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Narcisismo, consumo e libertà

di Andrea Chinappi - 16/01/2014

Fonte: lintellettualedissidente


Il narcisismo è una condizione psicologica, e in questo caso “identitaria”, che caratterizza l'uomo moderno e, come spiega Christopher Lasch nel saggio “L'Io minimo”, consiste nella disposizione dell'individuo a vedere il mondo come uno specchio, come una proiezione delle proprie paure e dei propri desideri. L'uomo-consumatore sente di vivere in un mondo comandato da grandi burocrazie, intrecciato da perversi meccanismi in grado di collassare da un momento all'altro, minacciato da disastri diplomatici e nucleari; queste paure vengono anestetizzate dalla realizzazione di desideri passeggeri con rimedi “usa e getta”, imposti dalla pubblicità come fonti di gratificazione e in perfetta sintonia con le fantasie dell'individuo.

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 La rivoluzione economica e culturale del consumo ebbe luogo negli Stati Uniti intorno ai primi anni ’20, quando all’industria venne applicata la divisione della moderna società industriale: la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Questa divisione identificava così da una parte una élite manageriale in grado di controllare la gestione “scientifica” dell’industria, dall’altra una massa di lavoratori espropriati delle loro conoscenze tecniche con soltanto il dovere di eseguire ordini. La nuova oligarchia capitalista avendo gettato le basi per la nuova produzione di massa si dedica a creare un nuovo mercato di massa che implicava quindi una rivoluzione culturale e psicologica: bisognava trasformare il cittadino in consumatore. Le due tendenze, industriale e culturale, furono perfettamente incarnate da due figure-simbolo della nuova era: Henry Ford e Alfred Sloan. Il primo, padre della catena di montaggio, regolarizzò la produzione in serie, il secondo introdusse fortunatissime innovazioni nel campo del marketing:far uscire ogni anno un nuovo modello, migliorare costantemente il prodotto, farne uno status sociale, imposizione di una perenne sete di novità. Una volta formate le strutture bisognava formare l’individuo e la sua nuova psiche; bisognava trasformarlo in un essere dipendente, senza alcun spirito d’iniziativa ma soprattuto sfiducioso verso la propria capacità di giudizio; il gusto doveva essere sostituito dalla moda, e le preferenze “fuori-moda” dovevano essere costantemente migliorate.

Il più grande traguardo ottenuto da questa rivoluzione fu l’alterazione della percezione che l’individuo aveva di sé stesso e del mondo circostante, e la progressiva identificazione del mondo esterno con l’immagine personale. Si venne a formare così nell’individuo una nuova coscienza dettata dal rapporto con l’altro e influenzata dal giudizio dell’altro; la “ rappresentazione” prese il posto della “ personalità”, e ogni aspetto della vita dell’uomo, dal lavoro al tempo libero, venne rivestito di teatralità: l’individuo formava se stesso come un comune prodotto di consumo da immettere sul mercato; la ricerca di un’individualità, di un Io personale diventava problematica, e la grande produzione letteraria psicologica e sociologica di metà novecento ne vale da conferma. L’identità intesa come uguaglianza con sé stessi lasciò spazio alla nuova identità fluida, “all’Io liquido” (Bauman), “ conferito e accettato a livello sociale” (Peter L. Berger), fondato sulla presentazione di sé. La perdita d’identità come “continuità della personalità” venne accompagnata dalla progressiva scomparsa di categorie sociali che, almeno fino agli inizi del novecento, caratterizzavano e regolavano la società. Il nuovo bisogno comune di crearsi un’immagine attraverso l’impiego di oggetti prodotti in serie avvicinò le tradizionali classi antitetiche, proletariato e borghesia, in modo tale da identificare i desideri di entrambe le categorie e volgere i loro pensieri ad un mercato che si presentava come dispensatore di felicità e riconoscimento sociale.

Il narcisismo è una condizione psicologica, e in questo caso “identitaria”, che caratterizza l’uomo moderno e, come spiega Christopher Lasch nel saggio “L’Io minimo”, consiste nella disposizione dell’individuo a vedere il mondo come uno specchio, come una proiezione delle proprie paure e dei propri desideri. L’uomo-consumatore sente di vivere in un mondo comandato da grandi burocrazie, intrecciato da perversi meccanismi in grado di collassare da un momento all’altro, minacciato da disastri diplomatici e nucleari; queste paure vengono anestetizzate dalla realizzazione di desideri passeggeri con rimedi “usa e getta”, imposti dalla pubblicità come fonti di gratificazione e in perfetta sintonia con le fantasie dell’individuo.

I più grandi difensori del mondo moderno utilizzano come argomento di difesa della nuova società consumistica il fatto che per la prima volta nella storia la massa è stata integrata nella società, in cui può vivere un’esistenza sociale e affinare i propri gusti culturali. Potremo riassumere questa definizione così: per la prima volta, tutti, ricchi e poveri, hanno la possibilità di fare la stessa scelta. La “modernizzazione” consiste dunque nell’abbondanza di scelte messe a disposizione della popolazione; è una scelta priva di influenze classiste, etniche, familiari: è una scelta “libera” per uomini “liberi”, e la “libertà” sta nello scegliere lo stile di vita più adatto alla propria personalità, gusto o vanità. Ma il fatto stesso che tutte le scelte possibili siano egualmente valide in quanto tutte socialmente accettate, in questa abbondanza risiede la causa del malessere dell’uomo moderno, del persistente senso di insoddisfazione. “Essere tutto ciò che si vuole” se da una parte sembra ricalcare la filosofia del “sogno americano”, dall’altra suggerisce che le identità possono essere intercambiabili e grazie a ciò l’uomo si libera da impegni e conseguenze: ogni rapporto umano scade di senso (amicizie sempre più labili, amori “usa e getta”, sesso incondizionato) e il sistema di valori viene meno insieme ai doveri supposti (matrimoni aperti, divorzi, relazioni senza impegno). La libertà di scelta si traduce così in un’astensione dalla scelta stessa.

A questa libertà di scelta si lega a doppio nodo il concetto di moralità: la libertà di scegliere diventa un valore inalienabile, indispensabile, inconfutabile; nessuno ha il diritto di imporre i propri giudizi morali,pena la perdita di libertà o l’accusa di intolleranza. Conseguenza di ciò è l’impossibilità di una discussione pubblica sui valori, e la necessaria mancanza di una legge morale. Il mondo si trasforma così in contenitore di cose e individui interscambiabili: ogni identità si pone sullo stesso piano di un’altra e con la stessa carica di accessibilità così come merci tra loro indistinguibili sono pubblicizzate in modo tale da renderle un’alternativa valida,unica e rivoluzionaria, portale di accesso per conquiste individuali, come successo, pace spirituale, integrazione, comprensione.

Che ogni cultura debba essere giudicata secondo i suoi parametri è l’antropologia che lo afferma e se i nuovi parametri della nostra cultura sono il consumo e la libertà indeterminata, l’individuo moderno si riassume, edonista, competitivo, insoddisfatto, materialista, sradicato, avaro, individualista, narcisista e il suo sistema di organizzazione politica, la democrazia, è l’esercizio attraverso il quale propone e impone le sue scelte di consumo.