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Esiste l’amicizia fra donne?

di Francesco Lamendola - 04/06/2012


 

 

Esiste l’amicizia fra donne?

Questo è un classico interrogativo tabù: se si risponde negativamente, o anche soltanto si mette in dubbio la risposta, scatta la censura della cultura femminista; se si risponde affermativamente, lo si fa non in base alla realtà effettuale, come direbbe Machiavelli, ma in base a speranze, desideri, buoni propositi: meglio, dunque, lasciarlo stare e passar oltre, in silenzio.

Di quante ipocrisie vive la cultura oggi dominante; di quanti silenzi, di quanto passare oltre, fingendo di non vedere le cose.

Desolante, come sempre, lo spettacolo dei sedicenti intellettuali, brutta razza di servi sempre pronta a prostituirsi al primo venuto: figurarsi se gente di tal fatta oserebbe mai rischiare una affermazione politicamente scorretta, per puro amore della verità. Non che siano incapaci di dire il contrario di quello che pensano, tutt’altro: ma che almeno ci guadagnino qualcosa…

Non fa meraviglia, se tale è l’esempio che viene dall’alto, che anche le persone comuni preferiscano tacere e passar oltre, su questa come su cento, mille altre cose: viviamo immersi nella quotidiana ipocrisia, nel conformismo eretto a sistema, anche se travestito - ma con un “maquillage” che non inganna nessuno - da anticonformismo: anticonformismo di massa, appunto. Il massimo dello squallore, specie per un soggetto che pretenda di essere pensante.

E allora avanti, guardiamola bene in faccia la domanda che ci eravamo posta: è possibile, l’amicizia fra donne?

Certo, il solo fatto di chiederlo è una cosa politicamente scorretta: la cultura oggi dominante, che poi è quella dei film hollywoodiani e delle miniserie televisive, continuamente ci mostra quanto sia frequente, quanto sia disinteressata, quanto sia bella e commovente l’amicizia fra donne; per cui il grosso pubblico (grosso, anche nel senso che possiede un palato grosso) non si pone nemmeno la domanda, così come non se la pone su tante, su troppe altre cose che oggi si danno per scontate, ma scontate non sono.

Ad esempio, si dà per scontato che la democrazia liberale sia il migliore dei sistemi politici possibili e immaginabili e che ad essa non vi siano alternative, se non regredendo verso forme di governo brutali e totalitarie.

Si dà per scontato che la società multietnica e multiculturale sia, del pari, una bellissima cosa, anche se nessuno l’ha mai vista e mai conosciuta: a meno che si considerino esempi di società multietnica e multiculturale il fatto che numerose etnie di immigrati vivano all’interno di una società occidentale, senza integrarsi, senza dialogare, in perfetta indifferenza reciproca, ciascuna conservando i propri usi e costumi, magari ostentando i propri simboli di appartenenza più rigidamente esclusivi, come il velo o lo chador; e ciò proprio sfruttando gli spazi di libertà offerti dalla società ospitante, ma che quei gruppi, se giungessero a diventare maggioritari, si affretterebbero a negare a tutti gli altri.

Si dà pure per scontato che uomini e donne siano perfettamente uguali non solo nei diritti giuridici, ma anche nei bisogni primari, nella dimensione psicologica, nelle attitudini rispetto al mondo esterno, al lavoro, alla famiglia: anche se basta un minimo di osservazione per rendersi conto che le cose non stanno precisamente così.

Si dà per scontato, ancora, che «omosessuale è bello», o, quanto meno, che l’omosessualità sia una manifestazione della sessualità umana dotata di una dignità intrinseca assolutamente pari alla eterosessualità; e che, pertanto, orientarsi verso il proprio sesso o verso l’altro rappresentino due opzioni in tutto e per tutto equivalenti: con il corollario che una coppia omosessuale possiede ogni diritto di adottare dei figli o, meglio ancora, nel caso di una coppia di donne, di procurarseli mediante l’inseminazione artificiale, così da aggirare il fastidioso ostacolo posto dalla natura.

Si danno per scontate tantissime cose; tutte.

Si dà per scontato che non esistano razze umane, tale è lo spavento all’idea di passare per razzisti o di alimentare un ritorno a politiche sbagliate o atroci del passato; si è eliminato ogni riferimento alla razza anche nei documenti ufficiali delle Nazioni Unite, salvo poi riconoscere che vi sono delle «differenti evidenti» fra i principali gruppi umani. Ma tali differenze, per carità, non chiamiamole “razziali”, parola assolutamente impronunciabile; non chiamiamole in nessun modo, lasciamole lì, e che se la sbrighi qualcun altro a spiegare l’arcano.

Quale antropologo vorrebbe rischiare, oggi, la carriera, vorrebbe esporsi al pubblico ludibrio, scrivendo un’opera come «Razze e popoli della Terra» di Renato Biasutti, una delle migliori opere sull’argomento che siano state scritte in Italia? Del resto, Biasutti ha firmato il “Manifesto per la difesa della razza” di mussoliniana memoria: che bisogno abbiamo di altre prove? Si è condannato con le sue stesse parole.

E adesso torniamo all’amicizia fra donne: all’amicizia normale, naturalmente (“normale”: altra parola politicamente scorrettissima, perché in odore di fascismo) e non all’amicizia omosessuale, che è, si capisce, una cosa alquanto diversa.

La definizione dell’amicizia data da Aristotele è che si tratta di una virtù, o si accompagna alla virtù; e che l’amicizia perfetta è quella fra buoni, perché consiste nel voler bene all’amico per l’amico e non per altre ragioni; mentre l’amicizia basata sull’utile e quella basata sulla ricerca del piacere sono forme inferiori e imperfette di essa, in quanto non sono stabili e non durano, se non fino a quando siano assicurati il raggiungimento dell’utile e del piacere.

Perché, dunque, non dovrebbe essere possibile una amicizia vera fra donne?

Ora, noi non diciamo che non sia possibile: se lo affermassimo, la nostra sarebbe stata una falsa domanda, basata non su di un ragionamento o su di una serie di osservazioni, ma su di un pregiudizio. Pregiudizio è ciò che viene prima del giudizio: una idea non supportata da elementi di ragione o di fatto, ma da semplici inclinazioni umorali.

Umorale, per esempio, è dire che l’amore non esiste, solo perché non se ne è fatta l’esperienza, o, magari, perché ci si è creduto e poi ci si è sentiti traditi; oppure che la vita é un male, solo perché la propria vita viene percepita in una luce negativa; e così via di seguito.

Chi abbia osservato, e a lungo, il comportamento delle donne fra di loro, avrà certamente fatto le proprie deduzioni quanto alla possibilità che, fra di esse, nasca e si instauri la vera amicizia, ossia l’amicizia non determinata né dall’interesse, né dal piacere, ma solo e unicamente dal desiderio del bene dell’altra; ma certo si potrebbe obiettare che un tale metodo è troppo empirico e quindi, inevitabilmente, troppo soggettivo.

Pesa, sulla psicologia, la sua pretesa di essere una scienza: e da una scienza si esigono delle risposte certe, basate su elementi inoppugnabili e incontrovertibili; e nulla di meno che questo. Senonché, la scientificità della psicologia è un pio desiderio, una affermazione perfettamente auto-referenziale, vale a dire una affermazione in sommo grado antiscientifica.

La verità è che nulla esiste di così instabile, di così variabile, di così mutevole, come lo sono i meccanismi, le dinamiche, le attitudini della mente umana; e poi, siamo sicuri che, quand’anche conoscessimo tutto della mente, conosceremmo tutto delle persone? Non potrebbe darsi che la mente sia solo una parte di ciò che noi chiamiamo “psiche”, ma che i nostri nonni e bisnonni chiamavano “anima”? E, se così fosse, non potrebbe darsi che le luci e le ombre dell’anima siano il risultato di movimenti così profondi, così misteriosi, così elusivi, che nessuna scienza mai potrebbe coglierli, fissarli e ricavarne delle leggi di carattere generale?

Sia come sia, ci limitiamo a gettare questi semi di dubbio negli orecchi disposti ad accoglierli; disposti, cioè, a non lasciarsi condizionare dal conformismo del politicamente corretto, non disposti a farsi ricattare dalla probabile accusa di oscurantismo e spirito retrogrado, ma a considerare, con perfetta indipendenza di giudizio, come potrebbero stare le cose, checché ne dicano gli intellettuali modaioli che scrivono, sulle riveste illustrate settimanali o mensili (per lo più rivolte ad un pubblico femminile che desidera sentirsi colto, anche se digiuno di autentici studi), le loro brillanti tirate destinate ad accarezzare i gusti dei lettori e delle lettrici.

I loro articoli e le loro rubriche hanno più o meno la stessa dignità intellettuale dei discorsi con cui gli intellettuali che sono ospiti fissi nei salotti televisivi si fanno applaudire con le loro pie banalità pseudo-femministe, mentre siedono con straordinaria compiacenza fra una soubrette in disarmo, che accavalla maliziosamente le gambe e una scrittrice mancata che, dimenandosi per mostrare generosi squarci del decollété, pontifica sul fatto che le donne sono stufe e arcistufe di essere guardate sempre come oggetti sessuali e pretendono di essere apprezzate dai signori uomini anche per le loro doti intellettuali e morali.

Ad ogni modo, la semplice osservazione può non bastare per rispondere a una domanda di carattere generale, come quella che ci eravamo fatta, proprio perché troppo legata alla dimensione soggettiva dell’osservatore (o dell’osservatrice: ma le donne, di solito, sono proprio le più recise nel negare la vera amicizia tra loro, almeno quando parlano in privato e non in pubblico).

Resta lo strumento del ragionamento.

E allora domandiamoci: esistono delle ragioni per affermare o per negare, per via di ragionamento, la possibilità dell’amicizia fra donne?

No, non ne esistono, nel senso rigoroso del termine “ragionamento”; esistono però degli indizi, che possono pur suggerire qualcosa, specie se tendono a confermare ciò che emerge dall’osservazione. Ora, sia l’osservazione, sia gli indizi che emergono dal ragionamento vanno entrambi nella direzione di mettere seriamente in forse la possibilità di una amicizia fra donne.

Tali indizi non hanno a che fare con l’ancestrale rivalità femminile riguardo al maschio, come ai signori uomini (e anche a molte donne) piace immaginare; ossia con la paura che perfino la migliore amica possa diventare una pericolosa rivale in amore, non appena entri in dimestichezza con il proprio compagno, amante, marito (o magari figlio, nipote, alunno, e chi più ne ha, più ne metta), bensì con l’istintiva propensione delle donne al dominio.

La donna ama dominare le situazioni, anche se non lo fa vedere apertamente, come in genere fa l’uomo; anzi, si tiene defilata e cerca di tenere un basso profilo, almeno fin dove possibile: la sua è un’altra idea del dominio rispetto a quella maschile, un’idea che privilegia la sostanza e disdegna le forme e le apparenze.

Se una donna ammette un’altra donna nella propria amicizia, dovrà per forza ammetterla anche in tutte, o in molte, delle situazioni sociali, affettive, professionali, nelle quali si articola la propria esistenza: il che è quanto dire che dovrebbe immettere, con le proprie stesse mani, una potenziale nemica nelle proprie riserve di caccia; una potenziale nemica che conosce altrettanto bene di lei le tecniche del dominio dissimulato, a cominciare dalle finte lacrime, e proseguendo con il vittimismo e la fragilità ostentata, anche se solo apparente.

Sarebbe un rischio veramente troppo grosso: e la donna, molto più dell’uomo, possiede una natura eminentemente calcolatrice e pianificatrice, niente affatto propensa a lasciare qualcosa al caso, o ad esporsi a dei pericoli non necessari.

La donna conosce meglio di qualunque uomo le strategie della propria astuzia; e sospetta che in ogni donna ve ne siano a sufficienza per metterla nel sacco, se appena ella commettesse la fatale imprudenza di abbassare la guardia; sospetta, in particolare, che le altre donne si servano del pretesto dell’amicizia per penetrare le sue ben guarnite difese e per sorprenderla poi, a tradimento, quando meno se l’aspetta, cioè quando è particolarmente vulnerabile.

Questa è la ragione della diffidenza istintiva della donna verso le altre donne.

Le poche donne che non nutrono tale istintiva diffidenza sono immediatamente prese in antipatia dalle altre, sono guardate come degli esseri strani e indecifrabili; e, alla fine, sono trattate apertamente da nemiche, perché si suppone che dietro la loro sincerità e la loro franchezza si celino chissà quali abissi tenebrosi di doppiezza e di perfidia.

Tutte le donne che studiano o che lavorano in un ambiente esclusivamente femminile si lamentano del clima irrespirabile, saturo di sospetto e di malevolenza, che pesa su di loro; e di come quelle che hanno un po’ di potere sulle altre, lo utilizzino nel modo più discutibile, favorendo sfacciatamente le più intriganti o le più servili e ostacolando le altre in mille maniere.

Tanto più bella e preziosa, dunque, qualora si verifichi, l’amicizia fra due donne…