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Decrescita sostenibilità e salute

di Maurizio Pallante - 16/11/2013

 

 

            Il primo sentimento che voglio esprimere è di gioia, perché questo momento che è stato costruito da un gruppo di lavoro interno al movimento della decrescita felice, è un momento molto importante. Io sono qui per imparare e mi limiterò a dare un piccolo inquadramento culturale generale dentro il quale si innesta questo contributo specifico relativo alla salute.

            La cosa principale da tenere in considerazione è che la decrescita parte in ambito economico, è una contestazione della finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci, ma travalica immediatamente in ambito filosofico, diventa una concezione del mondo, una concezione della vita. So che la parola crea delle perplessità in molte persone, una perplessità legata al fatto che dietro a questa parola che ha un prefisso privativo (de-) le persone vedono un concetto di riduzione, di diminuzione, di povertà, di ritorno indietro e così via, e non c’è niente di più sbagliato in questo.

Ma questa concezione non deriva dal fatto che c’è il prefisso privativo “de-” davanti alla parola crescita, deriva dal fatto che ormai da decine di anni noi siamo bersagliati e bombardati dall’idea che ogni crescita sia un fatto positivo, che ogni crescita abbia una connotazione qualitativa positiva.

            Noi vogliamo mettere in discussione quest’aspetto: ci sono delle crescite che sono fenomeni positivi di cui noi siamo contenti, se cresce il numero degli studenti universitari ci fa piacere, e ci sono delle crescite di fenomeni negativi e quelle vanno contrastate, se cresce una massa tumorale, se cresce la febbre, se cresce il debito pubblico, noi pensiamo che il miglioramento sia una diminuzione. Diventa importante questa parola, che è una specie di cazzotto nello stomaco, perché ci costringe a mettere in discussione questo abbinamento automatico dell’idea della parola crescita con un’idea positiva, di miglioramento. Questo non è. La decrescita non è una diminuzione neanche dal punto di vista economico. E’ una diminuzione della mercificazione ogni volta che questa mercificazione comporta un peggioramento e non un miglioramento della vita.

            Il 3% del nostro prodotto interno lordo è cibo che si butta. Se diminuisce il cibo che si butta, noi miglioriamo la nostra vita perché diminuiamo la quantità di rifiuti, la parte più difficile da gestire dei rifiuti che è la parte putrescibile. Il 70% dell’energia che consumiamo è spreco. Se diminuisce l’energia che si spreca, noi risparmiamo dei soldi e riduciamo l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. La decrescita è la diminuzione di quelle merci che non hanno nessuna utilità che comportano dei peggioramenti delle condizioni di vita. E’ l’introduzione di criteri di valutazione qualitativa del fare umano. La crescita del prodotto interno lordo indica semplicemente l’aumento della quantità delle merci che vengono comprate e vendute, perché il prodotto interno lordo è un indicatore monetario e quindi può prendere in considerazione non i beni che vengono prodotti e i servizi che vengono forniti, ma le merci che vengono scambiate. L’aumento delle merci che vengono scambiate, non è automaticamente un miglioramento della qualità della vita. Questa è la cosa importante. A partire da questa idea di smontare una identificazione automatica tra il concetto dell’aumento delle merci e il miglioramento del benessere, noi dobbiamo costruire un paradigma culturale alternativo. E’ questo il punto, è questo un tassello che stiamo portando avanti.

            Ci sfugge, e sfugge al sistema politico nel suo complesso, la percezione che siamo alla fine di un’epoca storica, che sta concludendosi in questi anni l’epoca storica cominciata duecentocinquanta anni fa con la rivoluzione industriale. Il meccanismo economico e produttivo non potrà più essere rimesso in moto come negli anni passati. Se si tenta di rilanciare la crescita sperando che comporti un aumento dell’occupazione – cosa che non ha mai fatto, perché se guardiamo i dati non ha mai portato un aumento dell’occupazione –  se si pensa di rilanciare la crescita, si aggraveranno soltanto le condizioni della crisi attuale che è una crisi non soltanto economica e produttiva, ma è una crisi ambientale, è una crisi energetica, è una crisi morale, è una crisi internazionale. E un’epoca storica che va chiudendosi in questa maniera, tentando di riproporre quello che non è più riproponibile, è destinata al crollo con una serie di lacerazioni, di problemi, di sofferenze enormi. Se vogliamo evitare questo crollo, visto che quest’epoca storica sta finendo, dobbiamo trovare una strada per venirne fuori.

La decrescita non è la meta a cui noi tendiamo, perché se volessimo una società della decrescita faremmo lo stesso errore, uguale e contrario, di quelli che vogliono la società della crescita. La decrescita è la strada da percorrere. Dobbiamo diminuire – per la salvezza dell’umanità – dobbiamo diminuire alcuni elementi. Dobbiamo diminuire il consumo di risorse rinnovabili. Noi consumiamo le risorse che la terra riproduce nel corso di un anno entro la metà del mese di agosto. Questo va ridotto. Perché non c’è futuro per un’umanità che consuma più risorse rinnovabili di quelle che la terra è in grado di rigenerare nel corso di un anno. Dobbiamo ridurre le emissioni delle sostanze metabolizzabili dalla terra, e penso soprattutto all’anidride carbonica. L’anidride carbonica non è un inquinante. Se non ci fosse l’anidride carbonica non ci sarebbe la fotosintesi clorofilliana, non ci sarebbe la vita sulla terra. Ma c’è stato, nel corso delle epoche storiche, delle ere geologiche, un equilibrio meraviglioso tra la quantità di anidride carbonica emessa dalla respirazione dei viventi e la quantità di anidride carbonica assorbita dalla fotosintesi clorofilliana. Questo non c’è più. Noi immettiamo quantità di anidride carbonica superiori a quelle che possono essere metabolizzate dalla fotosintesi clorofilliana. Va diminuita l’emissione di sostanze metabolizzabili. Va abolita la produzione di sostanze non metabolizzabili dai cicli biochimici: tutti i veleni di sintesi chimica, tutti i rifiuti non biodegradabili. Noi ci siamo spaventati per i rifiuti di Napoli… ma pensiamo che nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Pacifico galleggiano masse di rifiuti di plastica grandi come gli Stati Uniti. Non dobbiamo più produrre sostanze che non sono metabolizzabili dai cicli biologici. E l’ultima questione: dobbiamo ridurre drasticamente il consumo delle risorse non rinnovabili perché siamo arrivati all’esaurimento di molte risorse non rinnovabili, in particolare abbiamo dei grossi problemi per quanto riguarda le fonti fossili. Tutto questo per dire che noi dobbiamo liberare l’economia dall’idea che sia un fatto che non ha nessuna relazione con la terra. Gli economisti parlano dell’economia come se fosse una cosa che riguarda la domanda, l’offerta, la moneta, le tasse, il tasso d’interesse e così via. Ogni volta che facciamo qualcosa, noi interferiamo con la terra. Si è persa questa consapevolezza: prendiamo delle risorse, trasformiamo queste risorse, emettiamo delle sostanze mentre le trasformiamo, emettiamo delle sostanze mentre le utilizziamo; dobbiamo avere questa consapevolezza.

            Noi diciamo che non c’è nessun futuro, neanche dal punto di vista economico, se non nello sviluppo delle tecnologie più avanzate e migliori che ci consentono di ottenere il benessere riducendo progressivamente il consumo di  risorse, cioè aumentando l’efficienza tecnologica con cui  le utilizziamo. Abbiamo delle case che consumano, dal punto di vista energetico, il triplo delle peggiori case tedesche, dieci volte tanto quello delle migliori case tedesche dove fa molto più freddo. Noi dobbiamo mantenere il benessere termico delle case consumando molto di meno e sviluppando le tecnologie che ci consentono di ridurre questi sprechi. Questa è la decrescita: è una riduzione selettiva e guidata della produzione di merci che non sono beni, che non hanno nessuna utilità. Quante volte sento dire da polemisti che non leggono le cose che scriviamo… (guardate che non è obbligatorio leggere le cose che scriviamo, non le leggano, a me non interessa, ma se ci criticano, devono leggerle, perché non possono criticare le cose che non conoscono). E ci dicono che noi siamo in fase di decrescita… Non è vero – dico – andate a studiare nei vostri libri, vedrete che nei vostri libri c’è scritto che  siamo in recessione, non in decrescita. Dicono: ma non è la stessa cosa? La recessione è la diminuzione del PIL, la decrescita si propone la riduzione del PIL. Noi diciamo: guardate che sono due cose completamente diverse perché la recessione è la diminuzione generalizzata e incontrollata di tutta la produzione di merci e la conseguenza più grave è la disoccupazione; la decrescita è la diminuzione selettiva e guidata della produzione di merci che non sono beni e la conseguenza principale è un’occupazione di qualità. Se si ponesse l’obiettivo di ridurre il consumo energetico delle nostre case, si creerebbe moltissima occupazione, un’occupazione di qualità, una occupazione che si paga con i risparmi che consente di ottenere e si avrebbe una riduzione selettiva del prodotto interno lordo, una decrescita del prodotto interno lordo. Tra la decrescita e la recessione c’è la stessa analogia che c’è fra due persone che non mangiano e che soltanto dei superficiali possono dire che fanno la stessa cosa; se fossero meno superficiali e chiedessero a queste persone perché non hanno mangiato, magari scoprirebbero che una delle due non mangia perché non ha da mangiare e l’altra non mangia perché ha deciso di fare una dieta. Non mi sembra che facciano la stessa cosa. La recessione è come colui che non mangia perché non ha da mangiare. Una società finalizzata alla crescita che non cresce, non raggiunge i suoi obiettivi. La decrescita è come colui che non mangia perché ha deciso di fare una dieta per stare meglio, fa una scelta.

            Dobbiamo evitare di continuare a sprecare delle risorse che non hanno nessuna utilità. E’ una concezione del mondo, è una concezione della vita. Stiamo rimettendo in discussione il paradigma culturale che è stato sviluppato dalla società industriale da duecentocinquanta anni a questa parte. Non ci possiamo limitare, in questo momento storico, a criticare un paradigma culturale. Dobbiamo costruire un altro paradigma culturale, perché lì avviene il momento del passaggio, il passaggio in cui le persone cominciano a rendersi conto che un certo modo di vivere distrugge le loro condizioni di vita, distrugge la loro salute, e che bisogna costruire un nuovo modello di vita, un nuovo sistema di valori, un nuovo modo di lavorare, di produrre, un nuovo modo di consumare che sia migliore. Perché soltanto se comincia a crescere nelle persone questa convinzione, poi si ha quella spinta per cui delle idee che per ora sono ancora limitate ad alcuni che le hanno elaborate e le praticano, diventino idee di massa. E se diventano idee di massa, se diventa desiderio di massa, a quel punto diventa un fatto politico significativo e importante. Mi sembra che il nostro movimento, nella modestia delle nostre forze… Guardate che noi siamo un’associazione nazionale che ha un bilancio di cinque/seimila euro l’anno, e siamo in attivo! Questo vuol dire che è tutto lavoro volontario, vuol dire che le persone che vengono qua, sono persone che sono motivate eticamente a raggiungere determinati obiettivi. E la cosa bella è che queste persone hanno tutte una competenza professionale, sanno fare tecnicamente delle cose e mettono la loro competenza professionale al servizio di una grande idea.

            “Decrescita e salute” è un tassello del paradigma culturale che vogliamo costruire. Abbiamo già fatto un incontro nazionale su decrescita e agricoltura, ne faremo su decrescita e insediamenti umani, ne faremo su decrescita e tecnologie. Oggi abbiamo decrescita e salute. Se vogliamo costruire un paradigma culturale alternativo rispetto a quello dominante in questo momento, dobbiamo radunare le intelligenze e le competenze di un numero di persone molto più ampio di quello che noi abbiamo fino adesso radunato. E sono molto contento che gli organizzatori del gruppo di lavoro “decrescita e salute” del nostro movimento abbiano chiesto di partecipare come relatori a tutta una serie di associazioni di medici e non sia stata un’iniziativa nostra. Noi non vogliamo che sia un’iniziativa nostra. Noi vogliamo diventare i promotori di creazione di legami. Perché soltanto se si creeranno legami tra tutte le persone che a partire da una storia diversa convergono verso lo stesso obiettivo, saremo in grado di dare contributi significativi alla costruzione del paradigma culturale alternativo a quello in cui stiamo vivendo. E il nostro obiettivo, il nostro movimento della decrescita, sarà un segmento, un pezzo di strada verso un mondo diverso.