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L’Occidente allo sbando, l’Occidente ha paura

di Fabrizio Fiorini - 12/09/2013

  
 
Il diritto, interno o internazionale, scritto o consuetudinario, derivante che sia da leggi o trattati, ha nella sua stessa natura la possibilità di essere mutato, abrogato, riformulato, dimenticato, addirittura violato. Se non si fossero cancellate norme, soppresse costituzioni, denunciati trattati, se non vi fossero mai stati questi sovrani atti squisitamente politici, la società umana sarebbe rimasta innaturalmente ferma, immobile, prima di quel dinamismo sociale che la sua essenza storica ha materializzato sotto forma di stravolgimenti sociali, passaggi epocali, rivoluzioni.
Oggi, nell’Occidente dell’ipocrisia e del “dirittumanismo” non è più così. Il diritto resta, immutabile, cristallizzato, divinizzato. Protetto da vecchie cariatidi degli ordinamenti tardo-novecenteschi, da un insopportabile moralismo gauchiste, dalla supponenza indotta di aver finalmente conseguito il migliore dei mondi realizzabili, l’eden della politica e delle relazioni internazionali.
Ma il mondo non aspetta il diritto: in meglio o in peggio che sia, cambia. Non solo: la forza del diritto, nei tempi correnti, si indebolisce, contestualmente al tracollo dell’autorità e della forza delle fucine in cui questo era forgiato, gli Stati,  a vantaggio di poteri più forti ma sovranazionali, a-statali, apolidi. E allora il diritto, legato a schemi oramai preesistenti, viene semplicemente ignorato, relegato all’oblio.
Gli Stati Uniti, lo stato sionista, la Nato, l’Occidente in genere, in ispecie nel campo dei rapporti internazionali, dettano la linea di questa nuova a-giuridica. Sintetizzare in queste poche righe le violazioni del diritto internazionale da loro commesse nel corso degli ultimi decenni è non solo tecnicamente impossibile ma – considerando la “naturalezza” del loro spregio di norme che ad altri impongono con la forza – sarebbe quantomeno grottesco.
Serva, quale unico esempio, quello della guerra alla Jugoslavia del 1999 in cui la Nato trascurò di rispettare non solo una mezza dozzina di principi sanciti dal diritto internazionale ma addirittura ignorò il suo stesso statuto che all’articolo 5 prevede l’utilizzo della forza militare in caso di attacco a una delle nazioni componenti l’Alleanza; eventualità che, chiaramente, era estranea agli eventi balcanici del 1999.
Appurato che per l’Occidente, e segnatamente per gli Usa, per i sionisti, per la Nato, per la Gran Bretagna (e per la rediviva Francia) non rientra nei bisogni primari il rispetto delle disposizioni di legge (figurarsi della volontà popolare) per la messa in atto di imprese belliche e di operazioni armate in qualunque modo camuffate, risulta altamente indicativa l’inversione di rotta di questi mesi, contestualmente alla crisi siriana.
La Gran Bretagna ha abbandonato l’opzione militare in conseguenza di un voto parlamentare ostile. Negli Stati Uniti, per settimane e fino a l’altro ieri, si è parlato di “decisione del Congresso”. Stessa cosa, pur in tono minore, a Parigi. In tutti gli altri Stati satellite del libero Occidente, dall’Italia a Saint Kitts e Nevis, il coro era unanime: aspettiamo l’Onu, sentiamo cosa dice l’Onu, mai senza l’Onu. Proprio quello stesso Onu che era considerato un inutile carrozzone, era vilipeso e deriso ogniqualvolta avesse preso, fino alla guerra all’Iraq del 2003, una pur timida posizione avversa alla fregola bellica USraeliana.
Cosa si cela dietro questo inaspettato “ritorno al diritto”? Un repentino rinsavimento? Una “primavera americana”? No: la paura. Quella paura tipica di che all’improvviso esce dal suo autoreferenziale stordimento e si rende conto di essere stato messo all’angolo. Barack Obama, solo poche settimane or sono, era ancora spavaldo affermando con convinzione: “in Siria faremo come in Kosovo”. Non pensava, il tapino (forse i suoi consiglieri dell’Aipac lo tenevano all’oscuro),  che dal 1999 il mondo è cambiato, e non poco.
La “forza della ragione”, rivelatasi nel corso dei decenni poco efficace per fronteggiare la pervasiva aggressività americana, ha finalmente lasciato il posto alle “ragioni della forza”. Alla sana forza, alla rinascita e al potenziamento di Stati (pensiamo all’Iran, alla Russia, alla stessa Siria ma non solo) capaci di mettere un argine alla nuova “dottrina Monroe” applicata su scala planetaria; che hanno dimostrato che non è la “dottrina della pace” a essere vincente, ma la decisa e forte contrapposizione, l’unica “musica” che entra nelle orecchie di Washington.  
Per la prima volta nella storia recente, gli Usa si fermano.  Non riescono a celare la loro frustrazione e il loro ridimensionamento neanche alla stampa più allineata, anche gli amici di vecchia data si fanno da parte. Addirittura il ministro Bonino tentenna, il che è tutto dire.
Mr. Obama se ne faccia una ragione: il declino dell’ “Impero” è cominciato. I popoli della terra potranno tirare un sospiro di sollievo, ma non si facciano troppe illusioni: la bestia ferita è capace di tutto.  E Tel Aviv, vedendo i suoi protettori indebolirsi, potrebbe fare di peggio.