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Gli apocrifi e i santuari di Maria in Terra Santa attestano l’antichità del culto mariano

di Francesco Lamendola - 09/12/2013

 

Il visitatore che, entrato nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, si perde in rapita contemplazione davanti ai meravigliosi affreschi di Giotto, forse non bada al fatto che le storie di Gioacchino ed Anna, lì raffigurate, non appartengono al patrimonio letterario tramandato dal Nuovo Testamento e, dunque, non fanno parte delle Sacre Scritture della religione cristiana.

Probabilmente, egli non si soffermerà a riflettere che l’identità dei genitori di Maria, futura sposa di Giuseppe e madre di Gesù Cristo, come pure le altre notizie che riguardano la loro vita, provengono proprio da quei Vangeli apocrifi che, secondo una certa sottocultura cospirazionista anticristiana (e specificamente anticattolica), conterrebbero chissà quali inconfessabili segreti, che la Chiesa, con proterva e inflessibile determinazione, si sforzerebbe da secoli e secoli, con qualunque mezzo, di tenere nascosti al pubblico o, quanto meno, di screditare.

Grazie alla massiccia operazione commerciale incentrata sul romanzo di Dan Brown «Il Codice Da Vinci», a partire dal 2003-2004 un vastissimo pubblico mondiale, evidentemente poco esigente in fatto di letteratura (il libro è scritto in uno stile semplicemente illeggibile e  le sue tesi sono risibili sul piano documentario) è stato investito da quel tormentone cospirazionista, fondato su una serie di acrobatiche congetture, su una disinvolta, ma grossolana ignoranza e, soprattutto, animato da una incredibile spregiudicatezza, presentando come certe o altamente probabili delle ipotesi campate per aria e dei luoghi comuni talmente logori che non meriterebbero neppure, in sede storico-critica, l’onore di una confutazione vera e propria.

Già da alcuni decenni, peraltro, alcuni studiosi, o sedicenti tali, di storia delle religioni, andavano ristampando, con commenti più o meno cervellotici e con una perizia filologica quanto meno dubbia, i Vangeli apocrifi e altri testi ebraici non canonici (come il «Libro di Enoch», gettonatissimo perché offre il destro per tirare in ballo gli angeli-astronauti o gli angeli-extraterrestri, secondo la “linea” inaugurata da Erich Von Däniken), spacciandoli senz’altro come Vangeli gnostici – qualifica che spetta solo a una parte di essi – e insinuando, o vaneggiando, che in essi sarebbero contenute quelle verità, sulla vita di Cristo e sulla reale natura del suo insegnamento, che una Chiesa autoritaria e maschilista avrebbe poi cercato di insabbiare, e che starebbe tuttora facendo di tutto per tenere gelosamente nascoste, onde poter continuare imperterrita a sfruttare una religione che essa ha capovolto sin dalle sue lontane origini.

I saggi di Elaine Pagels sul ruolo svolto dai testi gnostici per la “vera” storia del Cristianesimo primitivo, ad esempio – saggi stampati e venduti a milioni di copie in tutto il mondo – riflettono le preoccupazioni, nemmeno tanto dissimulate, di una vulgata anticattolica che strizza volentieri l’occhiolino alla cultura femminista, persuasa che, fra gli altri crimini, la Chiesa cattolica abbia anche quello di aver “mascolinizzato” il Cristianesimo per puro spirito misogino, sulla scia di San Paolo, a dispetto del fatto che, nel messaggio del fondatore, vi sarebbero stati degli elementi di esplicita ispirazione “femminista”.

Al centro di queste elucubrazioni sta l’idea che il “vero” messaggio cristiano sia stato deliberatamente stravolto dai primi cristiani, o da una parte di essi; che Gesù avrebbe proclamato l’uguaglianza dei sessi e la pari dignità della donna, dando l’esempio mediante il proprio matrimonio con Maria Maddalena; che egli avrebbe avuto dei figli, e che quei figli sarebbero poi sbarcati in Europa, precisamente in Francia o in Gran Bretagna, dando origine a una “dinastia” di re-sacerdoti che sarebbe culminata nei Merovingi e che poi sarebbe stata spodestata per oscure manovre e lotte di potere, determinate anche dalla volontà di spegnere quel prestigioso “sang real”, che poi sarebbe, semplicemente, il fantomatico “sacro Graal”, così a lungo cercato dai cavalieri della Tavola Rotonda.

Il tutto con abbondante condimento di Templari esoteristi ed eretici, di equivoci Priorati di Sion, di cospicui tesori sepolti da qualche parte, di sapienze occulte e di verità nascoste e dimenticate, di messaggi salvifici essenziali per l’umanità i quali, però, attendono ancora qualche abile e coraggioso indagatore per essere riportate in luce, dissipando il velo di menzogne che la Chiesa cattolica, cupida di potere e di ricchezze, avrebbe sottratto ai suoi fedeli, tenendoli volutamente nella più abietta ignoranza per meglio manipolarli, sottometterli e sfruttarli. Ci sarebbe da ridere, se non fossero balordaggini che hanno seriamente attecchito nell’immaginario collettivo e che molti sprovveduti lettori credono veritiere, o, quanto meno, suppongono che debbano contenere almeno una buona parte di verità; altrimenti, come spiegare la persistenza di ambigue istituzioni, come l’Opus Dei, e i loro palesi sforzi per far sembrare di essere ciò che non sono?

Il culto di Maria Vergine è fra gli elementi del cattolicesimo che maggiormente insospettisce codesti cospirazionisti anticristiani, per i quali anche la figura della Madonna e il ruolo da essa svolto nella storia del Cristianesimo primitivo sarebbero tutti da riscrivere; e questo è un oggettivo fattore di convergenza fra essi ed alcuni ambienti protestanti che vedono (e deprecano) nella devozione mariana una delle forme più evidenti di “degenerazione” del cattolicesimo rispetto alle autentiche radici, storiche e teologiche, del messaggio di Cristo.

Abbiamo fatto l’esempio delle “storie di Gioacchino e Anna”, negli affreschi padovani di Giotto, per ricordare come una quantità sterminata di opere dell’arte cristiana si siano ispirate, da tempi immemorabili, ai Vangeli apocrifi e ad altri testi non compresi nel canone ufficiale delle Scritture, testi i quali erano ben conosciuti da moltissimi cristiani, anche a livello di devozione popolare, e che, nel loro insieme, non erano affatto ritenuti pericolosi per la Chiesa, e tanto meno eretici: semplicemente, non erano compresi nell’elenco delle opere “ispirate”, il che non li rendeva perciò meritevoli di sospetto, e men che meno di disprezzo.

Scrive padre Emmanuele Testa, dello Studium Biblicum Franciscanum  di Gerusalemme (in: A.A. V.V., «Santuari e memorie della Madonna in Terra Santa», supplemento 1988 dell’«Eco di Terra Santa, Milano, Centro Custodia di Terra Santa, pp. 12-15):

 

«Inizialmente gli Apocrifi non ebbero il senso di testo falsificato o contraffatto, ma solo qualcosa di nascosto, sottratto allo sguardo dei profani, conosciuto dai cultori di dottrine segrete venute dall’Oriente, spesso esoteriche di grane valore e stima, anche se non appartenenti alla letteratura ufficiale o canonica della Grande Chiesa. Ciononostante non c’è stato nessun documento ecclesiastico che li abbia condannati. Il Decreto Gelasiano: “De libris recipiendis et non recipiendis”, edito verso l’anno 500, ha piuttosto un carattere privato. Di fatto, la letteratura apocrifa solo raramente rispecchia dottrine ereticali, essendo per lo più sul binario della tradizione, tanto orale quanto scritta, conservata in movimenti esoterici, di matrice per lo più giudeo-cristiana ed encratita. Per questa ragione penetrò anche tra i fedeli della Grande Chiesa, soprattutto nella liturgia, nell’are e nella devozione. Nel II e III sec. ci fu una ricca fioritura di apocrifi mariani. Questi, dipendenti dal parentado di Gesù, cercano di dare una risposta a questioni taciute dai libri canonici, che riguardavano la preistoria di Maria, la sua educazione, il suo comportamento il Vangelo dell’Infanzia, appena toccato da Mt 1-2 e Lc 1-2; la sua condotta durante l’apostolato del figlio e specialmente durante la passione e la resurrezione; oil ruolo di Maria nella Chiesa nascente; la sua morte e assunzione al cielo e la sua efficace intercessione a favore delle anime in pena, che Lei visita dopo la sua glorificazione. Questi temi presentano una teologia mariana spesso attendibile, anche se espressa in modo popolare, essendo spesso in armonia con le comuni proposizioni della teologia ufficiale della Chiesa.

Questo tema è sviluppato dal “Protovangelo di Giacomo”, nato dalla parentela di Gesù, che ci tramanda una “Vita della Madonna”, dal suo concepimento miracoloso al suo matrimonio putativo con Giuseppe. Gioacchino ed Anna, ottenuta con il digiuno e la preghiera la Bimba-prodigio, si preoccupano, prima i casa e poi nel tempio, di farla vivere in un ambiente paradisiaco, di verginità integrale. Cooperano a questo scopo anche i sacerdoti, che accettarono la fanciulla nel collegio delle vergini ricamatrici, che sorgeva nell’area del tempio (Epifanio, F. Manns)., ove Maria fu nutrita anche da un cibo angelico. Sempre i sacerdoti del tempio si preoccuperanno della sua purità legale, appena la ragazza raggiungerà la pubertà e l’affideranno al vecchio davidico Giuseppe, in un matrimonio putativo e spirituale, che in seguito sarà comune tra gli encratiti e varie correnti mistiche, eredi di vecchi costumi ebraici (E. Testa-B. Bagatti).

Queste tradizioni orali e leggendarie, certamente gerosolimitane, hanno subito nell’occidente latino radicali rifacimenti che oggi noi leggiamo nel “Vangelo dello Pseudo-Matteo” (sec. VII-VIII), nel “Libro della Natività di Maria” (a. 846-49). Nel mondo arabo sono state conservate nel “Vangelo arabo” (sec. VI-VII) e nella “Storia di Giuseppe Falegname” (a. 600-650). Sempre il “Protovangelo di Giacomo” sdoppia la scena dell’Annunciazione, che sarebbe avvenuta in parte presso una fontana e parte nella casa. Maria avrebbe concepito la stessa Parola di Dio, che poi avrebbe partorito in un modo verginale, tra l’ammirazione del cosmo intero, che avrebbe sospeso il suo moto e il grido di fede delle levatrici, testimoni di tanto mistero. La nascita del Bambino sarebbe avvenuta in una grotta, durante una teofania per condensazione di luce, mentre il Padfe celeste lo proclamava suo figlio. Per questo anche l’”Ascensione di Isaia” lascia i betlemiti incerti sull’origine del Bimbo-prodigio e la “XIX Ode di Salomone” parla dell’incontro-connubio, avvenuto nel seno di Maria, tra lo Spirito e il Figlio e del parto indolore di quest’ultimo. Il “Vangelo di Bartolomeo” spiegherà tutti questi miracoli con le finalità salvifiche della concezione e nascita di Gesù: avrebbe dovuto salvare il mondo intero. Per questo il “Protovangelo di Giacomo”, già nel viaggio verso Betlemme, presenta Maria sorridente e piangente sui due popoli che dinanzi a suo figlio, posto come segno di contraddizione, seguono due vie opposte, di accettazione o di rifiuto. Per questo tutte le correnti ortodosse, non solo quelle della Grande Chiesa, rifiuteranno la lettura gnostica e adozionistica che presentava la concezione e la nascita di Gesù in modo naturale, come nel “Vangelo degli Ebioniti”, in quello “di Filippo” e nella “Pistis Sophia”. Soltanto negli scritti di tendenza encratita, come nel “Vangelo di Tommaso”, si accenna a Maria, quando se ne deve lodare la verginità; così il macarismo di Lc 11, 27-28 viene applicato a tutte le donne che nell’ultimo giudizio saranno trovate senza figli. Il “Vangelo di Nicodemo” legherà la Passione di Gesù con la profezia di Simeone (Lc 2, 34-35)., ma non comprenderà il valore spirituale e soteriologico delle parole del Crocifisso dette alla madre e a Giovanni mentre stavano sotto la croce: per l’autore si sarebbe tratto piuttosto di una preoccupazione per il futuro economico della madre, da parte del morente. Per il “Transitus colbertinus”, invece, il dialogo avvenne per il rispetto della verginità della Madre e del discepolo amato. Il “Vangelo di Bartolomeo” e quello “di Gamaliele” riconoscono a Maria un ruolo superiore a quello della Maddalena e di Pietro nell’alba della domenica di Resurrezione, dato che il Resuscitato sarebbe comparso per primo alla madre, cui avrebbe dato l’ufficio di comunicare agli apostoli il op prodigioso avvenimento. Interessante è notare che il “Vangelo di Bartolomeo”, in questa apparizione, lega la professione di fede in Cristo Resuscitato con quella di Maria “sua madre-vergine, seno spirituale, tesoro di perle, arca di salvezza dei figli di Adamo”.

Sviluppando il testo di Atti 1,14, il “Transito Romano” designa Maria madre dei Dodici e madre dei salvati ed essa si definisce “come vite fruttifera in mezzo a loro”; e difatti, secondo il “Vangelo di Bartolomeo”, il gruppo dei discepoli ebbe un rapporto confidenziale con Lei, riconoscendola come propria guida, soprattutto nelle preghiere e come causa del loro gaudio, avendo essa annullato la trasgressione di Eva che li riempiva di vergogna. Già dal II sec., i parenti di Maria di tendenza ebionita-cattolica, abitanti nel villaggio di Magdala, celebrarono nel Getsemani la traslazione della Grande Parente, che era stata sepolta in una poiccola caverna interna, intagliata nella roccia, sotto altre due più grandi superiori cui si accedeva con delle scale. Nel racconto compaiono molti elementi della teologia giudeo-cristiana, come la Trinità di tipo familiare e angelologica, la dottrina della Scala cosmica e della “merkabah”, la rianimazione del corpo asessuato, la tricotomia del corpo, anima e spirito, la traslazione di Maria come quella di Enoc e di Elia nel Paradiso. Temi che saranno solo in parte purificati nei Transiti dei giovanniti severiani del IV-V sec. che ricordarono la Dormizione di Maria negata dai monofisiti “fantasisti” di tendenza doceta. E saranno del tutto purificati dai greci e dai latini calcedonesi, dal V al VII sec., i quali celebrarono piuttosto l’Assunzione. Dopo l’Assunzione, Maria, insieme con gli apostoli, visita i luoghi di pena delle anime purganti; e ottiene dal Signore la sospensione di tali sofferenze a date prefissate: o dalla pasqua a Pentecoste (“Apocalisse della Madre del Signore”), o nel giorno della domenica (“Apocalisse di Paolo” 44, ”Libro del riposo etiopico”). Vari, dunque, sono i temi di mariologia svolti dagli apocrifi del II e III sec., sotto forma di dicerie, di leggende e di miti, che, ormai lo si ammette, non sono del tutto fantasiosi, ma radicati nella intuizione e nel subcosciente collettivo, che prende il via dal nucleo storico, magari abbellito dal “midrash pesher”.»

 

Ora, il fatto che i Vangeli apocrifi siano tutti di composizione posteriore, e, in alcuni casi, alquanto posteriore, a quella dei Vangeli canonici, dice già moltissimo, se non tutto, sulla serietà della tesi cospirazionista, che fa dei primi niente meno che i depositari del “vero” Cristianesimo delle origini: perché dei testi composti decenni, e perfino secoli, dopo gli scritti del Nuovo Testamento - dalle Lettere paoline al quarto Vangelo – certo non possono competere con questi ultimi quanto a fedeltà alle origini e ad una maggiore attendibilità storica.

Cionondimeno, il fatto che nei Vangeli apocrifi vi sia largo spazio per la figura ed il ruolo svolto da Maria nella Chiesa nascente; il fatto che quei racconti siano stati prontamente ripresi e gelosamente tramandati dalle comunità cristiane dei primi secoli; il fatto che essi abbiano dato luogo a un culto mariano che si espresse nella costruzione di basiliche e santuari palestinesi risalenti molto addietro nel tempo, attesta, senza possibilità di dubbio, che il culto di Maria non è stato una “invenzione”, arbitraria e tardiva, del “cattolicesimo”, o una deviazione dalla retta teologia monoteista e quasi una concessione al politeismo pagano (mediante una ambigua sovrapposizione alla figura della Magna Mater o, magari, della Artemide di Efeso), ma che esso è genuinamente antico e che tale antichità è attestata dai documenti, oltre ogni ragionevole dubbio.

Se passiamo dai testi letterari extra-canonici alla documentazione archeologica, apprendiamo che la Chiesa di S. Anna, a Gerusalemme, costruita ove sorgeva, secondo la tradizione, la casa della Vergine Immacolata, era già visitata e descritta da pellegrini nel V e VI secolo; ne parla Sinesio, vescovo di Cirene, indi il pellegrino Teodosio (nell’anno 530). Il monastero di Nostra Signora la Theotókos di Choziba venne fondato nel 470, là dove si sarebbe ritirato a pregare e digiunare Gioacchino, il padre di Maria. La Chiesa Nuova di Santa Maria fu costruita tra il 531 e il 543 nel centro della città di Gerusalemme, per iniziativa dell’imperatore Giustiniano, che sostenne le spese. A Nazareth, nel 570 il pellegrino Anonimo di Piacenza visitava la chiesa che dice eretta sulla casa natale della Vergine. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Conclusione: sia le fonti letterarie, sia quelle archeologiche documentano che Maria era oggetto di venerazione fin dai tempi più antichi. Del ruolo svolto dal culto mariano in seno al cattolicesimo si può pensare e dire quel che si vuole, ma non si può sostenere che esso sia stato ritagliato “a posteriori” e in maniera arbitraria, in seguito a chissà quale manovra dall’alto; bisogna riconoscere, al contrario, che esso esisteva da tempi antichissimi e che il cattolicesimo moderno, dopo Lourdes e dopo Fatima, non ha fatto altro che riallacciarsi a una tradizione veneranda e fiorente, che i fedeli hanno sempre coltivato con il massimo amore e con il più grande rispetto.