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Cani, gatti, cavalli e altre vittime dell'uomo. Così si comporta l'animale più spietato

di Raniero Polese - 04/09/2012

 

Le barbare condizioni degli allevamenti, cani e gatti che ogni anno spariscono ufficialmente adottati da paesi stranieri ma probabilmente per servire come cavie per esperimenti, l'ecatombe di cavalli rubati e macellati, le nefandezze dei giardini zoologici, la tragica storia dell'orso bruno e dei suoi parenti: torna, ampliato, il pamphlet di Margherita D'Amico, La pelle dell'orso. Dalla parte degli animali (Bompiani, pp. 142, 8,90; precedente edizione, 2007, uscì da Mondadori).

Documenta crudeltà e sevizie sotto gli occhi di tutti ma di cui solo pochi sembrano rendersi conto. Mascherate da stucchevoli e bugiarde pubblicità (il cane cucciolo che rincorre i rotoli di carta igienica piace ai bambini, a cui però non si deve mostrare la pesca dei tonni o dei merluzzi, meglio mostrargli un simpatico capitano di mare), le pratiche di sfruttamento e sterminio degli animali trovano ancora delle giustificazioni: è la tradizione, si dice, la carne animale fornisce proteine ai piccoli che devono crescere, i test aiutano il progresso della medicina e anche la vivisezione trova i suoi sostenitori. Ma perché tutto questo?

Al centro del libro c'è questa domanda, ci si interroga cioè sul motivo per cui gli esseri umani continuano a voler ignorare che gli animali sono esseri senzienti, capaci di provare piacere, sentimenti, dolori.
Anche gli uomini più moralmente consapevoli su questo argomento sospendono il giudizio. Si possono amare appassionatamente gli animali domestici, il proprio cane il proprio gatto, ma polli maiali pesci diventano indifferenziati fornitori di alimenti. Non si pensa che questo implica la loro morte, e meno ancora che quella morte, come del resto la loro vita di costrizione, comporta generalmente dolore. Già, ma perché non ci si accorge di tutto questo?

Pochi anni fa, lo scrittore americano Jonathan Safran Foer era andato a investigare le condizioni degli allevamenti industriali di polli e suini. Ne era scaturito un libro agghiacciante, Eating Animals (in italiano, Se niente importa, Guanda). Che non solo denunziava l'estrema brutalità di quelle fabbriche di carne, ma anche metteva in luce le pericolose condizioni igieniche, l'inquinamento che l'allevamento intensivo produce.
Margherita D'Amico si professa e definisce animalista, che si differenzia dall'umanitario e dall'ambientalista. «Molto difficilmente l'umanitario sposerà la causa animalista, e l'ambientalista farà cadere dall'alto la sua adesione. Sugli animalisti, invece, si può contare anche per la battaglia in difesa dell'albero, del povero, del disabile, dei diritti sociali».

Certo, aggiunge, lo strazio di vivere in un mondo che ammette quello che è aberrante è qualcosa che logora. E può rendere i diversi gruppi rissosi e litigiosi, spesso anche fra di loro. Ma a dispetto di tutto, della risposta che nessuno dà alla domanda sul perché gli umani trattano così gli animali, la conclusione è ottimista: «Se solo gli animalisti prendessero coscienza di sé, cambierebbero il mondo in cinque minuti», guardando quante migliaia, quanti milioni di persone nel mondo si impegnano a rendere possibile la sopravvivenza degli animali. E dello stesso pianeta.