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In Siria la Cia ha voltato le spalle ai ribelli

di Daniele Raineri - 24/10/2012



L’Amministrazione Obama e la Cia del direttore David H. Petraeus hanno voltato le spalle ai ribelli siriani in guerra contro il governo di Bashar el Assad. Quando è successo? Il 2 settembre il direttore della Cia è atterrato all’aeroporto Atatürk di Istanbul con un aereo privato per parlare ai servizi turchi, che sul dossier siriano sono i partner coinvolti più da vicino. Otto giorni dopo, il 10 settembre, altri funzionari della Cia ma di grado inferiore hanno partecipato a un incontro segreto ad Ankara con gli uomini degli altri quattro servizi segreti che appoggiano i ribelli. C’erano il Milli Istihbarat Teskilat (Mit) turco, la Dgse francese, la Direzione d’intelligence generale (in arabo: al Mukhabarat al Amah) dell’Arabia Saudita e l’intelligence militare del Qatar. Turchi e francesi volevano l’imposizione di una “no fly zone” oltre il confine con la Siria (ovvero di una zona dove gli aerei del governo di Damasco non potrebbero più bombardare indiscriminatamente i civili e i ribelli) e l’apertura di corridoi umanitari. La Cia si è opposta. I sauditi e il Qatar hanno proposto di rifornire i ribelli con armi controcarro e antiaeree, ma la Cia ha di nuovo detto no. Gli americani sono troppo preoccupati dalla possibilità che le armi possano cadere nelle mani dei gruppi filo al Qaida che formano una percentuale non grande – ma neanche così piccola da poter essere ignorata – della rivoluzione. Semmai lavorano a defezioni strategiche dentro il regime.

Nel terzo debate presidenziale tra Barack Obama e Mitt Romney la Siria è stata nominata trenta volte, ma invano. Il presidente americano dice che “i giorni di Assad sono contati” e sembra una dichiarazione forte, ma non lo è. Frederic Hof, inviato speciale dell’Amministrazione americana per la Siria, l’aveva già detto il 14 dicembre 2011 che “il regime è l’equivalente di un morto che cammina”. Però poi a settembre si è dimesso per esasperazione, a causa del rifiuto della Casa Bianca di prendere in considerazione anche soltanto l’idea di una cosiddetta “no fly zone”. L’8 luglio di quest’anno è toccato al segretario di stato, Hillary Clinton, dire che “i giorni di Bashar sono contati”. E adesso l’ha ripetuto Obama. Quello che conta è però il resto del suo messaggio di ieri notte, da Boca Raton, in Florida: non ci sarà un intervento americano a favore dei ribelli e nemmeno una no fly zone, non ci saranno rifornimenti di “armi pesanti” come invece vorrebbe fare il rivale Romney e ci sono consultazioni costanti sul da farsi con Israele, l’alleato che confina con la Siria e che teme l’ascesa degli islamisti fanatici all’interno dei gruppi ribelli. Così chi si aspetta una sorpresa post elezioni a novembre, come sarebbe l’intervento internazionale che chiede il settimanale Economist, corre il rischio di restare deluso. L’Amministrazione Obama è sempre più fredda e l’eventuale sostituto repubblicano Romney ha detto che in pratica non farebbe molto di più.

Il New York Times scrive che “secondo un diplomatico del medio oriente che lavora intensamente con la Cia, Petraeus ha tentato di selezionare e formare un’opposizione con cui sia possibile lavorare”, ma non c’è riuscito. Il pezzo del New York Times sembra scritto apposta per giustificare la frenata e pare un segnale preciso mandato dalla Casa Bianca: “I gruppi che ricevono le armi sono proprio quelli che vorremmo non le ricevessero”, confida un funzionario americano. L’incontro segreto di Ankara è stato il 10 settembre. Il giorno dopo è arrivata la strage a Bengasi, in Libia: Cia e Amministrazione, se possibile, sono diventate ancora più fredde con i ribelli.