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Divergevano due strade...

di Gianni Petrosillo - 25/01/2014

 

Sembra che l’Italia sia precipitata nei bassi fondi economici europei e mondiali a causa del sistema elettorale. Tutti si affannano a correre ai ripari rivolgendosi agli esperti che, essendo sempre troppi e troppo bravi, non sono mai d’accordo su nulla e non cavano un ragno dal buco. Anche loro tengono partito ma non lo dicono e pensano a come salvare il proprio retrobottega.

Come scrive Luca Josi su “Il Tempo” la quinta potenza mondiale è diventata l’ottava europea e veleggia, orgogliosa, verso la trentesima posizione del 2030. Il sistema elettorale  è diventato il totem dei fantomatici rinnovatori, che così credono di mettere una pieta sopra il passato, ed il tabù dei rottamandi, i quali, invece, temono di perdere il posto futuro.

Porcellum o Italicum, circoscrizioni alla spagnola, baci alla francese e prese per i fondelli alla nostrana, se gli uomini e le idee politiche restano quelli di ieri non si farà nemmeno un passo nella direzione giusta. Impossibile farlo capire ai maccheróni del latinorum che non capiscono un’acca del popolo italiano.

Quello che dovrebbe davvero terrorizzarci è la perdita di sovranità nazionale, nei confronti di organismi mondiali e continentali, e la mancanza di coraggio geopolitico della nostra “classe rimanente”, copyright  ancora di Josi, eccedente unicamente in sciocchezze o furbizie.

L’ex pupillo di Craxi non le manda a dire e fa un quadro impietoso della situazione: “… discutono da circa vent’anni di salvifiche riforme istituzionali ed elettorali (quelle della Grande Riforma craxiana degli anni ottanta); mentre un tempo si litigava con Reagan e la Delta Force per difendere la sovranità del Paese, oggi si consegnano i Marò al primo indiano che passa, bambine a democrazie kazake e si riportano a casa rapiti del terrorismo a botte di milioni (di euro; Moro lo lasciammo accoppare: “non si tratta”)”.

La descrizione è impertinente e per questo più che pertinente. L’Italia ha bisogno di uomini forti e di grandi visioni per risalire sul carro della Storia, dopo decenni di decadenza, ma si crogiola tra falsi pretesti ideologici – pro o contro singole persone trasformate in demoni o santi – e servilismi inusitati che l’hanno ridotta a zimbello del globo. Chiunque può prenderci a schiaffi, dai francesi in Libia agli Indiani in acque internazionali, per non parlare degli americani i quali ormai decidono la sorte dei nostri esecutivi e persino i loro effettivi.

Dietro alle belle parole di chi si sta facendo largo tra i cadaveri della II Repubblica, a forza di dichiarazioni ad effetto, non c’è alcuna intenzione seria di cambiamento, esclusivamente chiacchiere meglio condite e distintivi di partito ancora più sbiaditi e tra un po’ pure rimpiccioliti.

Sui grandi temi che segnano l’attuale epoca storica i “neofiti dirigenziali” non hanno nulla da dichiarare se non le usuali insulsaggini appena celate da anglicismi errati (jobs act è un errore grammaticale, oltre che sociale) e slang giovanilistici già superati. Sono appena arrivati gli ultimi arrivati e già capiamo perchè erano così indietro. Dalla Repubblica del Banana a quella delle banalità, il passo sarà greve.

Il Belpaese si trova sull’orlo del precipizio per scarsità di orizzonti politici, economici e culturali in una fase di grande trasformazione che ha modificato i connotati dei capitalismi mondiali, ma non i pensieri e le appartenenze dei nostri (in)decisori.

L’ingovernabilità è effetto e non causa delle dinamiche inattivate or ora indicate. Del resto, come si può gestire uno Stato se si trasferiscono le redini dello stesso fuori dai propri confini territoriali, come si può migliorare la situazione dei conti se le misure necessarie vengono prese altrove e senza tener conto delle specificità nazionali, come si possono imboccare altre strade se si utilizzano mappe ricalcate su rapporti di forza sfavorevoli e sui interessi strategici svantaggiosi, divenuti tali almeno dal 1989,  che portano sempre e solo a Washington. Altro che sistemi elettorali! I nostri (s)governanti escludono a priori l’esistenza di ulteriori percorsi e rinunciano, ovviamente, a tracciarne di nuovi per ristrettezza mentale, sudditanza politica e (loro) convenienza economica. Eppure, diceva il poeta: “Divergevano due strade in un bosco, e io…..Io presi la meno battuta, e di qui tutta la differenza è venuta” (R. Frost).