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Desaparecidos: disposiciòn final. Parla Jorge Videla: non pentito…

di Giorgio Ballario - 16/04/2012


In Argentina escono le memorie del dittatore Videla. Che non è pentito. Il titolo è apparentemente asettico: Disposiciòn final. Come un film di Schwarzenegger o un videogame qualsiasi. È il sottotitolo a fare la differenza: “La confessione di Videla suidesaparecidos”. Il libro, scritto dal giornalista Ceferino Reato, è uscito in questi giorni in Argentina e com’era prevedibile sta sollevando un vespaio di polemiche.

L’autore ha intervistato a lungo, nella sua cella della prigione federale di Campo de Mayo, l’anziano generale dell’esercito (87 anni ad agosto) che fu a capo della Giunta militare al potere in Argentina dal 1976 al 1983. Una dittatura crudele, ribattezzata dai militari “Processo di riorganizzazione nazionale”, durante la quale si calcola siano scomparse circa 30 mila persone, desaparecidos (cioè “spariti”) dopo essere stati illegalmente sequestrati dalla polizia o dalle forze militari e tenuti prigionieri in centri di detenzione clandestina, nei quali molti di loro subirono abusi, violenze e torture.

A distanza di oltre trent’anni della vicenda ormai si sa quasi tutto, grazie agli articoli di giornale, ai film, ai libri di testimonianze, alle inchieste giudiziarie e ai processi che si sono svolti non solo a Buenos Aires, ma anche nei Paesi di cui erano originarie alcune vittime, come l’Italia. E grazie soprattutto alla straordinaria tenacia delle madri di Plaza de Mayo, che per prime, fin dal 1977, denunciarono pubblicamente e coraggiosamente la scomparsa dei propri familiari. Una di loro, Azucena Villaflor, pagò con la vita: lei stessa venne rapita e uccisa dai militari.

Ma se è vero che dell’orribile fenomeno dei desaparecidos si sa tutto da molto tempo, perché allora il libro che raccoglie le memorie di Videla sta suscitando tanto clamore? È presto detto. Anche se moltissimi ufficiali d’ogni livello sono stati inchiodati alle proprie responsabilità dalle sentenze dei giudici, nessuno di loro, finora, aveva mai ammesso in modo così chiaro l’esistenza di un piano preciso per eliminare gli avversari politici. In precedenza si negava, si parlava di iniziative personali, di azioni necessarie a sconfiggere il terrorismo sfuggite poi di mano. Ora, a oltre trent’anni dai fatti, Jorge Videla ha deciso di far chiarezza.

Il generale aveva già concesso un’intervista nei mesi scorsi alla rivista spagnola Cambio 16 e il giornalista che gli aveva parlato, Ricardo Angoso, diceva di aver incontrato «un uomo fisicamente molto provato, molto invecchiato, consapevole di essere alla fine del proprio cammino, però mentalmente lucido. Travolto dalle proprie responsabilità e rassegnato a trascorrere in carcere i suoi ultimi giorni». A quanto pare prima di andarsene ha pensato di lasciare ai posteri la sua versione dei fatti.

Una confessione in piena regola, ma non ci si aspetti di trovare un’ombra di pentimento nel racconto dell’ex dittatore. Morti gli altri uomini forti della Giunta – l’ammiraglio Massera (Marina) e il generale Agosti (Aviazione) – e scomparsi anche gli uomini in divisa che gli succedettero poi alla presidenza della repubblica argentina (Viola e Galtieri), la versione fornita da Videla fa luce su molti aspetti di quei terribili sette anni, ma non sposta di una virgola l’interpretazione che i militari hanno sempre dato della Guerra sucia, la guerra sporca degli Anni Settanta al terrorismo.

«Eravamo in pericolo, c’era il rischio che scomparisse la nazione argentina – sostiene Videla nel suo libro di memorie – Non è che noi militari ci siamo svegliati un giorno con l’idea di andare a caccia o di uccidere giovani idealisti. Non c’era altra soluzione: noi militari eravamo d’accordo sul prezzo da pagare per vincere la guerra contro la sovversione». La Guerra sporca, lascia intendere il generale, non poteva che svolgersi con metodi sporchi, che avrebbero lasciato sul campo molte vittime.

Sul numero totale dei desaparecidos si tiene molto basso (ne ammette 7-8 mila), ma è interessante leggere la motivazione che il dittatore stesso dà della necessità di far scomparire gli avversari politici: soprattutto militanti di estrema sinistra dell’Esercito rivoluzionario del popolo (Erp), montoneros (peronisti di sinistra), sindacalisti, giornalisti e intellettuali legati alla Juventud Peronista. «Poniamo che per vincere la guerra contro la sovversione fossero 7-8 mila le persone che dovevano morire – spiega Videla – ebbene, non potevamo fucilarli e nemmeno affidarli all’autorità giudiziaria».

Al momento del colpo di Stato del ’76, la Giunta militare aveva raccolto un certo consenso nel Paese, a livello popolare ma soprattutto nelle istituzioni e tra i ceti produttivi, logorati e spaventati da anni di guerriglia. Ma i militari sapevano molto bene che il massacro sommario degli oppositori, anche se “sovversivi” e alcuni di loro oggettivamente terroristi, avrebbe provocato orrore anche fra gli iniziali sostenitori dei generali golpisti. «Per non provocare reazioni e proteste dentro e fuori dal Paese, si giunse alla decisione di far sparire tutta questa gente. E ad ogni scomparsa – precisa Videla, rispondendo a una domanda del giornalista – in effetti si può far corrispondere una morte».

Sono state fatte scomparire anche le vittime di scontri a fuoco, come è il caso del capo dell’Erp Mario Santucho, morto in una sparatoria con le forze armate: «Era un personaggio che avrebbe generato molte aspettative anche da morto – riconosce Videla – e mostrare il suo cadavere avrebbe dato luogo a omaggi e celebrazioni». Anche lui, come tanti altri desaparecidos, venne sepolto in un luogo segreto o gettato in alto mare da un aeroplano. Per questo motivo fu scelto dai militari di chiamare l’intera operazione “Disposiciòn final”, che nel gergo delle caserme argentine significa “togliere di mezzo una cosa che non serve più”.

Dal punto di vista operativo, già prima del golpe il Paese venne diviso in cinque zone e i comandanti di ciascuna di esse avevano compilato delle liste di proscrizione di persone “pericolose”, che avrebbe dovuto essere arrestate subito dopo la deposizione della presidentessa Isabelita Peròn. A contribuire alla stesura di questi elenchi, sostiene Videla, azzardando un’analisi politica del colpo di Stato e sulla successiva dittatura militare, furono anche imprenditori, sindacalisti e dirigenti politici che in seguito hanno “tradito” le forze armate.

Tra le anticipazioni giornalistiche, spiccano anche i giudizi poco lusinghieri del generale su parte della dirigenza peronista rimasta “orfana” di Juan Domingo Peròn. A parte le debolezze di Isabelita e l’aperta e già nota complicità con i militari da parte del brujo (lo stregone) Lopez Rega, ministro peronista, massone della P2 e fondatore del gruppo paramilitare Triple A (Alianza anticomunista argentina); Videla “denuncia” pure una certa connivenza del peronismo ufficiale: da Hector Càmpora, eletto presidente nel 1973, che poi cedette il potere al generale Peròn di ritorno dall’esilio spagnolo («Un uomo di poco carattere, pericoloso per quanto era maneggiabile») a Italo Luder, personaggio di spicco del peronismo “senza Peròn” che nel 1983 sarà avversario di Raul Alfonsìn alle prime presidenziali post-dittatura («Praticamente aveva dato a noi militari licenza di uccidere»).

Parole pesanti che investono, va sottolineato, persone che non ci sono più e quindi non possono fornire la propria versione dei fatti. Ma che in qualche modo confermano le responsabilità storiche e politiche, se non giudiziarie, di una vasta area della società argentina (tra cui parte dell’establishment peronista) nell’ascesa al potere dei militari. I quali militari, come spiega con chiarezza lo stesso Videla, avevano un progetto molto semplice, apertamente in contrasto con gli interessi del partito giustizialista: «In relazione al peronismo, uscire dalla sua visione populista e demagogica; in campo economico dar vita a un’economia di libero mercato, mettendo un freno al sindacalismo e al capitalismo clientelare».

Quando arriveranno le prime notizie di sequestri e massacri, soprattutto ai danni della gioventù peronista, e anche i peronisti e sindacalisti moderati capiranno di aver contribuito ad aprire il “vaso di Pandora”, sarà ormai troppo tardi per fare marcia indietro. E il potere dei militari troppo esteso per poter essere combattuto da un punto di vista politico. Al di là della repressione poliziesca del dissenso, generali e ammiragli realizzeranno così il disegno politico che la classe castrense argentina portava avanti da oltre trent’anni, fin dai primi conati di golpe degli Anni Quaranta contro il nascente astro di Peròn: privatizzare le industrie nazionali, smantellare i sindacati e ridurre i diritti civili e dei lavoratori, garantire ampi margini di profitto alle aziende straniere. E poi congelamento dei salari, nonostante la recessione e la crescita dell’inflazione, con il risultato di far precipitare il potere d’acquisto della maggior parte delle categorie lavorative. Nel periodo della dittatura molte aziende straniere si arricchirono a dismisura, mentre il Paese nel suo complesso ed i suoi lavoratori subirono un progressivo impoverimento.

Un perfetto programma neo-liberista, insomma. Che non a caso godette dell’appoggio neanche troppo nascosto degli Usa e soprattutto del segretario di Stato Henry Kissinger. Ma questa è tutta un’altra storia, che meriterebbe di esser raccontata a parte; così come i terribili anni della guerriglia e della violenza politica (1973-76) che portarono l’Argentina sull’orlo del baratro e di fatto prepararono il terreno alla macelleria della Giunta militare.

Nel libro uscito in questi giorni, come abbiamo visto, Jorge Videla si auto assolve da un punto di vista politico. Ma dal punto di vista morale? Le anticipazioni giornalistiche dicono poco, però parlando dei desaparecidos il vecchio generale riferisce di «un peso sulla sua anima». Ma poi aggiunge: «Dio sa quel che fa e perché lo fa e io accetto la sua volontà. Credo che Dio non abbia mai smesso di tenermi per mano».


 

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Approfondimenti:

Articolo sul quotidiano La Naciòn: http://www.lanacion.com.ar/1464937-videla-admitio-el-asesinato-de-mas-de-7000-desaparecidos

Parte dell’intervista a Videla e replica della presidente delle Madri di Plaza de Mayo:http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0xCg67tawaU#!

Dittatura militare argentina su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Dittatura_militare_argentina

Biografia di Jorge Videla su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Jorge_Rafael_Videla

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