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Europa, se ci sei batti un colpo

di Mario Bozzi Sentieri - 17/09/2013

 

Mentre, in Italia,  stiamo a discutere del fatidico spread in salita e dei rischi per l’ennesimo sforamento  del tetto europeo del 3% di deficit, a Ginevra,   Stati Uniti e Russia raggiungono, a tempo di record, l’intesa sulle armi chimiche siriane.

Vladimir Putin ha vinto, per ora, imponendo la posizione russa sulla scena internazionale. Barack Obam, per ora,  non ha perso la faccia. L’Europa  si  accontenta  di assistere alla stretta di mano tra  lo statunitense John Kerry ed il russo Sergej Lavrov, battendo le mani per l’accordo raggiunto. Un ruolo da spettatrice, niente di più, con il capo della diplomazia britannica, William Hague, che “saluta l’accordo Stati Uniti-Russia”, il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, il quale  prende atto, con soddisfazione, che “le chance per una soluzione politica aumentano”, l’italiana Emma Bonino che auspica …”un cessate il fuoco”.

Il senso dell’assenza e delle evidenti debolezze della diplomazia europea, si è visto plasticamente  all’ultimo vertice del G20, dove l’Europa è riuscita addirittura a dividersi in tre,  offrendo l’immagine della propria pochezza internazionale  e della propria  inconsistenza sul piano della politica estera.  Da un a parte la Francia, pronta all’intervento armato, dall’altra la Germania, decisamente contraria, in mezzo Gran Bretagna, Italia e Spagna, sostanzialmente “neutralisti”, seppure vicini agli Stati Uniti.

Sembra di vedere l’Italia preunitaria, con i suoi staterelli asserviti alle grandi potenze europee, e perciò ridotta a pura espressione geografica, inconsapevole del proprio ruolo, delle proprie potenzialità, perfino dei propri doveri rispetto al contesto geopolitico dell’epoca.

Un po’ come oggi, dove, soffocati, come siamo, in Italia e non solo, dalle contingenze socio-economiche e dalle cronache della politica nostrana, ci sfugge, sfugge alla grande opinione pubblica e anche alle classi dirigenti, l’importanza della politica estera, in ragione non solo degli interessi strettamente economici, quanto anche  dei mutati contesti internazionali e quindi del ruolo che rispetto ad essi l’Europa può giocare. A maggior ragione nel Mediterraneo, il mare “nostro”, il mare più europeo, per storia, civiltà, interessi reali.  

Mentre c’è ancora qualcuno appiattito sotto la visione del  vecchio atlantismo e dell’ombrello protettivo  statunitense, le recenti vicende siriane obbligano a prendere atto di un quadro in grande evoluzione, rispetto al quale estraniarsi vuole già dire uscirne sconfitti. E questo malgrado le missioni all’estero ed i sacrifici dei nostri soldati, dislocati in  alcune delle aree critiche dello scacchiere medio-orientale.

Non basta infatti qualche “presenza” per esprimere un ruolo strategico. Né  basta qualche risoluzione del Parlamento europeo, come  quella di condanna nei confronti del regime di Assad,  per “fare” una politica estera. Paradossalmente non bastano neppure le attuali missioni all’estero dei nostri militari e di quelle degli altri Paesi dell’Unione Europea  La forza militare da sola non serve infatti se dietro non c’è una politica estera, una politica estera, che, per essere veramente competitiva, deve essere quella europea. E la forza militare nazionale da sola rischia l’isolamento, se dietro non c’è la volontà europea di costruire una forza militare comune, necessario corollario di una politica estera europea.

In questo senso la Siria è un banco di prova, non solo per gli Stati Uniti e la Russia, che paiono volere riproporre sui nuovi scenari il vecchio duopolio, quanto soprattutto per l’ Europa, un’Europa che deve capire se continuare ad essere una mera espressione geografica, economicamente in affanno, o se vuole assumersi il peso di una responsabilità geopolitica che le compete. Di questo, anche di questo, bisognerebbe discutere e fare discutere, al di là di qualche spread, in salita o discesa, e di qualche parametro a rischio sforamento, usati come arma di ricatto politico interno.