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Lo Spirito. Percorsi nella filosofia e nelle culture

di Massimiliano Chiari - 26/02/2013

Fonte: recensionifilosofiche




“Il vento soffia dove vuole” (Gv. 3,8): con queste parole, secondo l’evangelista, Gesù si sarebbe rivolto a Nicodèmo, capo dei farisei e membro del sinedrio, durante una buia notte di vento, nel tentativo di fargli comprendere la possibilità, ma anche la necessità, di una rinascita spirituale; l’immagine del vento, - di cui “si ode la voce ma non si sa da dove viene e dove va” (ivi) -, non è casuale. Infatti, in greco ed in ebraico il termine (rispettivamente pneuma e ruach) designa sia il vento sia lo spirito, al punto che – attraverso un legittimo gioco semantico – l’incipit del passo di Giovanni potrebbe anche essere tradotto 

con “Lo spirito [di Dio] soffia dove vuole”.
E’ proprio questo concetto di spirito dinamico e trasversale, pluridirezionale, interculturale, che emerge con forza dalla raccolta di saggi curata da Maurizio Pagano; il volume è frutto di una ricerca quinquennale condotta seminarialmente nell’ambito dei programmi culturali del Centro Studi Filosofico-religiosi “Luigi Pareyson”, di cui Pagano è direttore.
Come recita il sottotitolo della raccolta, vengono proposti da oltre trenta diversi autori altrettanti percorsi di ricerca, non solo in ambito strettamente filosofico, ma anche attraverso culture diverse da quella occidentale (egiziana, cinese, indiana, arabo-islamica, russa).
Chi volesse ripercorrere i molteplici e variegati percorsi dello spirito alla ricerca delle radici spirituali dell’Occidente (e non solo), troverà nel volume in esame un ottimo strumento di indagine, una guida articolata e raffinata, grazie alla competenza dimostrata da ciascuno degli autori dei saggi che compongono la raccolta.
Pagano, nell’intervento che apre la raccolta, ricorda come “Il riferimento al tema dello spirito attraversa […] tutta la storia della cultura occidentale, sia sul versante dell’esperienza e del pensiero religioso, sia su quello della filosofia e della letteratura” (p. 13); tuttavia, la riflessione sullo spirito non è stato un privilegio esclusivo dell’Occidente: se ne ravvisano echi nell’antico Egitto (A. Bongioianni, pp. 65-69), nella cultura cinese pre-buddhista (A. Andreini, pp. 71-107), in quella indiana (M. Piantelli, pp. 109-125) e nella tradizione arabo-islamica (A. Scarabel, pp. 169-186). L’Occidente, invece, ha iniziato la propria riflessione sullo spirito a partire da due tradizioni: quella ebraica (P. De Benedetti, pp. 127-136) e quella greca (A. Magris, pp. 137-158). E’ quasi superfluo dover sottolineare che le culture antiche sopra richiamate, alle quali è dedicata la prima parte della raccolta, non hanno agito a compartimenti stagni nell’elaborazione del rispettivo concetto di spirito, ma hanno subito o fornito contaminazioni spesso importanti, messe in evidenza dai diversi autori della raccolta.
Partiamo da noi, uomini occidentali, figli innanzitutto della tradizione ebraica e greca: “sia il vocabolo ebraico ruach sia quello greco pneuma indicano originariamente il vento, l’aria in movimento, che è poi anche l’aria che si respira, quindi il respiro o il soffio vitale” (p. 14); è attraverso questa via che il tema dello spirito viene consegnato al pensiero cristiano (pensiamo alla versione della Bibbia dei Settanta, nella quale il termine ruach viene tradotto, nel 74% dei casi, con pneuma). Se da un lato, come mette in luce De Benedetti, “la ruach accomuna uomini e animali, è segno di vita e in alcuni casi lo si può considerare un termine sinonimo di respiro”, dall’altro non va dimenticato che “la ruach è anche il respiro di Dio” (p. 131): “Allora il Signore plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita. L’uomo divenne un essere vivente” (Gen. 2,6). La ruach, quindi, agisce nel vivente, nell’uomo, nella misura in cui gli è fornita da Dio, che la possiede originariamente; essa – come ha sottolineato Pagano – “si manifesta nelle creature, ma non è a loro disposizione, e appartiene piuttosto a Dio” (p. 14). Il Nuovo Testamento rielaborerà questa eredità in termini escatologici: “lo spirito è dono escatologico, legato alla risurrezione di Cristo, […] così esso “abita” nei credenti” (ivi).
Anche nella cultura greca la nozione di pneuma, che può essere fatta risalire ad un frammento attribuito ad Anassimene, assume un ruolo centrale; anche lì viene originariamente inteso come “soffio divino che pervade tutto” (p. 15), come “forza che è all’origine della vita” (ivi); tuttavia, come ha messo in evidenza Magris, i greci operarono una sorta di intellettualizzazione del termine spirito, avvicinandolo sempre più – fino ad identificarlo – al concetto di nous (intelligenza cosmica) contrapposto alla materia: lo spirito divino diventa somma ragione e la facoltà razionale dell’uomo diventa la via per conoscere quell’intelligenza. Ci troviamo di fronte ad una svolta fondamentale: “Il corrispondente dello spirito per i greci è il nous, e sotto questa forma, con questo specifico contenuto, ha avuto senza alcun dubbio un’incidenza notevole nella formazione del pensiero spiritualistico in Occidente” (p. 151). Ricorrendo ancora una volta al giudizio di Pagano, possiamo affermare che, per quanto riguarda l’Occidente, “la riflessione sullo spirito ha mosso i primi passi in Israele e in Grecia, collegandolo al fenomeno della vita e riconoscendo in esso una forza o un principio che è all’origine della vita e del suo senso. Più avanti, grazie all’incontro del cristianesimo con la filosofia greca, questa ricerca si è soffermata soprattutto su ciò che lega lo spirito al fenomeno della coscienza e della ragione” (pp. 20-21).
Ma prima di soffiare in terra ebraica e greca, lo spirito dove ha soffiato? Certamente nell’antico Egitto, anche se lì non è possibile individuare un vocabolo che corrisponda al nostro “spirito”, poiché l’uomo egiziano non è un unione di anima e corpo, ma piuttosto un’unità inscindibile, un individuo pieno, come la ha definito Bongioianni nel saggio dedicato al periodo in questione. Ora, “tra le molteplici componenti della persona vi sono quelle a carattere anche spirituale […] come akh, ba, e ka” (p. 65): l’akh rappresenta l’energia divina, che è all’origine della creazione, il ba è l’elemento personale, rappresenta l’identità dell’individuo da morto, mentre il ka è la forza vitale dell’uomo, l’elemento divino che è in lui (cfr. p. 22). Un elemento di forte assonanza con la tradizione ebraica, relativamente al concetto di indisponibilità dello spirito-ruach, lo ritroviamo in questo passaggio di Bongioianni: “Il cuore dunque, per gli antichi egizi, è la sede dell’intelletto e della coscienza e come il ka è qualcosa che appartiene all’uomo, ma nello stesso tempo non è completamente a sua disposizione” (p. 69).
Se la Cina pre-buddhista rappresenta un esempio di cultura lontana da noi, che non ha avuto contatti diretti con la tradizione ebraica e greca, tuttavia Andreini ha individuato degli elementi che possono richiamare il concetto di spirito inteso come “soffio vitale” (il qi) e, in particolare, lo shen, insieme di facoltà non-umane di cui l’uomo può disporre per ambire allo status che è proprio delle divinità; anche in questo contesto, ritorna l’idea della spiritualità a cui l’uomo può attingere, ma che non gli appartiene in via esclusiva, essendo essa – per sua natura – sovraumana.
Infine, ma non per ultimo, la cultura indiana ha elaborato il concetto di prāna la cui “accezione più significativa per noi è quella che lo intende come il soffio vitale, senza del quale la vita viene meno” (p. 24); si noterà come anche nelle culture orientali la nozione di spirito ha sempre a che fare con la vita, con la sua originaria indisponibilità e con la forte connessione che essa consente di stabilire fra la dimensione divina e quella umana.
La seconda parte della raccolta è dedicata specificatamente allo sviluppo del concetto di spirito in Occidente, sia in ambito teologico che in ambito più specificatamente filosofico, dal medioevo all’età moderna, dalla teologia della storia di Gioacchino da Fiore (pp. 189-214) fino alla corporeità spirituale di F.G. Oetinger (pp. 297-315), passando attraverso Bonaventura, Tommaso d’Aquino, Eckhart, Cusano, Bӧhme. Ma la massima fioritura del concetto filosofico di spirito si è avuta con l’idealismo tedesco (al quale è dedicata la terza parte), in particolare con il pensiero di Hegel. Qui Pagano ricorda come il filosofo tedesco abbia tentato una poderosa sintesi delle precedenti interpretazioni filosofico-religiose del concetto di spirito, collocandosi oltre il dualismo cartesiano già fortemente criticato da Kant. “Il progetto che Hegel cerca di realizzare è in effetti quello di raccogliere tutta la complessità dello spirito e portarla all’unità e alla trasparenza della teoria speculativa” (p. 36). Attraverso tale rielaborazione, Hegel giungerà alla conclusione, nella fase matura del suo pensiero, che “attraverso il suo percorso teorico e pratico, che si dispiega nella storia, lo spirito realizza se stesso, conosce e porta a compimento la sua libertà: la storia della sua liberazione è il filo conduttore dell’intera filosofia dello spirito” (p. 365); in altre parole, per Hegel l’essenza dello spirito della (o nella) storia universale è la libertà, “la quale è a un tempo il compito che ogni spirito [individuale] deve realizzare” (p. 37).
Dopo aver proposto, nella quarta parte della raccolta, alcuni suggestivi saggi dedicati al pensiero russo (Solov’ev, Florenskij, Bulgakov), la quinta e ultima parte dell’opera intende analizzare le interpretazioni dello spirito nell’orizzonte del pensiero contemporaneo, con particolare riferimento agli esponenti del pensiero ermeneutico. Oltre a quanto accade in ambito strettamente filosofico (con Scheler, Bergson, lo spiritualismo francese, Heidegger, Ricoeur, Vattimo e Derrida), Pagano fa notare che “la storia della teologia recente offre una vicenda che riveste un notevole interesse […]; nell’ultimo terzo del XX secolo [il tema dello spirito] è balzato al centro dell’attenzione sia in campo cattolico che in ambito protestante” (p. 54). La svolta decisiva avviene con il Concilio Vaticano II che “rivalutò sia il tema della Trinità che quello dello Spirito, e da lì prese avvio una nuova linea di ricerca” (p. 55). A questo campo è dedicato l’ultimo saggio della raccolta, di Sergio Rostagno (pp. 665-682),  il quale mostra come secondo le ultime tendenze della teologia “Lo Spirito non è tanto il pervenire di Dio alla sua piena realtà […] quanto la possibilità di Dio di presentare se stesso come santo. Da parte umana non si tratta di realizzare quella santità, quanto di ricevere direttamente da essa la forza della perseveranza e dell’attesa” (p. 682). Ancora una volta, come avevamo intravisto fin dai primi passi del cammino attraverso il quale l’opera di Pagano ci conduce, lo spirito - come il vento - investe tutto l’uomo, ma egli non ne può disporre, non lo può possedere fino in fondo, essendo il vento dello spirito il ponte, la congiunzione, verso ciò che umano non è.
A questo proposito, conclude Pagano, “lo spirito dice qualcosa dell’esperienza della libertà. Libertà sembra dire padronanza di noi stessi, quindi non dipendenza da poteri estranei e insieme controllo di noi stessi e dunque anche facoltà di scelta; ma la libertà, nella luce della riflessione sullo spirito, indica anche qualcosa che riceviamo, di cui non siamo del tutto padroni, o che almeno urta continuamente con ciò di cui non siamo padroni” (p. 60).