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Come all’epoca di Tangentopoli? Putroppo no

di Fabio Pagano - 10/04/2012

Fonte: incursioni


craxi 2

Quindi ci è caduta anche la Lega… oramai è ufficiale: come scrive oggi Marcello Veneziani sul Giornale, “Si ruba non solo in Italia ma anche in Padania”. Il paese si ritrova unito, la magistratura mette tutti d’accordo: si indaga sul tesoriere padano e su quello della Margherita, così come sui democratici in Toscana. Per quanto riguarda il Pdl, essendo il partito di Berlusconi, sui suoi esponenti si indaga da sempre. Nell’immaginario popolare è così facile fare di tutta l’erba un fascio: la politica è corrotta, i partiti sono corrotti. Di questi tempi cosi difficili, poi, appare davvero intollerabile pensare che non sia cambiato granché da Tangentopoli.

Qualcosa è cambiato. Quei politici lì, almeno, la politica la sapevano fare. Gestivano consenso, distribuendo prebende. La corruzione era sistemica e democratica. Tutti sapevano ed a molti dei tutti andava bene. Alzi la mano chi si sorprese di quanto scoprì allora la Procura di Milano. Il Paese era pienamente consapevole di come i politici gestivano i soldi pubblici. La cosa veramente sorprendente (ma non tanto, col senno di poi) fu che a un certo punto la magistratura se ne accorse e una intera (o quasi) classe politica fu spazzata via. La scena di Craxi bersagliato dalle monetine lanciate dalla folla inferocita si inseriva nella nota tradizione del Belpaese, di cui non vi è da essere fieri ma piuttosto disgustati…dalla folla, si intende. Dopo un po’, sulla scena repubblicana, fece la comparsa il governo Dini. La politica cedeva ai tecnici.

Eppure a quei politici lì qualcosa bisogna pur riconoscere. Perché questi di adesso sono riusciti anche a farteli apprezzare nella loro – questa sì – intollerabile pochezza. Alcuni episodi degli anni della prima Repubblica a raccontarli oggi sembrano fantascienza. Craxi, ad esempio, fu protagonista di un atto di sovranità come quello esercitato dall’Italia in danno degli americani durante la Crisi di Sigonella. A chi interessa, si vada a rileggere la storia di quell’episodio. E’ solo un esempio, ma che tradisce uno spirito, uno spessore. Non vi è un uomo, tra i politici nostrani, capace oggi di tanto. Invano cercherete traccia di quello spirito a “Porta a Porta”.

Oggi, invece, il nostro parlamento appoggia democraticamente il governo dei tecnici e dei banchieri voluto da Bruxelles. Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione, diceva Carl Schmitt. Pertanto, il parlamento vota il governo Monti perché la situazione, convengono tutti, è davvero eccezionale. La Signora Monti ha raccontato, in un’intervista pubblicata da un noto settimanale italiano pochi giorni fa, ché il marito ha accettato l’incarico di premier, poiché chiamato direttamente dal nostro Presidente della Repubblica. Non per scelta ma per dovere. Bisognava risanare i conti di un paese in rovina incapace di convincere i mercati della propria solvibilità, dato il debito pubblico accumulato negli anni e che oggi viene quantificato in una moneta, l’euro, che non ci appartiene e che non possiamo emettere, ma che dobbiamo comprare dalle banche commerciali. Per cui, preso atto della situazione, Monti e il suo governo, che di banche ne capiscono, hanno iniziato la cura. Perché loro sono i tecnici: per definizione, sanno dove intervenire e a chi chiedere istruzioni. Per il nostro bene, per carità. Lo dicevano tutti i giornali.

Sembra che la cura dia i suoi frutti. I numeri migliorano (almeno così dicono) e – soprattutto – i mercati adesso iniziano a fidarsi dell’Italia. Certo, la disoccupazione è al massimo storico. Certo, la maggior parte dei pensionati non arriva a fine mese. Certo, il sistema creditizio sta strangolando le piccole e medie imprese, da sempre il tessuto sano della nostra economia. Queste ultime falliscono in continuazione e ogni giorno, se spulciate i giornali, troverete la notizia di qualcuno che si suicida per disperazione. Disperazione che accomuna disoccupati e imprenditori. Ciò che davvero sorprende è che basta un poco di buon senso per capire che il farmaco, facendo fede all’etimologia, non è niente altro che veleno.

E quindi, per tornare all’inizio, i nostri politici rubano ancora. Oggi che la crisi è così evidente, qualcuno arraffa quel che può, altri cercano di capire come continuare a sopravvivere quando i tecnici – che possono fare tutto, appunto – se ne saranno andati. Per cui ogni tanto si battaglia, come sulla nuova formulazione dell’art. 18, compromesso da Prima Repubblica, per far vedere che i partiti ci sono ancora, contribuiscono. Ma quelle dei politici nostrani sono battaglie di retroguardia. Il loro silenzio sulle questioni fondamentali è assordante. Incredibile che in Italia non ci sia stato un dibattito serio sull’euro. In realtà non decidono più nulla. Ma almeno parlassero di qualcosa, si salverebbe la formalità democratica, cui tanti opinionisti sono affezionati. Si obietterà: sono i tempi, è la situazione mondiale, è la globalizzazione, sono i mercati, se anche volessero decidere, persino porre questioni, non potrebbero. Il parlamento non ha più gli strumenti, lo Stato nazione è troppo piccolo per incidere su meccanismi globali.

Così, però, è troppo facile. Se la democrazia odierna ha una caratteristica evidente è quella di deresponsabilizzare i suoi attori. Per cui: i politici non possono nulla, nemmeno ribellarsi. I tecnici – in quanto tali – non danno conto a nessuno. La massa subisce, in assenza di alternative…perché si faccia popolo, c’è bisogno di spirito e di uomini di spessore. Se uomini di tal fatta si palesassero, sarebbe opportuna una legge che li rendesse impunibili e improcessabili. Si potrebbe, perché no, aumentare il finanziamento pubblico ai loro partiti. Purché si palesasse un minimo di spirito.