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La Tav "si deve fare", una lista di bonus per i valsusini

di Andrea Degl'Innocenti - 05/03/2012


Nonostante vi siano innumerevoli studi autorevoli sull'infattibilità e la dannosità dell'opera, il governo non sembra intenzionato a fare passi indietro. L'ultima proposta fatta ai cittadini è quella di una serie di bonus che producano vantaggi economici per gli abitanti della zona. Ma come mai da 20 anni a questa parte nessun governo ha mai rimesso in discussione la Tav?


No Tav
Sembra necessaria una discussione sul perché da vent'anni nessun governo è mai stato disposto a rimettere in discussione una delle opere più criticate d'Italia

La Torino Lione "s'ha da fare". Nonostante l'inutilità resa ormai palese da numerosi studi, nonostante l'enorme impatto ambientale, nonostante le spese folli, il governo continua a ripetere come un mantra lo stesso concetto, senza fornire spiegazioni. Non accetta confronti, non si apre al dialogo. Si aggrappa disperatamente alla scusa dei lavori già iniziati in Francia (che lo storico attivista No-Tav Claudio Giorno ci ha detto essere notizia praticamente infondata), parla dei soldi già spesi (circa l'1 per cento del totale), cerca di spostare lo scontro su una “questione di ordine pubblico”. Ma non muove di una virgola la sua posizione riguardo all'opera: "si deve fare".

Assieme al governo, poi, si muove su un unico fronte – con rare eccezioni - l'intero arco della classe politica, da destra a sinistra. E con loro, amici fedeli, buona parte dei giornalisti. L'allegra brigata non ha dubbi sull'utilità della Tav, e non si capacita delle tante proteste. Addirittura dalle pagine di Repubblica lo storico direttore Eugenio Scalfari inveisce contro i giovani “che odiano la velocità” e li esorta: “Coraggio, studenti del Duemila. I vostri padri e i vostri nonni avrebbero voluto qualche cosa di simile”.

Ora, dicevamo, le ragioni dei “giovani che odiano la velocità” (e quelle degli adulti e degli anziani - e a dire il vero non traspare dalla protesta alcun odio generico per la velocità) sarebbero sufficienti per bloccare l'opera all'istante. Sono sempre più le voci autorevoli che dimostrano l'inutilità e la dannosità tecniche della Torino-Lione, sotto vari punti di vista. L'appello online “Siamo stati in Val di Susa” ne raccoglie alcuni dei più autorevoli: quello del Politecnico di Torino, del Politecnico di Milano, del COWI, del prof. Tartaglia, del prof. Ponti, Del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, di FF.SS., RFI, TAV e ISPA, dell'ing. Zilioli.

Ma nessuna di queste ricerche è valsa a far indietreggiare di un passo il governo. Né a qualcosa sono valse le proteste che negli ultimi giorni hanno invaso molte città d'Italia, bloccando arterie stradali, paralizzando il traffico.

La risposta giunta oggi dal governo, frutto della riunione di venerdì fra Monti, Catricalà, Passera, Cancellieri, Severino, ha dell'assurdo. Si propongono ai valsusini tre bonus, che non rimettono in discussione minimamente l'opera, ma da cui gli abitanti della zona trarrebbero vantaggio economico.

1. Sgravi fiscali consistenti per i Comuni coinvolti, in base alla vicinanza

2. Sistema di convenzioni tra la stazione appaltante e i Comuni per cui tutti i dipendenti dei cantieri mangerebbero e dormirebbero presso i Comuni medesimi

3. Corsi di formazione per gli abitanti della valle che, una volta riqualificati, verrebbero occupati nei cantieri.

Come a dire “tanto l'opera la facciamo, almeno traeteci vantaggio”. Nella risposta del governo si possono leggere molti significati. La tendenza a ricondurre la questione Tav ad una lotta confinata nella Val di Susa, relativa solo ai suoi abitanti e ai loro interessi particolari; la volontà di inserire nella lotta fattori di vantaggio economico che potrebbero creare dissidi interni e rompere la coesione sociale del movimento; la ferrea distinzione fra i soggetti che protestano (che si cercano in qualche modo di accontentare) ed i motivi della protesta (che non vengono considerati).

In altre parole il governo sta usando il “metodo francese”. In Francia già da un decennio si lavora ad ammorbidire le resistenze umane all'opera in val Maurienne. Una legge del 2002 prevede che l’86% delle imprese siano locali, che il personale dei cantieri si appoggi ad alberghi e ristoranti della zona, che vi siano sgravi fiscali, e venga eventualmente destinato alle comunità locali il ricavato della vendita della roccia scavata.

Ma fortunatamente proprio dalla Francia arrivano buone notizie. Un articolo del Fatto Quotidiano riporta un recente studio dell'Agenzia nazionale per l'ambiente francese, società pubblica, che avanza forti dubbi sugli studi di fattibilità fin qui condotti per la realizzazione dell'opera. Il dossier sulla Lione-Torino, si legge nel rapporto, “ha un carattere incompleto […] il suo grado di coerenza e di precisione è spesso inferiore a quello che ci si potrebbe attendere da uno studio di impatto riferito a un’opera di questa portata”.

Ma se a Parigi sembra aprirsi un piccolo spiraglio di luce, da noi il cielo è ancora chiuso. Resta da capire il perché di tanto accanimento sull'opera. Ovviamente conta il fattore economico, come testimonia l'appello “Siamo stati in Val di Susa”, che elenca tutte le imprese (ed i vari imprenditori e politici) coinvolte nella realizzazione dei lavori, e l'entità degli appalti. Dalla Cmc, con ex-amministratore Pier Luigi Bersani, alla Rocksoil di Giuseppe Lunardi, alla Impregilo di Gavio, Benetton e Ligresti.

Ma gli interessi economici non bastano. C'erano anche nel caso del ponte sullo Stretto di Messina, per non parlare delle Olimpiadi di Roma, eppure entrambi i progetti sono stati annullati. Le Grandi opere sono sempre accompagnate da immensi interessi economici, ma l'attuale governo non ha esitato ad andare contro alcuni interessi nei due casi sopracitati. Sulla Tav invece è inflessibile, perché?

Qui ognuno è libero di trovare la sua risposta, conferme, per il momento, non ve ne saranno. Un'ipotesi può essere quella di voler dare una dimostrazione di forza nei confronti di uno dei movimenti più longevi e combattivi del nostro paese. Le prove di forza, come testimonia Naomi Klein nel libro Shock Economy, sono parte integrante nel processo di smantellamento dello stato sociale in chiave neoliberista.

Altra ipotesi interessante è quella avanzata dal blogger Filippo Bovo, che vede il complesso progetto di treni ad alta velocità europeo come un modo per unire maggiormente il blocco occidentale con l'ex blocco sovietico e dunque facilitare la penetrazione della Nato nella ex-Urss. Niente di tutto questo è provato. Ciononostante ogni ipotesi può essere uno spunto di riflessione per comprendere meglio perché, da vent'anni a questa parte, nessun governo è mai stato disposto a mettere in discussione una delle opere più criticate d'Italia.