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Ribelli e borghesi. La tentazione nazional bolscevica…

di Umberto Bianchi - 01/11/2012


Interessante la presentazione di Ribelli e borghesi. Nazional bolscevismo e Rivoluzione Conservatrice, di Franco Milanesi, avvenuta giovedì 18 Ottobre, presso la “Casa delle culture” con la presenza, oltre all’autore, dall’intellettuale non conforme Marco Tarchi, dallo studioso di marxismo Mario Tronti e dal segretario del Prc, Paolo Ferrero. Un dibattito interessante se non altro perché, per una volta tanto, abbiamo potuto assistere ad un serio tentativo di comprensione di un fenomeno “sopra le righe”, attraverso un’analisi il meno possibile influenzata dai soliti, decrepiti, schematismi ideologici.

Certo, non si può parlare di nazional bolscevismo, senza parlare dell’esperienza di Weimar, ovverosia di quel magmatico ribollire di esperienze, istanze, sincretismi, sorti all’ombra della profonda crisi sistemica ingenerata dalla fine del Primo conflitto mondiale, in una delle nazioni più duramente colpite da quella sconfitta; e cioè la Germania del Reich guglielmino. Due decenni di sommovimenti, rivolte, spargimenti di sangue e disastrosa crisi economica, che spalancheranno le porte all’avvento del nazional socialismo, di cui però Weimar costituisce senza dubbio il brodo di coltura. L’immensa crisi che il mondo occidentale e l’Europa si trovano ad affrontare all’indomani della Grande Guerra, trova la propria prima, sconvolgente risposta nella Rivoluzione di Ottobre, in Russia, generando una serie di violenti contraccolpi in un’Europa a metà strada tra l’euforia nazionalista che aveva animato l’intero, tremendo conflitto e l’impetuoso riproporsi delle istanze sociali che avevano fatto da sfondo all’epoca a cavallo tra il 19° ed il 20° secolo un po’ in tutta Europa.Istanze che, inizialmente cavalcate dai vari movimenti di matrice progressista e marxista, avevano finito in breve con il divenire patrimonio di “altri” modi di intendere ed interpretare il socialismo ed percorso rivoluzionario in genere, come accaduto, per esempio, con gli anarco sindacalisti di matrice soreliana.

Non si può, però, comprendere Weimar ed il clima ideologico che la anima e le fa da contorno, se prima non si sottolinea la presenza di un elemento che funge da convitato di pietra nell’intera vicenda, e cioè quella “Krisis” che comincia a serpeggiare e ad attanagliare le due grandi narrazioni ideologiche dell’epoca: il liberalismo ed il marxismo. Verso la fine del secolo 19°, infatti, le certezze assiomatiche dell’illuminismo e del positivismo avevano cominciato a scricchiolare vistosamente. Una ventata di irrazionale vitalismo ne aveva messo in crisi le paradigmatiche certezze. Nietzsche, Freud e Marx avevano iniziato stravolgendo il tranquillizzante concetto di coscienza razionale ed unitaria dell’ “io”, di cartesiana memoria. Accanto ad espressioni artistiche e letterarie di avanguardia, si assisteva ad un rinnovato interesse per il sapere occulto, mentre il vecchio liberalismo borghese aveva cominciato ad entrare in crisi profonda, sostituito da una forma di nazionalismo intriso di venature di vitalismo e misticismo, sino a quel momento sconosciute, come nel caso dell’Alliance Française di Charles Maurras.

Lo stesso ambito socialista e marxista, cominciava ad essere attraversato dai sussulti di una profonda crisi d’identità. In ambito marxista Bernstein con la socialdemocrazia, Kautski con la propria intransigenza, ed in particolare Sorel, con il proprio percorso volto a superare il marxismo stesso, mostrano una profonda spaccatura nelle modalità di intendere e gestire la visione di fondo dell’idea di rivoluzione. Non solo. All’interno dello stesso fronte del marxismo più ortodosso, si iniziano a percepire profondi dissapori di matrice tattica tra lo stesso Lenin e Rosa Luxembourg, più elitario il primo, più aperta alla partecipazione di massa la seconda. Weimar dunque, si inaugura avendo alle proprie spalle i recenti esempi dei sindacalismi rivoluzionari italiano e francese, l’irrazionalismo vitalista dannunziano, le avanguardie artistiche, la profonda crisi dei grandi sistemi ideologici sino ad allora predominanti, ovvero la ricerca del superamento di questi ultimi attraverso nuove ed originali sintesi. In Weimar convivono i marxisti spartachisti di Karl Liebeknecht e Rosa Luxembourg, accanto agli ariosofi della Thule Gesellschaft di Von Sebottendorf e soci, i “Freikorps” di Von Salomon accanto ai nazional bolscevichi di Niekisch, i socialisti accanto ai rivoluzionario-conservatori alla Moeller Van Den Bruck e Hugo Von Hoffmanstahl, assieme ad una miriade di altri gruppi e gruppetti.

Weimar è dunque attraversata dalla tentazione di coniugare il nazionalismo pan germanico con il bolscevismo russo-sovietico, nel nome di una futura patria euro-asiatica. Una tentazione che risuona, d’altronde anche tra gli esponenti di spicco del primevo eurasismo russo alla Gumilev ed alla Trubetzskoy. Il profondo disprezzo per il capitalismo di stampo americano ed occidentale e la spinta ad una rivolta delle masse in tal senso, lo spettacolo della mediocrità borghese dell’ Europetta figlia del liberalismo ottocentesco, accanto alla presa di coscienza dell’insufficienza categoriale marxista, in particolare per quanto attiene al concetto di nazione come “uhr-heimat”, costituiscono il propellente ideologico dell’istanza nazional bolscevica di Ernst Niekisch.

Al nazional bolscevismo aderiranno inizialmente personaggi del calibro di Otto Strasser, il rivoluzionario-conservatore Ernst Junger, il capo delle SA Ernst Rohem, lo stesso Von Salomon ed il futuro ministro della propaganda del Terzo Reich, Josef Goebbels. La stessa KPD marxista adotterà a più riprese tematiche nazional bolsceviche per rendere più malleabile e digeribile l’impianto teorico marxista, nei riguardi delle preponderanti spinte nazionaliste. Ma il nazional bolscevismo, al pari della Konservative Revolution, finirà con l’essere fagocitato ed introiettato all’interno del nazional socialismo tedesco e, laddove non ne accetterà in toto le direttrici ideologiche, conoscerà i rigori di una totalitaria persecuzione, come nella travagliata, pluridecennale, vicenda di Ernst Niekisch, detenuto nelle carceri del Terzo Reich sino alla fine del secondo conflitto mondiale ed, a seguito di una deludente esperienza nella DDR, nel ruolo di isolato e polemico transfuga nella Germania Ovest.

L’incontro alla “Casa delle Culture” ha affrontato l’intera questione sotto il profilo della critica ideologica e di un esame spassionato, offrendo degli interessanti spunti di riflessione, in primis quelli offerti dal Prof. Tronti che, dopo i dovuti distinguo critici, non ha esitato a presentare un’inusitata ed innovativa critica all’eccessivo materialismo economicista della dottrina marxista, sino a spingersi ad esaltare il concetto di Eurasia. Lo stesso Milani, proveniente dalle fila di RC, non ha avuto alcun problema nel sottolineare la validità del mondo valoriale, del “sentire” che traspare dagli scritti di Jünger, senza però poter dare una risposta su come conciliare tutto questo, con l’impostazione marxista. Più pessimista sicuramente l’intervento di Tarchi, più prudente e timoroso quello di Ferrero, ma tutti, comunque, animati da un preavvertibile malessere di fondo, riguardante l’insufficienza delle attuali categorie ideologiche.

E qui ritorna, prepotente, l’urgenza di un momento di chiarificazione attorno alla questione perno: quella sul senso dell’intera vicenda dell’Occidente, alla luce della Globalizzazione ed alla non più rinviabile scelta radicale che questa ci pone. O “con” o “contro” di essa, senza “se” e senza “ma”. Per questo, quella del nazional bolscevismo e della sua eterodossia ideologica, deve rappresentare per noi un punto di partenza, in direzione di un’autentica “renovatio” del pensiero che sappia finalmente coniugare la vitalistica spinta al divenire con la dimensione degli archetipi valoriali, che costituiscono quel bagaglio di ricchezza e varietà delle culture di tutti i popoli del mondo.

La pressante sfida della Globalizzazione,  sempre più, oggidì, va imponendo la tabella di marcia per la creazione di un  un fronte antagonista a livello planetario. L’Iran sciita di Ahmadinejad oggi va a braccetto con la Siria laica di Assad e con il Venezuela socialista e bolivarista di Chavez. In tutto il mondo, vanno pian piano facendosi strada un arcobaleno di nuove istanze, da tutte le posizioni e tutti i fronti, ma tutto questo ancora non basta. L’Italia, a causa della sua particolare vicenda politico-ideologica, dovrebbe avere la forza di divenire il laboratorio per un epocale cambiamento nel sentire politico, non più legato ai vetero campanilismi d’accatto, che tanto piacciono ai padroni del vapore. La lotta di classe e gli interessi della comunità nazionale, possono trovare un punto d’incontro in una sintesi ideologica in grado di superare definitivamente la grande frattura Destra-Sinistra, ingeneratasi in Occidente all’indomani della Rivoluzione Francese. Allora al capitalismo globale potremmo opporre un fronte variegato, costituito dalle cento, mille realtà di lotta oggidì presenti sul pianeta Terra, ma tutte, ugualmente accomunate, da un’unica titanica volontà di Resistenza. E, tornando ad Ernst Niekisch, è proprio da Lui che dobbiamo ripartire. Dalla sua originalità, dalla sua eterodossia, dal suo spirito ribelle ad ogni costo, da quella Wiederstand/Resistenza, in grado di ricordarci che un altro mondo è sicuramente, ancora, possibile, senza “se” e senza “ma”.