Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / E se Andromeda non volesse farsi liberare?

E se Andromeda non volesse farsi liberare?

di Francesco Lamendola - 21/02/2012


 

 

Ecco che Perseo scende col suo cavallo alato, Pegaso, sulle onde del mare e si scaglia contro il terribile dragone, un istante prima che questo si avventi sulla bella Andromeda, la figlia del re d’Etiopia, Cefeo, e della regina Cassiopea; la quale, nuda e indifesa, incatenata sugli scogli, era stata destinata a saziare la fame del mostro.

Ed ecco che San Giorgio, lancia in resta, parte al galoppo contro il drago che stava ormai per ghermire la giovane principessa Silene, figlia del libico re di Selem, anch’ella incatenata in riva ad un profondo stagno o lago, ed in attesa di venire divorata.

E Ruggero, sempre a cavallo e armato di lancia, non esita ad affrontare l’orca marina che si accinge a divorare la bellissima Angelica, dove l’hanno abbandonata i crudeli abitanti dell’isola di Ebuda; così come Orlando si batterà per salvare la vita della affascinante ed inquieta Olimpia, altra eroina del poema di Ariosto.

Insomma, l’immaginario della mitologia e della cultura occidentale possiede un vero e proprio archetipo: quello della lotta del cavaliere contro il drago, o una analoga creatura degli abissi, per liberare e salvare da morte sicura una giovane donna di stirpe principesca o comunque aristocratica, tanto più commovente nella sua nudità indifesa, legata o incatenata sulle rocce della riva, tenera preda del mostro che suscita nel pubblico, nel medesimo tempo, un leggero sentimento di sadismo e un caldo desiderio di protezione.

In versione profana o religiosa, si tratta di uno dei “topoi” più universalmente noti e più famosi di tutta la cultura occidentale; non solo poeti e scrittori, ma anche scultori e pittori - da Raffaello, Carpaccio e Vasari, fino a Chasseriau, Delacroix, Moreau e poi ancora più su, fino a Tamara de Lempicka - ne hanno subito il fascino e si sono cimentati nella sua rappresentazione; senza dimenticare i compilatori delle vite dei santi, come il vescovo Jacopo da Varazze (o da Varagine), autore della celeberrima «Legenda aurea», che ha reso nota la leggenda di San Giorgio in tutto il mondo.

In molte di queste tradizioni, s’intende, la bella principessa non tarda a innamorarsi, riamata, del suo valoroso salvatore e il loro idillio corona la vittoria di questi nell’epico combattimento contro il drago, aggiungendo una nota romantica e gentile alla storia concitata e drammatica che ha portato la povera donzella a correre un pericolo sì grande.

Nel caso del mito greco, Perseo, da astuto calcolatore, si è addirittura inteso in anticipo con il re Cefeo e la sua sposa, per ottenere da essi la mano della loro figlia, una volta che l’abbia liberata, uccidendo il mostro marino inviato da Poseidone a divorarla, perché l’incauta Cassiopea aveva osato vantare la bellezza di Andromeda come superiore a quella delle Nereidi.

Si tratta di una conclusione quasi scontata della vicenda: come potremmo immaginare che il cavaliere e la giovane principessa, dopo l’uccisione del mostro, non convolino a giuste nozze o che, perlomeno, non si abbandonino a una passione travolgente; come possiamo immaginare che non rimangano folgorati, entrambi, lui dalla smagliante bellezza di lei, lei dal coraggio indomito dimostrato da lui?

Del resto, si sa, dopo il pericolo, viene la gioia; dopo la paura, viene l’amore: il lieto fine è d’obbligo in ogni favola che si rispetti, e questa è una delle favole più toccanti, più avvincenti, di tutto il nostro pur ricco immaginario mitico e cavalleresco.

Ma che cosa accadrebbe se Andromeda, invece, non gradisse affatto l’intervento del suo eroico salvatore; se lo pregasse, più o meno gentilmente, di allontanarsi e farsi i fatti suoi; se preferisse attendere l’arrivo del mostro marino non come quello di un nemico, ma come quello di un possibile amante di nuova specie, come una sorta di test, per vedere fino a che punto si spinge il suo potere di seduzione?

Forse ella vuol vedere fino a dove sarà capace di dominare, con la sola forza della sua bellezza prorompente, qualunque imprevisto e qualunque situazione, per quanto difficile e quasi disperata; o forse si aspetta che il mostro marino, non che divorarla, la prenda in groppa e la conduca dal suo potente signore delle profondità marine, da Poseidone in persona o da qualche altro augusto e misterioso personaggio, che di lei potrebbe essersi invaghito, ed ha architettato tutta quella messa in scena al solo scopo di rapirla e farsela condurre al suo palazzo?

Chi potrebbe dire che l’ancestrale desiderio femminile di saggiare la propria onnipotenza, di godere del superbo ascendente che può essere esercitato su qualunque uomo, su qualunque creatura, non giunga a questi livelli di pericolosa audacia e di sofisticata raffinatezza, fino a scherzare col fuoco del mostro, fino ad esporre la propria stessa vita?

Chi può dire fino a dove non potrebbe giungere la vanità e la brama di potere di una donna che sa di essere bella, che sa di essere resa ancor più bella dalle strane e drammatiche circostanze, che sa di poter sfoggiare il rossore di un pudore calpestato da cause di forza maggiore, e che può offrirsi completamente nuda allo sguardo altrui, però, nello stesso tempo, non solo innocente di ogni esibizionismo, ma vittima e parte offesa di una lugubre messa in scena, che soddisfa il suo masochismo latente, quanto il latente sadismo del maschio?

Un’altra ipotesi che potrebbe spiegare il rifiuto di esser liberata è che la fanciulla, per qualche sua ragione - forse perché arrabbiata e delusa del sesso maschile, per qualche sua dolorosa esperienza personale - abbia deciso di lasciare una eterna nostalgia nel cuore del suo bel cavaliere, un eterno struggimento, un eterno rimorso per non averla salvata.

Ella morirà, atrocemente straziata dalle zanne e dagli artigli del drago; ma, prima di morire, lancerà un ultimo sguardo al suo mancato salvatore, languido e crudele al tempo stesso: uno sguardo di sfida, uno sguardo di disprezzo, oppure uno sguardo di rimprovero, o tutte queste cose insieme, insomma uno sguardo indecifrabile, in cui siano concentrate tutte le seduzioni e tutte le crudeltà di cui è capace una donna: e quello sguardo sarà l’ultima cosa che il cavaliere avrà di lei, e lo porterà poi sempre con sé, giorno e notte, sempre, sempre, e non avrà mai più pace.

Quale suprema voluttà, morire sapendo di legare a sé per sempre l’anima di un altro essere umano; sapendo che quest’ultimo, qualunque cosa farà, ovunque andrà, chiunque amerà nella sua vita, non potrà mai più dimenticarla, non potrà mai più perdonarsi, non potrà mai più impedirsi di riandare cento volte, mille volte, infinite volte, a quell’ultimo, drammatico colloquio di sguardi, elettrico, terribile, incomprensibile!

Quale supremo piacere, morire sapendo che un altro essere umano, a partire da quel preciso istante, comincerà a morire anch’egli, e che, per ogni giorno ed ogni ora che gli resteranno da vivere, non potrà mia più smettere di amarla, né di disprezzarsi, di pensare a lei e di ricordare la propria impotenza, di desiderare lei e di sapere che non potrà averla mai più, e che è stata solo colpa sua, perché non ha saputo osare, non è stato capace di disobbedirle.

Sia come sia, la situazione che vogliamo immaginare è questa: la principessa non vuole essere salvata; ordina al cavaliere, con voce imperiosa e tagliente, di togliersi di torno; si lascia poi sbranare, o magari rapire, dalla creatura vomitata dall’inferno, lei così bianca e soave, lei così angelica e dolce, così infinitamente desiderabile…

Un bel rompicapo, no? Eppure, lo sappiamo, quante volte una donna, crudelmente maltrattata dal suo uomo, si rivolta con ferocia, con aggressività, con autentico furore, contro il malcapitato galantuomo che, impietosito dalle sue grida e dalle sue lacrime, ingenuamente era volato al suo soccorso, affrontando il bruto ed ingiungendogli di togliere quelle manacce sacrileghe dal tenero corpo indifeso della gentile donzella?

Fuor di metafora: se la società moderna è in pericolo; se il mostro della modernità brutale, spietata, senz’anima, è sul punto di divorarla; e se qualche Don Chisciotte sale in groppa al proprio Ronzinante per volare al suo soccorso, per battersi in sua difesa, per affrontare con impavido coraggio il mostro sbuffante fumo e fiamme: siamo proprio sicuri che la società sarà grata a quest’ultimo, che lo accoglierà come un salvatore, che gli butterà le braccia al collo, per esprimergli tutta la propria riconoscenza?

No, diciamo la verità: non si può esserne affatto sicuri, specialmente considerando il fatto che legioni di intellettuali prezzolati non fanno che ripetere che il mostro non è poi tanto brutto, che non bisogna poi averne così paura, e, soprattutto, che non bisogna respingerlo come fosse un nemico, né accettare che qualcuno ci metta in guardia contro di esso, ci porga aiuto per combatterlo e ricacciarlo indietro.

Forse il novello Perseo o il novello San Giorgio dovranno vedersela non solo con il drago feroce, ma anche con la donzella infuriata contro il suo indesiderato soccorritore, contro il suo sgradito paladino; per non parlare degli spettatori, che, mentre non avrebbero mosso un dito per difendere la principessa quando il mostro l’avesse ghermita, sono però ora pronti, prontissimi, a prendere a sassate il cavaliere e a lanciare imprecazioni e minacce al suo indirizzo…

Non fare mai del bene, se non puoi sopportare l’ingratitudine degli uomini, ammonisce un noto adagio; e raramente un aforisma ha colpito nel segno più di questo, raramente ha saputo mettere il dito con altrettanta lucidità in una piaga purulenta dell’animo umano.

Perché nei miti e nelle favole il lieto fine è assicurato, con l’amore dei due bei giovani, il salvatore e la salvata; mentre, nella realtà, succede non di rado che il salvatore sia preso a male parole, sia lapidato, sia scacciato e deriso e insultato, in premio del suo coraggio, del suo spirito di sacrificio e della sua buona volontà.

Il mostro della modernità deve essere ben astuto, oppure le belle fanciulle in pericolo devono essere ben stupide, così come devono esserlo le masse abbrutite da un conformismo feroce, da un sistematico lavaggio del cervello, fino al punto di non saper più riconoscere gli amici dai nemici; fino al punto di scagliarsi contro i primi e di accogliere i secondi a braccia aperte.

È un situazione paradossale, inverosimile, eppure è la realtà quotidiana: almeno per abbia occhi per vedere e orecchi per udire.

I banchieri ci hanno ridotto alla miseria, eppure non solo continuiamo ad affidare loro i nostri sudati risparmi, ma li chiamiamo a governare gli Stati, per salvarci dalla crisi e per salvare i nostri posti di lavoro e, appunto, i nostri risparmi.

I politici ci ingannano e usano sfacciatamente il potere per coltivare i propri loschi affari privati, eppure, ad ogni tornata elettorale, continuiamo a dar loro fiducia.

I giornalisti non fanno che disinformarci, al servizio di poteri ben decisi a nasconderci la verità, ma intanto noi compriamo e leggiamo scrupolosamente le loro indegne gazzette.

I proprietari delle reti televisive sfruttano il loro immenso potere mediatico per rendere più malleabili le nostre menti sotto la sua azione massiccia e quotidiana, e nondimeno continuiamo a stare incollati all’apparecchio, quasi ci sentissimo perduti senza di esso.

Gli urbanisti e gli arcitetti continuano a pianificare la bruttezza delle nostre città e delle nostre case, eppure noi continuiamo ad abitarle, e finiamo per rassegnarci a trovarle quasi belle.

Gli intellettuali ci prendono in giro, vendendoci continuamente aria fritta in cambio della nostra attenzione e della nostra considerazione, però seguitiamo a prenderli sul serio.

I medici continuano a spadroneggiare sulla nostra malattia, a imbottirci di sostanze chimiche delle quali non ci spiegano nemmeno la funzione, a sottoporci a interventi chirurgici troppo spesso inutili e dannosi, e noi seguitiamo a delegare loro la responsabilità della nostra salute.

Gli psicanalisti continuano ad esercitare i loro lugubri riti di magia nera sulla nostra pelle dolorante, sfruttando il nostro smarrimento e la nostra sofferenza, e noi seguitiamo a rivolgerci ad essi con fiducia incondizionata, quasi fossero dei filantropi, e a pagarli profumatamente.

I calciatori ci prendono in giro con le partite truccate, come se non bastassero loro gli ingaggi da capogiro, e noi continuiamo a riempire gli stadi, a venerarli come dei divi, a perdonare ed a scusare illimitatamente qualunque loro colpa.

No, la bella fanciulla non ha nessuna voglia di essere salvata; per lei, il cavaliere che corre in suo soccorso è solo un fastidioso rompiscatole, che ella dovrà trovare il modo di mandare via al più presto, con le buone o con le cattive.

Non sia mai che quel bel tomo rivolga la sua empia e sciocca lancia contro il caro, vecchio mostro dalle fauci spalancate… ci mancherebbe solo questa.