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In memoria di un patriota Corso

di Gianni Sartori - 26/04/2013

Magro, affilato. Ironico e calmo, ma sprizzante energia. Fumatore.

Così ricordo Yves Stella. Ho avuto l'onore di conoscerlo nel 1989 a Bozen (Tirolo). Un convegno sull'Europa dei popoli a cui parteciparono, tra gli altri, i baschi José Antonio Egido (Takolo) e Txema Montero (all'epoca, rispettivamente,  responsabile degli Esteri e parlamentare europeo di Herri Batasuna), Eva Klotz e il catalano Aureli Argemi del CIEMEN. Erano i giorni immediatamente successivi all'assassinio del deputato di Herri Batasuna Josu Muguruza e l'evento gli venne dedicato.

Yves Stella è morto l'anno scorso, il 15 luglio 2012, a 69 anni, dopo una lunga malattia.

E' storicamente dimostrato che la lotta del FLN algerino divenne un preciso riferimento per Euskadi Ta Askatasuna (Eta). Ugualmente la Rivoluzione portoghese dei garofani si poteva considerare un “effetto collaterale” della lotta di liberazione nelle colonie portoghesi (Angola, Mozambico, Guinea Bissau e Capo Verde). E anche i fondatori del FLNC in Corsica avevano preso a modello i movimenti anticoloniali dell'Africa francofona. Yves Stella aveva conosciuto di persona queste realtà cogliendo le analogie con la situazione dell'Isola di Granito. Soprattutto per la difesa della propria lingua e della propria cultura. Sua anche l'idea di modificare il vessillo tradizionale dove la “testa di moro” portava la benda sugli occhi, come i quattro del vessillo sardo. In entrambe le bandiere infatti venivano raffigurati dei pirati barbareschi sconfitti e fatti prigionieri. “Ma si poteva -spiegava Stella- in un movimento di liberazione avere per simbolo un uomo incatenato, prigioniero?”.

Yves aveva partecipato alla “nuit bleu” del 4 e 5 maggio 1976. Diciotto attentati in una notte (colpiti anche i ripetitori televisivi di Bastia). Dopo i fatti di Aleria dell'anno precedente, nasceva ufficialmente il FLNC. Condannato a 15 anni di reclusione nel 1978, venne poi amnistiato nel 1981 con l'arrivo dei socialisti al governo in Francia. Per molti anni fu direttore del settimanale nazionalista U Ribombu (dal rumore dei colombi che si alzano in volo, eco di libertà, in una poesia corsa) e consigliere municipale a Morsiglia (Haute-Corse). Nel 2001, come esponente del PNC (Partito della Nazione Corsa), aveva assunto una posizione critica  nei confronti di alcune azioni dei gruppi clandestini in quanto “potevano fornire un potere non controllabile”.

La sua scomparsa è giunta a pochi giorni dalla conferenza stampa di una nuova formazione che si richiama al FLNC delle origini. Pochi giornalisti convocati senza clamore e trasportati nella notte tra il 9 e il 10 luglio in qualche punto della macchia. Con gli occhi bendati e senza cellulare. Ad accoglierli una ventina di militanti vestiti di nero e con il volto coperto da passamontagna. Un portavoce ha poi spiegato che la nuova formazione “non deriva da una scissione, ma da una lunga riflessione”. Senza aver “mai lasciato il FLNC”. Negli ultimi anni nel movimento di liberazione vi sono state varie scissioni, seguite dalla nascita di nuove sigle. Dalla rottura con il FLNC originario, agli inizi degli anni novanta erano nati sia il FLNC-Canal historique che il FNLC-Canal habituel. Successivamente era stata la volta del FLNC-du-5Mai, del FLNC-UC (Unione dei combattenti) e poi del FLNC-du-22-Octobre.

Nel documento del nuovo FLNC si sottolinea di voler “privilegiare l'analisi politica” invitando tutti i militanti  a “ridefinire il ruolo del FLNC nel movimento nazionale” senza comunque rimetterne in causa la legittimità storica. Secondo la nuova formazione “la vocazione del FLNC non è quella di essere una direzione politica o un'avanguardia del movimento pubblico o del popolo in generale”.

Da mesi in Corsica si assiste al confronto tra le due principali correnti indipendentiste interne a  Corsica Libera di cui è portavoce un esponente storico dell'indipendentismo, Jean-Guy Talamoni. La sua militanza ha coinciso con l'evoluzione dell'ex Cuncolta e con le succesive denominazioni assunte dall'organizzazione legale (Indipendenza, Corsica Nazione e Corsica Libera). Un percorso travagliato, dalla massima espansione degli anni ottanta alla guerra fratricida (1995- 2001, con qualche strascico più recente) che è costata la vita a una quindicina di militanti. La componente minoritaria, proveniente da Rinovu, sembrerebbe estromessa dalla direzione. La contrapposizione si riproduce nel movimento clandestino. Sia nel FLNC-UC (responsabile, in maggio, di una “nuit bleu” e che farebbe riferimento alla corrente di Talamoni) che nel FLNC 22 ottobre, su posizioni più vicine a Rinovu di Paul-Felix Benedetti.

Immancabilmente, il 4 e 5 agosto 2012 si sono svolte a Corte le Ghjurnate internaziunale. Novità di quest'ultima edizione, l'invito a partecipare rivolto a tutti i partiti insulari, di destra, centro e sinistra. Dalla tribuna messa a disposizione dai nazionalisti hanno preso la parole Laurent Marcangeli dell'UMP, Pierre Chaubon del PRG (Parti radical de gauche), Jean-Sebastien de Casalta, presidente del comitato di sostegno a Francosi Hollande (PS) e altri esponenti del mondo politico insulare. A tirare le conclusioni dell'incontro, come da quindici anni a questa parte, Jean-Guy Talamoni. In un comunicato di Corsica Libera si leggeva che “non è il momento dello scontro, ma della ricerca di soluzioni condivise per salvare la Corsica”. Per Talamoni “abbiamo perso dieci anni e non possiamo lasciarne passare altri dieci senza reagire perché, così come stanno andando le cose,  per allora non ci sarà più la Corsica”. Secondo i leader nazionalisti “la lingua corsa sarebbe in via di estinzione e presto i Corsi non saranno più in grado di acquistare terreni e ancor meno le case in un'isola che sarà stata venduta ai migliori offerenti”. Tra questi, i ricchi italiani che continuano a far aumentare i prezzi delle proprietà con la speculazione edilizia e i continentali in cerca di una seconda casa per le vacanze. Fermo restando il sostegno ai militanti clandestini (e in particolare, si presume, a quelli del FLNC-Unione dei combattenti) tre richieste rimangono indiscutibili per una soluzione politica. L'ufficializzazione della lingua corsa, l'interruzione dell'aumento dei prezzi delle proprietà e la questione dei prigionieri politici.

Gianni Sartori

 

 

OMAGGIO ALLA CATALUNYA

La Catalunya acquistò visibilità al di fuori della penisola iberica anche grazie all'affresco reso da George Orwell in Homage to Catalonia sui combattimenti del maggio 1937 tra miliziani del Psuc (Partit Socialista Unificat de Catalunya, stalinisti) e della Cnt-Fai (Confederaciòn Nacional de Trabajo-Federaciòn Anarquista Iberica, anarchici) a cui si era associato il Poum (Partit Obrer d'Unificaciò Marxista, comunisti antistalinisti; spesso erroneamente classificati come trotskisti) in cui militava Orwell. Teatro dello scontro fratricida, interno al campo repubblicano anti-franchista, la Rosa de Foc, Barcellona.

Il Principat de Catalunya è soltanto una parte di quello che gli indipendentisti considerano territori nacional català. Oltre alla Catalunya propriamente detta, i futuri Paisos Catalans indipendenti sarebbero formati da Pais Valencià, Illes Balears, Principat d'Andorra e una zona amministrativa inclusa nella Regione francese di Languedoc—Roussillon. Diffuso anche ad Alghero e nella Franja, una zona a ridosso dei confini amministrativi tra la Catalogna e l'Aragona, il català è parlato quotidianamente da almeno una decina di milioni di persone.

Per Patrizio Rigobon, docente di lingua e cultura catalana presso Ca' Foscari di Venezia “ è una lingua di tutto rispetto che può vantare una demografia più significativa di quella di molti idiomi statali parlati nell'area dell'Unione Europea”. Mediamente ogni anno vengono pubblicati oltre 7mila titoli in catalano ed è interessante, aggiunge Rigobon “ vedere come il trattamento giuridico sia stato uno dei momenti in cui le autorità catalane hanno esercitato pressioni attraverso tutti i canali disponibili al fine di veder riconosciuta una presenza all'interno dell'Unione. Compreso il diritto  per ciascun individuo appartenente alla Comunità autonoma catalana di rivolgersi alle istituzioni comunitarie in questa lingua e ricevere da esse una risposta nella medesima”. Oltre alla possibilità, previo avviso “per i rappresentanti in Consiglio, in Parlamento e nel Comitato delle Regioni europeo di esprimersi in catalano nei loro interventi nei vari organismi”. Con lo Statuto di autonomia entrato in vigore nel 2006, dove il catalano veniva definito “lingua propria della Catalogna”, la Generalitat de Catalunya (l'istituzione dell'autogoverno) “è titolare della competenza esclusiva in materia di politica linguistica relativa al catalano”. Meno conosciuto di quello basco, l'indipendentismo catalano ha vissuto una storia altrettanto tormentata, tra persecuzioni e divisioni. Accanto alle organizzazioni storiche (Estat català, risalente al 1922 e di ispirazione irlandese, Esquerra Republicana de Catalunya fondata nel 1931 e la coalizione di centro-destra Convergència i Uniò che ha governato alla Generalitat dal 1980 al 2003 per tornare al potere nel 2010) l'ambiente catalanista, soprattutto nel corso degli anni ottanta, ha prodotto una miriade di formazioni minori. Generalmente di sinistra, almeno in passato. Tra queste il Moviment de defensa de la Terra, il Moviment d'Esquerra nacionalista e un gruppo armato, Terra Lliure. Ma anche associazioni per la difesa della cultura e della lingua catalane come il Centro internacional Abat Escarrè (nato tra le mura del monastero di Montserrat e diretto da Aureli Argemì) e la Crida a la solidaritat.

Una dimostrazione di forza dell'indipendentismo catalano è stata data a Barcellona con l'ultima Diada (giornata nazionale) dell'11 settembre 2012. Un milione e mezzo di persone ha ricordato la caduta, dopo 13 mesi di assedio, della capitale catalana in mano all'esercito franco-castigliano di Filippo V (11 settembre 1714 ). Dopo aver sfilato tra il Passeig de Gracia e il Parlament, la manifestazione si è conclusa al Fossar de les Moreres dove vennero tumulate in una fossa comune le donne cadute in combattimento contro gli invasori. Proibita durante il franchismo, la cerimonia talvolta si svolgeva clandestinamente sulle pendici dei Pirenei, sotto ad un altro simbolo dei PP.CC, il Pi de les Tres Branques. Superando le tradizionali divisioni, partiti e movimenti hanno risposto unitariamente all'appello dell'Assemblea Nazionale Catalana (ANC), un collettivo di associazioni che ha voluto manifestare “di fronte alla Spagna, all'Europa e al mondo”. Ulteriore prova che l'opinione pubblica catalana non ha digerito le censure del Tribunale Costituzionale spagnolo nei confronti di numerosi articoli del nuovo Statut di autonomia, nel 2010.

Nel giugno 2012, per la prima volta nella storia dei sondaggi, una maggioranza assoluta di Catalani, il 51%, ha dichiarato che avrebbe votato “si” ad un referendum sull'indipendenza. Ben 8 punti in più rispetto all'anno scorso. Sicuramente le intenzioni di voto favorevoli all'indipendenza sono alimentate dalla crisi economica e vanno in parallelo con l'idea che la Catalogna potrebbe uscirne prima e meglio da sola, senza la Spagna. Forse in contraddizione con una storia di lotte per l'indipendenza basate sull'autodeterminazione dei popoli, la giustizia sociale e la solidarietà internazionale, la maggior parte dei nuovi adepti dell'indipendentismo appare poco disposta a  tollerare che una parte importante delle entrate dei PP.CC. serva a rimettere finanziariamente in sesto le regioni meno favorite. Per la coalizione al potere (CiU) questo “deficit fiscale” corrisponderebbe a 16 miliardi di euro annuali (l'8% del PIL regionale). Con una disoccupazione che colpisce il 22% della popolazione attiva e sottoposta a politiche di austerità molto dure (in quanto regione più indebitata della Spagna), la Catalogna si è vista costretta a richiedere l'aiuto di Madrid. Il presidente della regione, Artur Mas, ha saputo utilizzare l'indiscutibile successo della manifestazione come un punto di forza nei negoziati con il capo del governo spagnolo, Mariano Rajoy. La posta in gioco?  Un “patto per l'autonomia finanziaria e fiscale” della regione. Oppure elezioni anticipate evocando lo spettro della secessione.