi da uomini armati un pubblico ministero, Nidal Ghazal, il procuratore generale Mohammed Ziyadeh e il loro autista mentre viaggiavano sulla stessa auto. Il giorno precedente era caduto invece vittima di un’esecuzione Jamal al-Bish, membro del consiglio comunale della città di Aleppo. Questi episodi sono tutt’altro che isolati. L’11 febbraio era stato infatti assassinato in un’imboscata fuori dalla sua abitazione di Damasco il generale Issa al-Khouli, noto medico militare legato alla famiglia Assad, mentre a gennaio la stessa sorte era toccata al capo della Mezzaluna Rossa nella città di Idlib, Abdulrazak Jbero, mentre si stava recando nella capitale siriana.

Oltre alla repressione del regime in corso nelle città dove è forte la presenza dei “ribelli” (Deraa, Hama, Homs), basandosi sui resoconti di dubbia affidabilità delle organizzazioni con sede all’estero legate all’opposizione, la stampa occidentale nel fine settimana ha dato ampio spazio alla manifestazione di protesta contro il regime nel quartiere borghese di Mezze, a Damasco. La dimostrazione sembra aver raccolto alcune centinaia di partecipanti dopo che le forze di sicurezza avevano aperto il fuoco su un funerale di un manifestante.

La capacità dell’opposizione di mobilitare un vasto numero di siriani, in ogni caso, appare ancora scarsa, soprattutto nelle principali città del paese come Aleppo e Damasco. Secondo la Associated Press, domenica alcuni attivisti nella capitale avevano cercato di organizzare un giorno di sciopero in solidarietà delle vittime della repressione nelle altre località sotto assedio. La risposta è stata però a dir poco tiepida, tanto che tutte le attività commerciali e gli uffici pubblici sono rimasti aperti.

Il 26 febbraio prossimo, intanto, si terrà l’annunciato referendum sulla nuova costituzione che, nelle intenzioni di Assad, dovrebbe aprire la strada verso il multipartitismo in Siria. La consultazione, anticipata di un mese rispetto alla data originariamente prevista, si svolgerà tuttavia in un’atmosfera carica di tensioni, mentre le opposizioni e l’Occidente hanno già denunciato l‘iniziativa come una manovra puramente di facciata da parte del regime.

Sostegno al referendum è stato espresso invece dall’inviato di Pechino a Damasco, il vice-ministro degli Esteri Zhai Jun, il quale dopo aver incontrato Assad nella giornata di sabato ha fatto un appello a tutte le parti per fermare le violenze. La posizione cinese riguardo la Siria appare d’altra parte molto chiara, come ha evidenziato un editoriale apparso lunedì sulla prima pagina dell’organo del Partito Comunista, Il quotidiano del popolo, e che accusa esplicitamente l’Occidente di alimentare la guerra civile nel paese, tramite il sostegno all’opposizione e le richieste di dimissioni di Assad, così da promuovere un intervento militare.

Un ultimo segnale della pericolosa escalation delle tensioni in Siria si è avuto infine qualche giorno fa, quando due navi da guerra iraniane hanno attraversato il Canale di Suez per attraccare nel porto siriano di Tartous. In questa località, la Russia mantiene una base navale strategicamente fondamentale per i suoi interessi nella regione e per difenderli sembra essere disposta a impedire ad ogni costo qualsiasi interferenza esterna che possa sconvolgere gli equilibri esistenti.