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Chi seduce e chi è sedotto nel gioco amoroso fra il giovane e l’adulto?

di Francesco Lamendola - 10/12/2012

 

Noi siamo un po’ tutti abituati a giudicare che, se una relazione sessuale si instaura fra una persona adulta ed una molto giovane, la prima si sia approfittata della seconda, l’abbia manipolata e, sfruttando la sua maggiore esperienza di vita, sia riuscita ad ottenere da lei quello che, altrimenti, non sarebbe riuscita ad avere per vie “normali”; e, di fatto, crediamo che il più delle volte le cose stiano proprio in questo modo.

Non è detto, però, che le cose vadano sempre in quel modo; vi possono esser dei casi, sebbene relativamente rari, nei quali è proprio il giovane, o perfino l’adolescente, a svolgere la parte dell’esperto seduttore e non l’adulto, che, al contrario, si trova ad essere preso in un gioco più grande di lui: ciò avviene quando quest’ultimo è particolarmente ingenuo, o quando possiede un equilibrio interiore incerto e una coscienza tormentata, ed è alle prese con un ragazzo precoce e malizioso, che la sa molto più lunga di lui.

Nel romanzo di Ercole Patti «Un bellissimo novembre», del 1967, la zia Cettina, assai più navigata e piuttosto cinica, seduce Nino, il giovane nipote e gli provoca un trauma che lo condurrà alla morte (finale tragico che manca del tutto nella versione cinematografica realizzata da Mauro Bolognini due anni dopo): qui i ruoli tradizionali sono rispettati e, naturalmente, la situazione è resa più drammatica dal fatto che la seduzione si configura anche come un incesto.

Una situazione speculare ed opposta è quella descritta nel film «Peccati di gioventù», che non è certo un capolavoro ma che si presta ad illustrare il nostro discorso (ce ne eravamo già occupati nell’articolo: «Un film al giorno: “Peccati di gioventù”, di Silvio Amadio (1975)», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 25/04/2009): la giovanissima Angela, gelosa del tardivo matrimonio del padre vedovo con la bella trentenne Irene, seduce la matrigna a mente fredda, per poi ricattarla con delle foto compromettenti e costringerla ad uscire dalla loro vita; ma la donna, che si era realmente innamorata della ragazza, non regge alla scoperta della macchinazione ordita ai suoi danni e, allontanandosi a folle velocità in automobile, lungo una strada tortuosa a strapiombo sul mare, va incontro alla morte.

Vi possono essere, poi, dei casi nei quali, anche restando nel contesto che abbiamo delineato, quello di un rapporto fra una persona adulta ed una estremamente giovane, il ruolo del sedotto e quello del seduttore sono più sfumati ed è più difficile dire chi abbia sedotto chi. Questo va contro un tenace pregiudizio e infrange un autentico tabù culturale, quello che vorrebbe l’adolescente sempre puro e innocente e che rovescia ogni colpa sull’adulto; ma, come abbiamo detto sopra, il fatto che le cose stiano normalmente così, non significa che lo siano sempre.

Prendiamo il quadro di Balthus «La lezione di chitarra», del 1934, molto discusso per la crudezza della rappresentazione: una matura maestra di musica rovescia sulle ginocchia una ragazzina impubere e, alzatale la gonna fin sopra la vita, la masturba con la mano, “suonandola” come uno strumento (è stato notato che il gruppo delle due donne ricorda, dal punto di vista compositivo, una sorta di blasfema “Pietà” laica).

Sembrerebbe, dunque, che si tratti di uno stupro puro e semplice e non di un caso di seduzione; anche se l’autore, da parte sua, con una certa dose di ambiguità (oltre che di compiacimento) aveva affermato: «Io voglio declamare alla luce del sole, con sincerità e partecipazione, tutta la tragedia e l’emozione di un dramma della carne, proclamare a gran voce le incrollabili leggi dell’istinto». Ma le cose stanno proprio come sembrano?

Se si guarda il quadro con più attenzione, ci si accorge che la fanciulla non è solo consenziente, anzi si offre con pieno abbandono alle sapienti carezze della maestra, ma è anche parte attiva nel gioco sessuale: infatti con la mano sinistra stringe il capezzolo di lei, dopo averne scoperto il seno fuori dalla scollatura dell’ampia blusa di seta. È una “vittima” un po’ meno innocente, dunque, di quel che potrebbe apparire a uno sguardo frettoloso e impaziente di ribellarsi e di condannare senza remissione l’immoralità della donna adulta e il candore violato della tenera ragazzina. Condanna più che giusta, intendiamoci, perché mai un adulto, e specialmente un insegnante, dovrebbe approfittarsi sessualmente del proprio allievo; ma, forse, un po’ troppo unilaterale, perché tende a semplificare in modo manicheo una situazione che, invece, è imbarazzante proprio perché sfumata e sommamente ambigua.

L’ambiguità, l’indefinitezza dei ruoli del seduttore e del sedotto, sono frequenti nel rapporto fra adulti, specialmente se si tratta di relazioni socialmente proibite e moralmente discutibili, come nel caso dell’incesto. Un tipico esempio di questa modalità può essere considerato quello che narra Tacito a proposito di Agrippina e di suo figlio, Nerone.

Così ne parla lo storico latino, nel celebre racconto dei suoi «Annales» (XIV, 2; traduzione di Luigi Annibaletto, Milano, Garzanti, 1974):

 

«Racconta Cluvio che, nella smania di conservare il suo potere, Agrippina si spinse tanto avanti che, in pieno giorno, quando Nerone era incalorito per effetto del vino e del cibo, più di una volta si offerse a lui, ubriaco, in abbigliamento seducente e pronta all’incesto: poiché ormai i baci lascivi e le carezze, che erano preludio all’infamia, attiravano l’attenzione dei più vicini, Seneca contro le insidie donnesche cercò aiuto da una donna e fece entrare la liberta Atte, inquieta per il pericolo proprio e nello stesso tempo per la reputazione di Nerone, lo avvertì che s’era sparsa la voce dell’incesto, poiché sua madre ne menava vanto, e che i soldati non avrebbero sopportato un imperatore infamatosi in tal modo.

Secondo Fabio Rustico l’infame desiderio sarebbe stato non di Agrippina ma di Nerone, e sventato dall’accortezza della stessa liberta. Senonché la versione di Cluvio fu ripresa anche da altri storici e ad essa s’accosta la voce pubblica, sia che realmente Agrippina abbia concepito nell’animo un progetto così mostruoso, sia che la premeditazione di una così raffinata libidine sembrasse più credibile da parte di una donna che negli anni della fanciullezza s’era data a Lepido [Lepido era marito di Drusilla, figlia di Germanico, e quindi cognato di Agrippina: nota di L. Annibaletto]; con uguale degenerazione s’era abbassata fino ai capricci d’un Pallante, mentre il matrimonio con suo zio [cioè l’imperatore Claudio, nota nostra] l’aveva resa capace d’ogni infamia.»

 

Per poi riprendere ambiguamente, senza assumersi la responsabilità di accoglierla o rifiutarla, la tradizione secondo cui Nerone, dopo averla fatta assassinare, avrebbe sostato a contemplare il cadavere di lei, commentando con rivoltante cinismo e con morbosa attrazione i suoi pregi di quarantaquattrenne ben conservata (XIV, 9):

 

«Su questi fatti [cioè l’assassinio di Agrippina per ordine del figlio, in cui ella avrebbe proteso il ventre e ordinato ai sicari di colpirla lì, in quelle viscere che avevano concepito il matricida: nota nostra] la tradizione è concorde: che poi Nerone abbia contemplato il corpo inanimato della madre e ne abbia lodato la bellezza, c’è chi l’ha scritto e c’è invece chi lo nega.»

 

A maggior ragione l’ambiguità ci sconcerta se è presente in un rapporto fortemente squilibrato dal punto di vista dell’età dei due amanti.

Nel film di Mino Guerrini «Oh dolci baci e languide carezze» (1969) - che, come si intuisce già dal titolo (dalla «Tosca» di Puccini), non è certo un classico della cinematografia impegnata, ma in compenso è interpretato da un bravissimo Luciano Salce -, un serio e maturo professionista, sposato e padre di famiglia, s’innamora perdutamente di una giovanissima “hippy” che si diverte a tormentarlo e a farlo ingelosire, concedendosi a tutti tranne che a lui e che, alla fine, lo mette seriamente nei guai per un pasticcio di droga. L’uomo verrà condannato anche perché, al processo, lei si presenta nell’aula del tribunale con aria ingenua e smarrita, vestita da collegiale pudibonda e con una “mise” acqua e sapone che la trasforma in una verginale pre-adolescente, facendolo apparire, per contrasto, come un anzianotto depravato, che non si è fatto scrupolo di approfittarsi della sua inesperienza.

È un film che ha fatto imbestialire le femministe e i loro sostenitori (e che li fa imbestialire tuttora, come si può vedere anche da una rapida ricognizione in rete), ma che, oltre ad essere causticamente esilarante, ha il merito di strappare il velo dell’ipocrisia su uno dei dogmi più sacrosanti della generazione sessantottesca, su una delle più tipiche espressioni di quel conformismo che amava ed ama travestirsi da anticonformismo: la “colpevolezza”, sempre e comunque, del seduttore (maschio e adulto) e l’innocenza, altrettanto aprioristica e fuori discussione, della “vittima” sedotta (femmina e giovane).

Adesso cerchiamo di tirare le fila del presente ragionamento e di avviarci ad una conclusione, che non può né vuole essere nel segno del relativismo etico. Il fatto che la realtà sia ambigua e che le apparenze possano, talora, ingannare, non autorizza ad abolire il giudizio di ciò che è bene e di ciò che è male; ma, semmai, insegna a raddoppiare di prudenza prima di giudicare. Il bene resta sempre bene e il male è ancora e sempre male; vi sono azioni sbagliate e cattive in se stesse, che non si dovrebbero mai compiere, e le cui conseguenze possono essere difficilmente prevedibili, ma comunque gravi.

La capacità di sedurre, oggi, viene presentata dalla cultura dominante, edonista e utilitarista, come una qualità auto-evidente: possederla è un bene, esserne sprovvisti é un male, perché ciò che conta, nella vita, è sfruttare sino in fondo il proprio “capitale erotico” e, pertanto, essere in grado di manipolare e dominare gli altri, ridurli a meri strumenti delle proprie voglie, del proprio interesse e del proprio piacere.

Bisognerebbe, invece, rivedere questa opinione, per quanto largamente diffusa essa sia (e veicolata incessantemente dalla pubblicità e dai mezzi d’informazione di massa), e ricordare che la seduzione è una azione estremamente delicata dal punto di vista morale, posta in bilico, com’è, fra le ragioni dell’istinto, dunque della natura, e quelle della volontà lucida e consapevole, dunque della ragione (qualsiasi cosa si voglia intendere con quest’ultimo vocabolo: non è questa la sede per sottilizzare troppo dal punto di vista filosofico).

Pertanto, se è indubbio che l’adulto ha, sempre e comunque, dei precisi doveri nei confronti del giovane e dell’adolescente, e a maggior ragione del bambino, è altrettanto vero che i meccanismi della seduzione possono scavalcare le differenze di età e perfino di esperienza e mettere anche l’adulto alla mercé delle proprie pulsioni primitive.

La seduzione, infatti, ha questo di caratteristico: che esercita un potere sull’altro senza ricorrere alla violenza o ad alcuna forma di costrizione, ma ridestando in lui le pulsioni dell’io profondo, e facendone così il proprio alleato nell’opera di assoggettamento, di dominio e di possesso del suo corpo e della sua interiorità: come una quinta colonna che agisce da dentro le mura della città, le pulsioni ridestate si animano di una propria volontà, indipendente da quella dell’io consapevole, e possono talvolta sgretolare ed infrangere anche la coscienza meglio custodita.

È così che il sedotto dimentica i propri doveri, smarrisce il senso delle proprie responsabilità e arriva a perdere, in casi estremi, anche la propria dignità e il rispetto dovuto a se stesso; e non sempre, ripetiamo, una tale sorte è riservata alla persona più giovane, perché nella seduzione vi è un elemento di furbizia e di malizia istintive che possono anche bruciare le tappe della graduale esperienza di vita ed imporsi a chi ha una maggiore età anagrafica.

Insomma, non si dovrebbe giocare troppo col fuoco e non si dovrebbe insegnare ai bambini e agli adolescenti che il gioco più bello di tutti è quello della seduzione. Per esempio, non si dovrebbero trasformare i bambini in adulti precoci, come avviene in certi programmi televisivi nei quali, con la scusa del canto e della musica, e sfruttando la voglia di celebrità delle loro famiglie che si prestano al gioco, essi vengono derubati della loro infanzia.

Il Diavolo ama nascondersi dietro le apparenze più innocue: ma il suo cattivo odore lo tradisce…