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Notte dei fuochi, i pastori parlano con gli animali

di Giuseppe Pulina - 18/01/2013

Fonte: lanuovasardegna

Sant’Antonio ’e su fogu. Una ricerca riporta alla luce una forma di linguaggio che ha origini antichissime



La notte fra il 16 e il 17 gennaio la Sardegna, come moltissime altre contrade del Mediterraneo, si illumina dei fuochi accesi in onore di Sant'Antonio Abate, noto nell’isola con il nome di Sant’Antonio 'e su fogu. Fra le altre pratiche di devozione, una in particolare distingue questo antichissimo santo: la benedizione degli animali domestici. L'iconografia tradizionale raffigura, infatti, un maialetto (con una campanella al collo) accanto al santo ai cui piedi sono accovacciati altri animali. Sant'Antonio era intatti ritenuto un potente taumaturgo, in grado di guarire terribili malattie di uomini e animali, fra le quali il "fuoco di sant'Antonio", con l'unzione del corpo degli sventurati con il grasso del maiale. La perdurante e diffusissima notorietà del santo in Sardegna è forse la migliore dimostrazione del fatto che l'isola è uno dei luoghi del Mediterraneo a maggiore impronta pastorale. Clima incostante, territorio acclive e terreni poco fertili, unitamente alla bassa densità demografica, hanno da sempre favorito la pratica zootecnica rispetto a quelle agricole. Attualmente circa il 60% della superficie isolana è utilizzata per il pascolo degli animali zootecnici e l'allevamento impiega poco meno di 50.000 persone.

Uno dei tratti caratteristici e meno conosciuti della vita pastorale è la vocalizzazione utilizzata per il governo delle diverse specie allevate, un vero e proprio linguaggio fra l'uomo e l'animale trasmesso esclusivamente per via patriarcale. I giovani pastori, infatti, imparavano (e imparano) questo particolare linguaggio dal padre, dagli zii e dai servi pastori per emulazione. Ciò distingue profondamente la via di acquisizione dei fonemi caratterizzanti questo linguaggio da quanto avvenuto, negli stessi soggetti, per la lingua naturale che è appresa principalmente dalla madre. Nell'ultimo mezzo secolo la modernizzazione degli allevamenti ha comportato da un lato la perdita di attitudini produttive arcaiche, quali il lavoro per bovini e cavalli, e dall’altro la rarefazione dei rapporti fra uomo e animali per effetto della sedentarizzazione degli allevamenti e dell’aumento del numero di capi governati dal singolo allevatore. Il rischio di perdere la memoria delle modalità con le quali l'uomo-pastore per secoli si è rivolto, ha richiamato e governato le proprie bestie è elevato. Per questo motivo, con la mia studentessa Giusy Nieddu, che ha conseguito recentemente la laurea magistrale discutendo una tesi su questo argomento, abbiamo filmato le testimonianze di anziani pastori del Mejlogu, del Marghine-Planargia e della Barbagia sulle modalità vocali con cui si rivolgevano agli animali (un breve filmato dimostrativo è presente su Youtube all'indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=Qj0TMD7iQeo): esse rappresentano una documentazione non mediata del valore linguistico e antropologico di questo particolare segmento della cultura arcaica della Sardegna.

Lo scopo dell'indagine è stato quello di verificare le somiglianze e le differenze nel linguaggio impiegato per gli animali soprattutto per quanto attiene il substrato dialettale della lingua sarda e di verificare se i suoni-parole impiegati sono riconducibili a precisi vocaboli della lingua sarda.

Per quanto riguarda il richiamo dei buoi, il termine "iss", utilizzato per fermare gli animali, è praticamente uguale per tutti gli allevatori intervistati. Il termine probabilmente deriva dal sardo "ista firmu" (stai fermo), con forte enfasi sulla prima parte della frase e contrazione della restante parte. Il termine utilizzato per far muovere il giogo di buoi è "pru" e "tru", accompagnato in alcuni casi dall'aggiunta della specie animale ("prù su ò" e "trù su ò"), probabilmente derivante dalla parola "truvare, trubbare" (stimolare e condurre avanti il bestiame). Infine, per la svolta erano usati termini quali "orta" (ortare uguale girare, svoltare usato solo per il bestiame), "addrizza su po’" (raddrizzare, aggiustare la posizione), "torra su òe" (torrare uguale ritornare il bue, ma in qualche caso per governare il giogo, gli animali erano chiamati con il nome proprio. I cavalli e gli asini erano (e sono tuttora) fatti avanzare e fermati con termini uguali fra le diverse aree geografiche (cambia solo la seconda parola che accompagna il vocabolo primario): "tru/pru su cà" vs "tru/pru" s'à” e "iss" per fermali (iss, issi, isc, iscii, nelle quattro varianti registrate). Per bloccare una mandria di vacche i termini impiegati sono nella stragrande maggioranza "torra" (torrare o torràe uguale ritornare), mentre il richiamo di avvicinamento è costituito da vari vocaboli quali "dè, te dè, bè" il primo di origine non definita (ma nella variante di Nuoro della lingua sarda il vezzeggiativo utilizzato verso le persone care, fidanzato/a, marito/moglie o figlio/a è "dè-dè"), il secondo probabilmente derivato da tene uguale tieni, prendi il mangime, e il terzo è forse la contrazione dell'imperativo beni del verbo bennere (venire).

Anche il gregge di pecore è richiamato con l'esclamazione "de" in quasi tutti i casi, eccezione fatta per Bultei dove si usa il "cè sa roba" (roba uguale termine colloquiale in cui in sardo si indica il gregge) e Burgos dove è stato repertoriato un "eriga ervè". Per quanto riguarda la movimentazione degli animali, ricompaiono le esclamazioni "pru e tru", ma sono state anche riscontrate frasi complete quali "essi fora sa roba" che significa vieni fuori gregge, con la variante di Nule "etze sa rò". Il richiamo per i maiali, infine, ha un linguaggio identico per quasi tutti gli intervistati. L'esclamazione che tutti conoscono è "ciò ciò" (di derivazione onomatopeica in quanto riproduce il suono dei suini che mangiano) con tre differenti fonetiche "ciò, Cè e zò", per gli adulti, e "nzuei, nzuei", per i suinetti.

In conclusione, nel corso di questa indagine ci siamo resi conto che parlare agli animali è stato per molti pastori del passato l'unico modo di comunicare nelle lunghe giornate trascorse al pascolo con le greggi. Voci, fischi, schiocchi di richiamo del bestiame hanno rappresentato per millenni una parte caratterizzante del paesaggio sonoro sardo.

L'analisi del materiale raccolto ci ha permesso di verificare che molti fonemi di questo linguaggio derivano dalla lingua madre, il sardo, ma diversi presentano una struttura ancestrale, probabilmente di origine preindoeuropea, quali i klics (lo schiocco della lingua sul palato), ormai relegati alle lingue dell'Africa australe. Alcuni versi o parole utilizzati originariamente solo con gli animali sono col tempo diventati di uso corrente ed impiegati, nei contesti pastorali, in particolari occasioni quali il corteggiamento o le liti. La raccolta di testimonianze di anziani pastori e il loro studio, esteso ad altre realtà linguistiche della Sardegna e del Mediterraneo, non solo salvaguarderebbe un patrimonio culturale a rischio di estinzione, ma potrebbe essere di grande utilità per capire meglio la storia e la struttura della lingue madri.