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Chiedi chi erano i Chlysty. Del messianismo russo e di quello americano.

di Gian Maria Bavestrello - 16/11/2013

Fonte: heimat

Dostoevskij“Siberia è un concetto d’una gravità fatale quasi inconcepibile,che nella sua potenza schiacciante si presenta a noi più attuale che mai”. Theodor Kroger.

In un articolo di qualche tempo fa suggerii l’idea che l’Anti-Cristo è anche l’Ante-Cristo, colui che compromettendo improvvisamente l’originaria co-appartenenza di Bene e Male, crea le condizioni per l’avvento salvifico del Cristo, il Messia che ripristina quest’unità su un piano superiore nel quadro della Storia.

Quest’idea mi ha riportato alla memoria una lettura giovanile, una biografia di Rasputin, il monaco taumaturgo approdato alla corte dello Zar Nicola II Romanov. E’ quasi certo che Rasputin aderì in gioventù ai Chlysty, una setta eretica debitrice di antiche credenze sciamaniche e pagane, che scorgeva nell’abbandono al peccato, e in particolare ai piaceri sessuali, la condizione necessaria per suscitare l’azione dello Spirito Santo. Solo attraverso il Male, secondo questa dottrina, possiamo permettere al Bene di operare. Solo peccando possiamo chiedere e ricevere perdono, ossia evocare l’essenza della divinità. Che questa setta compaia in Siberia, centinaia di anni fa, non dev’essere considerato un caso. E che un uomo come Rasputin, che in sé concentra all’ennesima potenza tutti i caratteri tipici del russo, ne sia rimasto affascinato, nemmeno.

 

Il peccato nella cultura russa. Nell’idea del peccato come pre-condizione del bene agisce infatti una visione tipicamente russa da cui discende la storia e l’attualità di questa nazione. Agisce l’idea, apparentemente pessimista, di una natura umana irrimediabilmente peccatrice. … Ciascuno di noi è colpevole di tutto e per tutti sulla Terra, questo è indubbio, non solo a causa della colpa comune originaria, ma ciascuno individualmente per tutti gli uomini e per ogni uomo sulla Terra”. Queste parole, tratte dal vertice della letteratura russa, I Fratelli Karamazov di Fedor Dostoevskij, preludono a quelle, indicative, di Dmitrij: “Io sono un Karamazov! Perché, se precipito in un abisso, è a capofitto, con la testa in giù e i piedi in su, e sono anzi contento di esservi caduto in maniera così degradante: lo considero bello! E quando sono al fondo della vergogna innalzo un inno. [...] Che segua pure il diavolo purché rimanga tuo figlio, Signore, io ti amo e conosco la gioia senza la quale il mondo non potrebbe esistere”.

 

Messianismo e paternalismo. L’anima russa è intrisa di messianismo, ma al contrario di quella americana agisce in essa un radicale scetticismo verso la capacità di un semplice sistema politico ed economico – ieri il socialismo oggi la democrazia occidentale e il capitalismo – di poter assolvere a questo compito. Il russo chiede al Potere di interpretare un ruolo terrigno, di amministrare pragmaticamente questa natura peccaminosa in attesa del Giudizio e di farsene “buon pastore”. Assegna al Potere quella funzione paternalistica ieri affidata agli zar e oggi a un Presidente eletto che non cede all’ utopia della “pax democratica”, e che non rinuncia – a costo di scandalizzare l’America e l’Europa – ad esercitare le proprie prerogative di Padre, anche con quell’asprezza tipica del russo e della terra russa.

Siberia, anima russa. Se mi è consentita una sineddoche geografica, l’anima russa viene fotografata meravigliosamente nella Siberia (ancora la Siberia!) descritta dallo scrittore tedesco Theodor Kroger: “Non v’è paese che conosca alture più vaste o più profonde di abissi dell’anima umana. L’eternità della sapienza incomprensibile vi toglie ogni limite anche alla natura, che senza freno dona e uccide, sia alla magica luce delle ardenti “notti bianche”, sia nella perduta oscurità di furiose tormente di neve”. Questo orizzonte vasto, profondo e abissale quanto l’indifferenza schiacciante della natura è lo scenario in cui, in Russia, il Padre, il Potere, è chiamato a manifestarsi e a decriptare una “sapienza incomprensibile”, muovendosi tra magiche luci e perdute oscurità.

Messianismi a confronto. Se dietro i modi affinati e liberal americani cova la ricerca di una “pax democratica” a immagine e somiglianza degli interessi statunitensi, dietro la geo-politica russa agisce un’altra visione, multi-polare, espressione di una peculiare mistica politica. Se nell’idea americana soffia la presunzione del pre-destinato di poter incarnare il volere della divinità in virtù della grazia, e di poter agire in nome del Bene, nell’idea russa – denudata dal manto ideologico sovietico – agisce la tragica consapevolezza della condizione umana e della sua natura essenzialmente peccatrice. Agisce la consapevolezza della distanza che separa la Terra dal Cielo e dell’inestricabile rapporto tra la travolgente intensità della vita e la nostra capacità di conferirle un senso. Agisce, soprattutto, l’impossibilità di trovare redenzione nell’umano incedere.

Il pensiero rammemorante. L’idea di pace russa è concreta e mistica, terrena e celeste allo stesso tempo: l’uomo russo si muove sul campo della politica e della sua umana imperfezione che ne giustifica un algido pragmatismo, ma sapendosi proveniente anch’egli dal Peccato non coltiva vacue speranze su babeliche architetture istituzionali né le elegge a sua destinazione: “Figli miei, rifuggite dall’avvilimento! Vi è un unico mezzo per salvarsi: assumere su di sé tutti i peccati umani e rendersene responsabili”. Ecco il pensiero rammemorante della Russia, affidato da Dostoevskij allo Starets Zosima: chiamare a sé le genti non per donar loro la redenzione, e men che meno la democrazia o qualsivoglia altro parto storico, ma per condividere la responsabilità del Male nel mondo e, in questo comune riconoscimento, sull’orlo dell’abisso, accogliere la Salvezza.

I termini di una scelta. La crisi siriana, alba di una nuova stagione geo-politica, ha restituito attualità a uno scontro: non più tra due blocchi ideologici, entrambi rivolti a plasmare prometeicamente i destini della storia umana, ma tra due visioni geo-filosofiche e meta-politiche, di ispirazione messianica, tra le quali l’Europa, prima o poi, dovrà nuovamente scegliere. La posta in gioco, nell’era delle bio-tecnologie e delle armi di distruzione di massa – nell’era in cui soprattutto si affaccia sulla storia l’idea del post-umano – non è solo il destino della storia moderna, ormai giunta a conclusione. Questa volta, in palio, pare esserci il destino stesso dell’uomo.