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Cosa vuol dire sostenere la Siria?

di Lorenzo Vitelli - 31/10/2012

Fonte: L'intellettuale dissidente

Corteo a Damasco
Corteo a Damasco

Più volte ci hanno detto che, sostenendo la Siria di Bashar Al-Assad, “l’Intellettuale Dissidente” sta prendendo una posizione politica: da figura che si proclamava autonoma ed indipendente adesso si è schierato. Tuttavia quella di sostenere la Siria e il popolo siriano non è una posizione politica, non è una scelta compiuta all’interno di un sistema che racchiude in sé modelli quali destra o sinistra, democrazia o dittatura, che ormai, perso lo scontro dialettico, si sono accomunati. Questa è una scelta ideologica e, forse, conviene usare il termine ideale. E’ una posizione che in primo piano mette la libertà, la libertà di un popolo di autodeterminarsi, di decidere, se vuole, il proprio destino, e perciò come è possibile non prendere posizione verso quello che da sempre è uno dei valori fondanti dell’Occidente, un motore della nostra Storia, certo travagliata e controversa, ma che finalmente deve mirare alla libertà? Come è possibile, ancora una volta, dopo l’aggressione all’Iraq o l’intervento in Libia – ora desertica e guerrigliera, divisa tra mercenari, fondamentalisti, indipendentisti, e chi più ne ha più ne metta – , sostenere una guerra d’implosione interna che le grandi potenze mondiali occidentali hanno scatenato per soddisfare i loro interessi geopolitici ed economici? (La Siria è il punto di incontro infatti tra Israele e Iran, e la sua politica laica e socialista, sostenitrice della causa palestinese attraverso l’appoggio di Hezbollah, è un intralcio alle strategie occidentali filo-israeliane in Medio-Oriente).

Certo Assad non è stato eletto, ed è arrivato al potere succedendo alla morte del fratello nel 1994. Certo quello di Assad, anche per colpa delle scarse risorse di petrolio, non è uno dei paesi più fiorenti tra le regioni vicinorientali, che tra petromonarchie e governi sottomessi alle politiche filo-americane, hanno qualche vantaggio in più. Eppure questi ultimi rimangono spesso governi fondamentalisti che a noi occidentali fanno tanto paura, ma finche ci vendono il petrolio (in dollari), dell’islamismo e della sharia a nessuno frega niente. Invece la Siria laica – e il laicismo, da noi, è ormai un obbligo se non una dittatura – dove le moschee sorgono accanto alle chiese, dove lo scontro religioso si è convertito in pacifica convivenza, dove le donne hanno il diritto di voto dal 1920, non ha le credenziali per potersi dire “democratica” e, quindi, per autodeterminarsi. La mano tesa all’Iran, alla Russia, alla Cina e il supporto della causa palestinese nel giro di poco tempo – a cavallo delle primavere arabe, con quello che è diventato mediaticamente il fenomeno della “libertà” tra i popoli del Maghreb e del Medio-Oriente – la Siria si è trovata a dover far fronte al finanziamento di armi proveniente dall’estero per i gruppi di ribelli (mercenari o terroristi), a dover combattere la campagna didisinformazione (l’Osservatorio siriano dei diritti dell’Uomo, con sede a Londra (!?), parla di vittime tra i civili accreditandole unicamente alle truppe di Damasco quando l’esercito dei ribelli fa ugualmente uso di armi da fuoco pesanti) e le azioni di sabotaggio del governo.

Qui sta al popolo la ribellione, con le proprie forze e con la propria volontà, senza menzogna e senza (falsi) aiuti stranieri, per sbarazzarsi di un governo che non ha scelto. Ma in Siria c’è un popolo diverso, che organizza  la  manifestazione con la bandiera del proprio Paese più lunga del mondo (16 km) a Latakia, il 10 luglio 2011 – proprio qualche mese dopo i primi conflitti -, un popolo che continua, fin quando la guerra lo permette, a scendere in piazza per ascoltare gli appelli di Bashar al-Assad e sostenere il proprio governo (15/06/11 e 15/03/12). Sostenere la Siria vuol dire sostenere gli ideali fondanti della nostra civiltà, vuol dire sostenere la verità, la democrazia – quella vera – e la libertà ed il valore che essa rappresenta e dovrà sempre rappresentare in quanto metro di giustizia. Sostenere la Siria, quindi, vuol dire sostenere anche noi stessi.