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Etica comunitaria, progresso e rivoluzione (I parte)

di Costanzo Preve - Luigi Tedeschi - 30/05/2012

      

1. La decadenza del sistema capitalista e la sua prevedibile conflagrazione nel tempo, è il tema da cui prende le mosse qualsiasi teoria che voglia proporre soluzioni possibili ad una crisi epocale irreversibile e prefigurare la struttura politico - sociale di un mondo post - capitalista. In realtà l’attuale capitalismo globalista si è affermato quale sistema economico imposto dal primato americano subentrato alla fine dell’URSS e del mondo ideologico novecentesco, e si è definito post - ideologico, post - moderno, post - industriale, insomma solo come post - qualcosa che lo ha preceduto, senza che esso conferisse autonomamente alla storia un proprio senso, al di là delle culture e dei sistemi politici che lo avevano preceduto. Non è un caso che la globalizzazione economica abbia fatto nascere idee nichiliste che in altri contesti sarebbero state impensabili, quali la fine delle ideologie o la fine della storia. Lo stesso individualismo liberale ispirato a Smith e Locke (relitti filosofici del ‘700), è stato rivitalizzato come una concezione residuale di un uomo spogliato delle verità teologiche, della metafisica filosofica, delle dottrine sociali del secolo scorso. All’individualismo senza limiti e senza regole liberista si deve necessariamente contrapporre un termine dialettico di opposizione, che abbia la capacità di proporre un modello sociale, economico e culturale alternativo al capitalismo. All’individualismo si contrappone dunque il comunitarismo. Il comunitarismo non è una ideologia solo contraria ed opposta al capitalismo (comunità contro individualità), né propone un modello socio - economico assoluto e riproducibile prescindendo dalla realtà storica e culturale dei popoli, come lo è il capitalismo. Esso è una teoria filosofica che deriva dalla analisi critica della realtà politico - sociale del nostro tempo e vuole rappresentarne il superamento. Una possibile società che si sostituisca a quella capitalista, è possibile solo se si faccia riferimento alla natura sociale dell’uomo, alla solidarietà spontanea tra gli individui, alla collaborazione comunitaria come principio strutturale della società. Il comunitarismo è dunque un fondamento filosofico cui fa riscontro un principio etico. Tra la società liberale e quella comunitaria vi è quindi una contrapposizione di valori etici. Alla etica dei diritti della ideologia liberale, si contrappone l’etica comunitaria del lavoro. Ad un fondamento di natura giuridica liberale, fa ne fa riscontro un altro di natura sociale comunitaria. Se lo stato liberale riconosce i diritti dell’individuo in quanto cittadino, nello stato comunitario l’individuo ottiene riconoscimento in quanto membro della comunità sulla base della funzione sociale del lavoro svolto nell’ambito società. Lo stato liberale ha natura verticistica in quanto erogatore di diritti, lo stato comunitario ha natura democratica, quale risultato ultimo dell’attività produttiva della generalità dei membri della comunità. Lo stato liberale afferma l’eguaglianza dinanzi alla legge, lo stato comunitario l’eguaglianza dinanzi al lavoro. Nello stato liberale fonte della ricchezza è il libero mercato, ossia il flusso incontrollato di merci e capitali, nello stato comunitario la ricchezza è prodotta dall’opera dei lavoratori cooperativi associati. Un movimento di opposizione al capitalismo non può che riproporre, in una visione adeguata al presente storico, la dialettica di contrapposizione tra capitale e lavoro.

 

Mi è relativamente facile rispondere sul tema del rapporto fra comunitarismo e democrazia, anzi oggi più esattamente sul nesso fra esigenza di comunitarismo ed assenza di democrazia, perché vi ho già dedicato due saggi a me molto cari, Elogio del Comunitarismo (Controcorrente, Napoli 2006) e Il popolo al potere (Arianna, Bologna 2006). Si tratta di un tema su cui ho le idee molto chiare. Se poi siano anche esatte oppure no, questo devo lasciarlo al lettore.

Fai notare che l’ossessivo utilizzo del termine “post” indica una incapacità di connotare in positivo in modo credibile il tempo presente. Si tratta di un dato comune a tutte le epoche storiche (il bilancio storico del passato e la proiezione utopica nel futuro sono alla portata di tutti, così non è per la corretta valutazione del presente. Ma oggi I l’uso ossessivo del termine “post” indica qualcosa di più, il sintomo di un disagio e di una esorcizzazione. Ciò che avviene è infatti imbarazzante ed indicibile, il compimento dell’idea illuministica di progresso nella totale mercificazione del mondo. Una cosa del genere si fa ma non si dice.

In una definizione sintetica, ma anche esaustiva e completa, il comunitarismo é la concretizzazione sociale della democrazia. Bisogna quindi prima definire correttamente la democrazia nella sua dimensione sociale e non soltanto procedurale e formale, e poi il concetto di comunitarismo verrà dopo, spontaneo come un parto naturale.

Possono essere utili in proposito due rilievi preliminari. Primo, ogni società si specifica e si determina necessariamente in comunità distinte, a meno che si intenda per società una immane raccolta di merci, ed uno spazio per la loro circolazione, che è esattamente ciò che avviene oggi. I nostri contemporanei hanno assistito ad una figura hegeliana non ancora prevista da Hegel, quella del rovesciamento dell’ internazionalismo proletario in cosmopolitismo capitalistico, favorita (anche se non certo determinata, poveri straccioni!) da quello stesso ceto politico ed intellettuale, i cosiddetti “comunisti”, che avevano per quasi un secolo fieramente rappresentato il primo per poi diventare i più zelanti sostenitori del secondo.

Secondo, il comunitarismo, per sua stessa natura, ha bisogno di continue correzioni universalistiche, che fanno diventare la filosofia universalistica non un lusso, ma una necessità. Se la comunità dei Palongo Palongo sacrifica al loro dio Budulù bevendo nei crani fumanti di bambini uccisi ripetendo il mantra augurale Kakongo, bisogna trarne la conclusione che questa comunità ha fortemente bisogno di una correzione universalistica del comportamento. Il comunitarismo non implica affatto il relativismo, ed è anzi esattamente il contrario. Il relativismo astrattizzato e mascherato da tolleranza e diversità, della illimitata circolazione di merci, che sono infatti l’unico Assoluto in cui il solo relativo è il differente prezzo delle merci e dei servizi.

E’ questa la ragione per cui nel mio libro Elogio del Comunitarismo ho dedicato metà dello spazio ad una ricostruzione storico-generica dell’intera storia della filosofia occidentale. Non esiste elogio del comunitarismo senza contestuale elogio dell’universalismo, inteso come processo autonomo di sviluppo della coscienza dell’umanità. In caso contrario il comunitarismo non può sviluppare il suo potenziale di solidarietà e di comunicazione, e pertanto quella educazione (paideia) che lo costituisce intimamente.

 Passando al tema della democrazia e delle sue definizioni, a suo tempo non ho intitolato a caso il mio libro Il popolo al Potere, ma gli ho dato un significato voluto ed inconsueto. In genere si parla di democrazia etimologicamente come potere del popolo, specificando che il popolo deve costituirsi istituzionalmente in corpo elettorale, ma si trascura così l’elemento processuale, per cui in realtà il popolo deve poter accedere al potere reale, che è sempre e soltanto un potere comunitario, quello di determinare modi, tempi e limiti della propria riproduzione sociale complessiva, laddove le decisioni veramente importanti (dichiarazione di guerra, oggi ipocritamente mascherata da interventismo umanitario, pensioni, sanità, abitazione, eccetera) sono delegate o a poteri oscuri (arcana imperii), oppure alla contingenza individuale. La democrazia non può che essere un concreto processo di accesso popolare alle decisioni, almeno a quelle che non sfuggono alla volontà umana (terremoti, pestilenze, eccetera).

Cerchiamo di definire il termine di democrazia, in modo da capire almeno bene di che cosa stiamo parlando. Propongo di farlo con tre accostamenti successivi, in modo che il terzo ed ultimo diventi significativo del tutto.

In primo luogo, democrazia significa potere del popolo. Nei greci il popolo propriamente detto si diceva laos, ed il demos significa già popolo che ha una istituzionalizzazione in demi separati, e cioè in circoscrizioni territoriali disomogenee. Inoltre, presso i greci esiste una ambiguità semantica, per cui popolo significa contemporaneamente l’insieme indistinto dei cittadini e la parte più povera, e quindi maggioritaria (Aristotele) dei cittadini stessi. Così per il comunismo nel XX secolo, in cui per i comunisti significava il massimo possibile di democrazia (la famosa democrazia sostanziale contrapposta a quella soltanto formale, vedi dibattito anni Cinquanta Togliatti-Bobbio) e per gli anticomunisti il massimo di despotismo totalitario, nello stesso modo per gli Ateniesi democrazia voleva dire potere di tutto il popolo, e per i loro avversari esterni (ma sempre di più anche interni) potere demagogico dei più poveri sobillati dai retori.

In secondo luogo, nei tempi moderni il termine popolo viene specificato, significando prima i diritti inalienabili dell’individuo presupposto astrattamente come isolato ed originario (in un primo tempo in modo giusnaturalistico, e poi indebolitosi questo fondamento sia da destra-pensiero della restaurazione, sia da sinistra-marxismo, nel modo tautologico ed arrogante del positivismo giuridico), e poi il popolo costituito in corpo elettorale, prima in forma censitario-notabile e poi nella forma democratico-partitica, inevitabilmente corrotta.

In terzo luogo, infine, democrazia non può che essere la costante-permanente di ciò che era già nelle poleis greche e nei comuni medievali italiani, e cioè deliberazione normativa collettiva sulle regole interne della riproduzione economica complessiva della comunità. In caso contrario non si capisce bene di che cosa dovrebbero discutere e deliberare i membri dei collegi eletti dal popolo.

Appare chiaro che oggi (Italia, aprile 2012) non c’è nessuna democrazia, se un’entità impalpabile ma pesante come una montagna chiamata spread può deliberare sulle pensioni, sul lavoro, sulla sanità, sui meccanismi più delicati ed importanti della vita quotidiana, senza contare guerre illegali (Afganistan, Libia) fatte eccitando artificialmente un’opinione pubblica peraltro distratta e disinteressata alla ricostruzione dei termini precisi delle ragioni ultime delle guerre (che non sono mai, ma proprio mai, i cosiddetti diritti umani).

In sintesi, dovendo spiegare ad un marziano disinformato ma anche non rincoglionito dal tifo politico-identitario, direi che l’Italia è passata dall’epoca del Bunga Bunga all’epoca del Banca Banca. Come si vede, un mutamento epocale, addirittura rivoluzionario, tutto avvenuto all’interno di categorie non elette, i giornalisti ed i magistrati.

Il vecchio Puttaniere era caduto in quella lascivia senile ampiamente descritta nella commedia greca di Aristofane e di Menandro e poi dal vaudeville da avanspettacolo dei cinema pomeridiani che ho avuto ancora in sorta di visitare nei primi anni Cinquanta del XX secolo (epoca in cui si è peraltro fermato, come mummificato, Silvio Berlusconi). Ma i suoi patetici Bunga Bunga gli impedivano di mettere in atto quel Banca Banca caratteristico non tanto di un astratto mondo virtuale e bocconiano di “imprese”, ma di capitale finanziario globa1izzato, determinato dai due parametri della flessibilizzazione del lavoro e della delocalizzazione del capitale. Avesse colpito le condizioni di vita dei più poveri nel modo dei teologi bocconiani dei Banca Banca avremmo avuto ciclopiche manifestazioni, tamburi, fischietti, esagitati in passamontagna, cassonetti bruciati ed in più il corale urlo: “Fascisti! Fascisti!”.

La vecchia via italiana al socialismo, tacitamente abrogata, è stata sostituita da una forma di “puro empirismo”, del tipo: “Monti è pur sempre meglio di Berlusconi!”. E perché, di grazia? Perché parla un inglese da economisti e non solo un francese da cabaret e da Maurice Chevalier? Perché mangia cotechini anziché toccare freneticamente culi di adolescenti ambiziose trasformate in vittime dalle femministe?

Per chi è rimasto dotato di capacità autonome ed indipendenti di analisi la situazione è talmente disperante da aver superato il limite del tragico per imboccare quello del grottesco. Ma se guardiamo a Grecia, Spagna e Portogallo, paesi senza ex-comunisti riciclati, cavalieri, tette e culi, ma che sono nelle nostre condizioni ed ancora peggio, vediamo che lo svuotamento della democrazia è un fenomeno comune, e soltanto dei cialtroni ex-comunisti possono intrattenere l’idea che sia solo e tutta colpa del Puttaniere. E intanto anche Bossi è stato falciato dai giudici (aprile 2012). Aspettiamo il prossimo che si opponga alla dittatura delle banche.