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L'Europa massacra la Birmania, nuova mucca da mungere tra Cina e India

di Fabio Polese - 29/05/2013

Fonte: piazzolanotizia

SILENZIO SUL REGIME. IL POPOLO KAREN COMBATTE GLI AFFARI OCCIDENTALI

L'EUROPA MASSACRA
LA BIRMANIA, NUOVA
VACCA DA MUNGERE
TRA INDIA E CINA

di Fabio Polese - Il popolo Karen è uno di quei popoli che se hai la fortuna di conoscere, segnano in maniera indelebile il tuo percorso di vita. Lo fanno senza saperlo. Perché il loro modo di vivere così strettamente legato alla natura e alle proprie tradizioni, è per i Karen una cosa ordinaria. Così come lottare per il mantenimento della terra dei propri Avi. Certamente non lo è per noi, uomini «moderni» che ci autoproclamiamo l’avanguardia di questa società solo perché siamo quotidianamente dediti al consumismo sfrenato. Una società dell’inutile in cui ci riconosciamo e ne andiamo fieri. Tanto da parlare di «esportazione della democrazia» in ogni angolo del mondo che abbia degli interessi economici e strategici da poter sfruttare.



Per capire la situazione attuale di questo popolo, bisogna fare un passo indietro. Da più di 2700 anni i Karen vivono nei territori montuosi della Birmania Orientale, al confine con la Thailandia, e da oltre sessanta anni combattono contro la giunta militare prima e il governo del nuovo presidente Thein Sein ora, per ottenere quello che gli era stato promesso alla fine del secondo conflitto mondiale: una forma di autonomia e il rispetto della propria identità e delle proprie tradizioni.



Questa guerra negli anni ha portato morti e feriti. Distruzione, stupri e violenza. I militari della giunta birmana assaltavano e davano fuoco ai villaggi civili Karen, stupravano le donne e usavano i bambini per la localizzazione delle mine antiuomo. Forse avrete sentito parlare dei Karen vedendo il film hollywoodiano «John Rambo», uscito nelle sale italiane nel febbraio del 2008, diretto e interpretato da Sylvester Stallone. Ma qua non stiamo parlando di finzione ed effetti speciali. Stiamo parlando di una realtà che i Karen conoscono fin troppo bene.

Nel 2007, la Comunità Solidarista Popoli, una Onlus italiana che aiuta i Karen dal 2001, ha organizzato una visita ufficiale in Europa - al Parlamento Europeo a Strasburgo e poi al Senato della Repubblica a Roma – a Nerdah Mya, il colonnello dell’Esercito di liberazione Karen (Knla), per sensibilizzare l’attenzione dei paesi della Comunità europea nei confronti della condizione dei Karen. Nerdah Mya, figlio del generale Bo Mya, leggendario leader della lotta armata contro il regime birmano, è uomo della giungla che, al contrario di quello che potrebbero pensare gli uomini «moderni», conosce molto bene la situazione internazionale. «Non vogliamo essere i burattini di potenze straniere, non vogliamo una democrazia importata: noi la democrazia l’abbiamo già. Bisogna fermare il regime. L’Europa, la comunità internazionale, devono intervenire per bloccare i finanziamenti, gli investimenti che vengono dall’estero, ma che da noi hanno solo l’odore del sangue. C’è bisogno di un cambiamento rapido».



Questo cambiamento, a distanza di qualche anno, è arrivato. Ma è un cambiamento radicalmente opposto a quello che si auspicava Nerdah Mya e gran parte del suo popolo. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea, hanno gradualmente allentato le sanzioni economiche e commerciali alla Birmania e hanno così aperto le porte al commercio con la nazione che molti indicano come la possibile nuova «tigre asiatica». Magicamente, dunque, da un giorno all’altro, il Paese del sud-est asiatico che veniva considerato uno stato canaglia, è tornato tra i «buoni» del mondo occidentale. Tutto questo viene amplificato dalle presunte riforme democratiche birmane che i media nostrani amano narrare. Non è difficile capire il perché.

La Birmania, che fino ad oggi ha intrattenuto rapporti quasi esclusivi con la Cina – basti pensare che dal 2005 al 2011 gli investimenti cinesi in Birmania sono arrivati a 32 miliardi di dollari – è infatti un Paese che offre molte risorse naturali: petrolio, gas e legname in primis, ma non solo. Incastrata tra le potenze dell’India e della Cina, ha un potenziale di mercato altissimo e una manodopera giovanile a bassissimo costo.

Oggi i Karen hanno un nuovo nemico, sicuramente molto più potente dei militari birmani che sono riusciti a combattere fino ad ora anche se poco armati: il mondialismo. Una parte dei Karen, sarebbe un errore negarlo, è caduto in questo gioco. Ma chi pensava che tutti i Karen si sarebbero arresi davanti al facile guadagno si è sbagliato. Quelli che non si sono scordati dei propri morti e delle proprie sofferenze, imbracciano ancora le armi per difendere la propria terra. Così succede che a nord dello Stato Karen, dove dovrebbe essere costruita la diga Hat Gyi, sul fiume Salween, i guerriglieri della Knla oppongono una forte resistenza. Non vogliono lo stupro incontrollato dei loro territori. Vogliono dare un futuro alla propria gente. Vogliono continuare ad essere un popolo e non un fotocopia sbiadita. E noi, uomini «moderni» che di fotocopie sbiadite ci intendiamo, dovremmo almeno riflettere sui valori, ancestrali, di questi uomini della giungla.
(foto fabiopolese, tutti i diritti riservati)




Fabio Polese è un giornalista free-lance, collabora con agenzie di stampa, testate giornalistiche e quotidiani.
Ha recentemente scritto, insieme a Federico Cenci, il libro-inchiesta “Le voci del silenzio. Storie di italiani detenuti all’estero” per Eclettica Edizioni.
Ha collaborato al libro che è uscito per Arkadia Editore: “Lebanon. Reportage nel cuore della Resistenza libanese”.
E' autore della mostra fotografica “Kawthoolei: scatti in zone di guerra nella Birmania Orientale”, un reportage fotografico sul popolo Karen che è stato allestito in diversi comuni italiani.