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Scudo Nato, la minaccia di Mosca

di Michele Paris - 09/05/2012

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di Michele Paris

Con una dichiarazione degna dei tempi della guerra fredda, qualche giorno fa il capo delle forze armate russe, Nikolay Makarov, ha minacciato apertamente un attacco militare preventivo contro i siti di difesa missilistici che la NATO intende installare nei prossimi anni in alcuni paesi dell’Europa Orientale. L’uscita del generale russo è giunta pochi giorni prima dell’inaugurazione ufficiale del terzo mandato presidenziale di Vladimir Putin e segnala un possibile ulteriore inasprimento delle tensioni tra Washington e Mosca.

Il progetto anti-missilistico nei paesi un tempo sotto l’influenza sovietica era stato provocatoriamente proposto dall’amministrazione Bush, per essere poi messo da parte da Obama e alla fine riesumato nel settembre 2009 con il nuovo nome di European Phased Adaptive Approach (EPAA). Il sistema NATO prevede il dispiegamento di missili intercettori in Romania e in Polonia, nonché di un radar in Turchia, e nelle intenzioni ufficiali dovrebbe proteggere i paesi europei da attacchi provenienti soprattutto dall’Iran.

La questione aveva da subito causato frizioni tra la Russia e gli Stati Uniti, dal momento che il sistema anti-missilistico, secondo Mosca, neutralizzerebbe il proprio deterrente nucleare. Mentre nel recente passato il Cremlino ha più volte minacciato l’abbandono del nuovo trattato START siglato con Washington per la riduzione delle testate nucleari dei due paesi, l’avvertimento lanciato mercoledì scorso dal generale Makarov, il quale è anche vice-ministro della Difesa, rappresenta una novità inquietante.

Intervenendo nel corso di una conferenza nella capitale russa, Makarov ha affermato che, “considerando la natura destabilizzante di un sistema di difesa missilistico, se la situazione dovesse aggravarsi, potrebbe essere presa una decisione riguardo un attacco preventivo con le armi offensive a nostra disposizione”. Il capo di Stato Maggiore ha aggiunto poi che potrebbe essere preso in considerazione l’impiego di nuovi armamenti nelle regioni meridionali e nord-occidentali della Russia, a cominciare dall’enclave di Kaliningrad, da dove preparare la “distruzione dell’infrastruttura europea di difesa missilistica”. Makarov, infine, ha criticato la NATO per essersi rifiutata di mettere per iscritto la garanzia che il sistema di difesa non sarà diretto contro Mosca.

Le parole del generale russo sono state riportate senza particolare enfasi in Occidente e solo da alcuni giornali, mentre sono state minimizzate dai vertici della NATO e del governo americano. Il segretario generale del Patto Atlantico, Anders Fogh Rasmussen e il suo vice, Alexander Vershbow, si sono limitati a ribadire che il sistema di difesa non rappresenta alcuna minaccia per la Russia. Da Washington, l’inviata speciale del Dipartimento di Stato per le questioni di Difesa Missilistica, Ellen Tauscher, ha invece sostenuto che “non esiste nulla che possa fermarci dal creare il sistema entro i tempi stabiliti”.

Nonostante le rassicurazioni, secondo molti analisti, gli unici paesi che attualmente dispongono di missili teoricamente in grado di raggiungere l’Europa, oltre a Israele, sono la Russia e la Cina e, appunto, a questi ultimi due è diretto il piano di difesa della NATO.

L’escalation delle tensioni tra USA e Russia segnalata dalle dichiarazioni del generale Makarov si inserisce in una situazione già complicata dal disaccordo tra le due potenze su varie questioni internazionali, come la crisi in Siria e il nucleare iraniano.

Sui due temi caldi del Medio Oriente, Mosca sente infatti minacciati i proprio interessi nella regione dall’aggressività statunitense, rivolta principalmente al cambio di regime a Damasco e a Teheran.

Per questa ragione, il Cremlino continua ad opporsi strenuamente sia all’uso della forza contro il regime alleato di Assad che all’applicazione di nuove sanzioni o ad un attacco militare contro la Repubblica Islamica.

La concomitanza della minaccia di Makarov con l’insediamento di Putin non sembra inoltre casuale, visto che il ritorno al Cremlino dell’ex presidente preannuncia con ogni probabilità il ritorno ad un atteggiamento più bellicoso da parte della Russia nei confronti degli Stati Uniti dopo i quattro anni di relativo riavvicinamento sotto la guida di Dmitry Medvedev.

Un cambio di marcia, quello deciso da Putin e dalla classe dirigente russa, motivato quasi certamente anche da ragioni interne. Un diversivo utile, in sostanza, in una fase di crescente incertezza sul fronte dell’economia e con un malcontento tra la popolazione già esploso più volte in questi ultimi mesi.