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Culto del corpo

di Andrea Chinappi - 29/12/2013

Fonte: lintellettualedissidente

 


 

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Da L’intellettuale dissidente del 4-12-2013 (N.d.d.)

 

Yukio Mishima, celebre scrittore e saggista giapponese del secolo scorso, nel paragrafo “ Sul Corpo” del saggio intitolato “ Lezioni spirituali per giovani samurai” spiega chiaramente come sia cambiata la concezione del corpo nella società giapponese dopo la seconda guerra mondiale. Mishima introduce l’argomento spiegando come “originariamente il corpo era, per i giapponesi, un concetto d’importanza secondaria” e come la caratteristica che differenziava il Giappone dall’Europa consisteva nel fatto che i giapponesi non consideravano, platonicamente, il corpo umano come metafora del mondo metafisico (Platone affermava che la bellezza fisica fosse la chiave per accedere al nobile incanto dell’Idea). Nell’universo nipponico grazie alla determinante influenza del Buddismo il mondo fenomenico, il corpo naturale, a differenza della concezione ellenica, non era assolutamente considerato come rappresentazione di qualcosa che lo trascendeva ma anzi veniva disprezzato: la bellezza era qualcosa che trascendeva il fisico in sé ma era qualcosa più simile ad una bellezza spirituale, ad una sorta di aura che una persona emanava, un’atmosfera che riusciva a creare intorno a sé. E proprio per questo motivo, circostanza totalmente opposta al mondo di oggi con cui non ha nulla in comune, la bellezza poteva essere “aiutata” con l’utilizzo di abiti che ostentassero una certa dignità: le pregiate sete di un kimono che avvolgevano il corpo di una donna. Esemplare il caso di un uomo come Musashi Miyamoto, vissuto a cavallo tra il 1500 e il 1600, pittore e grande maestro di arti marziali, che spendeva i suoi giorni nella ricerca spirituale e nell’allenamento, di cui il corpo “che fungeva da tramite fra questi due poli” ( forma fisica e profondità spirituale ) è da sempre rimasto ignoto, “quasi non fosse esistito”. 

 

Con la fine della seconda guerra mondiale e l’invasione della televisione americana, questa concezione del corpo mutò radicalmente. A differenza dello spirito greco che considerava il corpo un tramite tra la bellezza umana e la bellezza ultra-terrestre e che quindi presupponeva, a scopo quasi funzionale, una cultura corporale fatta di belle forme ( si pensi alle statue), il nuovo “canone” americano non rappresenta affatto una rinascita di questo spirito, pur concentrando l’attenzione sul corpo, ma, giudicando il valore dell’uomo esclusivamente dall’aspetto fisico, rende l’aspetto fisico non solo valore in sé, privo di trasfigurazioni o simbolismi, ma lo ritrae come unico valore, effige di una nuova categoria rappresentativa: il materialismo. Il corpo, nella odierna società dei consumi, è diventato l’oggetto di una sete edonistica insita nell’uomo (post)moderno, adulato come oggetto di culto ma contemporaneamente messo all’asta e svilito come merce. L’uomo è ossessionato dal corpo diventato ormai interesse di legami soggettivi e fonte di ansia e competizione, in perenne ricerca di una forma “perfetta” mai completamente raggiunta a causa della mutevolezza dei canoni estetici ogni giorno dettati dalla pubblicità

Il paradosso dell’uomo di oggi è che questi due spiriti, spirito greco e spirito giapponese, convivono ma secondo un’interpretazione sbagliata di entrambi. L’attenzione greca dedicata alla bellezza del corpo, al raggiungimento di canoni estetici giudicati come perfetti e quindi meta-divini, è stata rimpiazzata da un’ossessione verso la forma fisica che non trova nella realizzazione di sé un fine altro ma che viene perennemente modellata secondo canoni che mutano sempre più velocemente. Il corpo in questo modo si lega indissolubilmente all’erotismo: da oggetto di venerazione diventa oggetto di ossessione e angoscia, desiderio insoddisfabile, metro di giudizio e da uomo-divino lo trasforma in animale-oggetto. Il vortice della mutevolezza dei modelli da seguire lancia l’uomo, anonimo e spogliato dell’identità, nel caos fino alla confusione dei generi: l’identità viene ricercata nel sesso opposto ma l’unico che alla fine trae beneficio da questa situazione è il Capitale. 679 milioni di Euro in Francia rappresentano il mercato maschile dei cosmetici con un incremento del 30% all’anno; dal 2003 la vendita di prodotti per la cura del viso per uomo è esplosa dell’87% in un anno, e il mercato dei gioielli è raddoppiato (Veronique Lorelle, L’uomo si rifà una bellezza).

E qui subentra il male interpretato spirito giapponese secondo il quale la bellezza di una persona veniva emanata dall’atmosfera che si creava intorno ad essa, dagli abiti, dalla dignità. Il corpo al contrario diventa puro oggetto travestito, appendiabiti per stilisti, agghindato con accessori e gioielli, scadendo alla fine nell’insignificanza e talvolta ostentando la nudità al solo scopo di renderla inaccessibile, e al limite esorcizzarla ( Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi). Moda mascolina per le donne, devirilizzazione dell’uomo: il mercato è causa e conseguenza, contraente e beneficiario, crea e distrugge. L’uomo è spaesato e l’Io confuso, è perso in un mondo dove i canoni da seguire sono innaturali e dove l’imitazione di un modello è imposta, pena la propria felicità e l’esclusione dalla Società.