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In Argentina un golpe di mercato

di Claudio Tognonato - 29/01/2014


Foto: In Argentina un golpe di mercato 	  Speculazione. In Argentina è guerra tra gruppi monopolistici e politica distributiva del governo. Il potere finanziario impone la sua forza, portando al crollo del peso  Gio­vedì 23 gen­naio, dopo un lungo brac­cio di ferro con i set­tori che da tempo recla­ma­vano la sva­lu­ta­zione della moneta, la Banca Cen­trale Argen­tina, per fare fronte ad un vio­lento attacco spe­cu­la­tivo, ha deciso di non inter­ve­nire più sul mer­cato valu­ta­rio a soste­gno della pro­pria moneta. In rispo­sta alla cre­scente domanda di valuta e all’espansione del mer­cato nero il governo ha annun­ciato l’abolizione delle misure che restrin­ge­vano l’acquisto di dol­lari. La con­se­guenza è stata un imme­diato deprez­za­mento del peso, il più forte degli ultimi dodici anni. La pres­sione sulla moneta argen­tina da parte dei potenti gruppi espor­ta­tori di mate­rie prime e il con­ti­nuo mar­tel­lare dei prin­ci­pali gior­nali di rife­ri­mento (Cla­rín e La Nación) è stata una costante che ha con­tri­buito in modo deci­sivo a pro­vo­care una dif­fusa sfi­du­cia nel peso tra la popo­la­zione. Per chi con­trolla i media non è dif­fi­cile incen­ti­vare le paure di deprez­za­mento e ali­men­tare le aspet­ta­tive di veloci gua­da­gni spe­cu­la­tivi. La quo­ta­zione del dol­laro è esplosa gio­vedì 23 feb­braio quando alcuni set­tori, in par­ti­co­lare la Shell e la banca HSBC, hanno deciso di com­mer­cia­liz­zare ingenti somme di valuta a prezzi ben al di sopra del suo valore di mer­cato. Axel Kicil­lof, mini­stro dell’economia ha dichia­rato: «C’è stato un forte attacco spe­cu­la­tivo, una domanda di acqui­sto di 3,5 milioni di dol­lari a 8,40 pesos da parte della Shell, che avrebbe potuto com­prare a 7,20 pesos». I peri­coli della crescita Il modello di svi­luppo argen­tino, por­tato avanti dopo il default di dicem­bre del 2001, è stato in buona parte soste­nuto dalle espor­ta­zioni di mate­rie prime, ma si è con­trad­di­stinto per l’ampiamento del mer­cato interno. L’aumento del potere d’acquisto di set­tori prima mar­gi­nali, ha gene­rato in Argen­tina e in tutti i paesi emer­genti, una mag­giore domanda e una con­se­guente acce­le­ra­zione della cir­co­la­zione mone­ta­ria che si è tra­dotta poi in infla­zione. Oltre a que­sti eventi si è aggiunta la pres­sione dei gruppi espor­ta­tori di mate­rie prime che hanno deciso di trat­te­nere l’esportazione nei silos, soprat­tutto soia, spe­cu­lando con la sva­lu­ta­zione e quindi con mag­giori introiti quando la valuta sarebbe rien­trata al Paese. A con­ferma di tutto ciò Miguel Etche­ve­here, pre­si­dente della Socie­dad Rural, affer­mava la scorsa set­ti­mana: «Più che pro­durre con­viene spe­cu­lare». Si tratta di una lotta per la supre­ma­zia tra potere finan­zia­rio e poli­tica, la logica della spe­cu­la­zione oppo­sta a quella del lavoro, l’economia con­tro la società. Il governo ha difeso l’economia dagli attac­chi spe­cu­la­tivi e ha incen­ti­vato la pro­du­zione inter­ve­nendo con pro­grammi e lavori pub­blici, costrin­gendo le ban­che pri­vate a fomen­tare l’attività eco­no­mica e com­bat­tendo l’economia finan­zia­ria. La Banca Cen­trale ha pro­mosso misure anti­ci­cli­che soste­nendo la pro­pria moneta e finan­ziando pro­getti di sviluppo. L’Argentina, dopo il fal­li­mento del 2001, non ha più avuto cre­dito, le è stato negato l’accesso al mer­cato glo­bale di denaro e quindi deve ancora reg­gersi sul pro­prio rispar­mio. La man­canza di cre­dito ha però aspetti posi­tivi: il Paese ha ridotto in modo con­si­de­re­vole il suo debito estero, avendo anni fa estinto quello con il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale. Anche per que­sto motivo i paesi alla guida della glo­ba­liz­za­zione neo­li­be­ri­sta non per­dono occa­sione per dare una lezione all’indi­sci­pli­nata Argen­tina e avver­tire even­tuali altri paesi che abbiano la pre­tesa di tagliare i ponti e ten­tare in modo auto­nomo di met­tere in atto pro­getti di svi­luppo che esclu­dano la finanza internazionale. La natura del conflitto Le misure anti­ci­cli­che clas­si­che key­ne­siane dicono che in periodi di reces­sione si deve inve­stire e in momenti di cre­scita rispar­miare. Dopo gli anni del neo­li­be­ri­smo, la Banca Cen­trale Argen­tina ha recu­pe­rato il suo ruolo di stru­mento della poli­tica eco­no­mica. Supe­rato il default, le riserve che erano arri­vate agli inizi del 2011 alla cifra record di 52,6 miliardi di dol­lari, sono scese alle attuali 29,5. La crisi eco­no­mica glo­bale ha spinto i paesi emer­genti a inve­stire nella pro­du­zione e allar­gare il mer­cato interno per sup­plire il ral­len­ta­mento della domanda di espor­ta­zioni verso i paesi del Nord in crisi. Per la poli­tica eco­no­mica argen­tina il rispar­mio deve ser­vire allo svi­luppo. La reli­gione mone­ta­ri­sta vuole invece che le riserve restino intac­cate, accu­mu­lare è la prio­rità, men­tre le urgenze della società pos­sono sem­pre aspet­tare. Ogni inter­vento dello Stato è tac­ciato di dema­go­gico o popu­li­sta. L’attività del set­tore pub­blico implica una spesa, da un punto di vista mone­ta­rio è ovvio che le riserve dimi­nui­scono ed è anche ovvio che le riserve sono limi­tate e non sono in grado di resi­stere in eterno. Il pro­lun­garsi della crisi dei paesi del Nord ha con­tri­buito anche a ral­len­tare i pro­cessi di svi­luppo del Sud. Sarebbe un errore cir­co­scri­vere la sva­lu­ta­zione a una mera que­stione mone­ta­ria. In Argen­tina è in atto un con­tra­sto tra i gruppi mono­po­li­stici e la poli­tica redi­stri­bu­tiva attuata dal governo. Da una parte l’economia finan­zia­ria vuole avere la supre­ma­zia nella deter­mi­na­zione delle deci­sioni di poli­tica eco­no­mica. Dall’altra il governo vuole difen­dere la società inco­rag­giando insieme alla cre­scita la distri­bu­zione, l’inclusione sociale, le poli­ti­che fiscali e mone­ta­rie per pro­teg­gere il livello di occu­pa­zione e l’incipiente pro­cesso d’industrializzazione, che ha dato vita a oltre 200 mila imprese. Nel con­te­sto di crisi glo­bale, l’economia reale in Argen­tina cre­sce, secondo le stime, non pro­prio ami­che, del FMI nel 2013 è stata del 3,5% e pre­vede che nel 2014 sarà del 2,8. La disoc­cu­pa­zione con­ti­nua a decre­scere: oggi è intorno ad un 6,8% secondo le misu­ra­zioni dell’opposizione. Da parte del governo ci sono stati e ci sono molti errori, distra­zioni, misure sba­gliate, incom­pe­tenze e casi di cor­ru­zione, ma il governo ha sem­pre pun­tato al recu­pero del set­tore pub­blico e si è con­fron­tato con i grandi inte­ressi pri­vati. Le scelte poli­ti­che pos­sono essere cri­ti­cate, dibat­tute e miglio­rate, ma gli argen­tini hanno vis­suto sulla pro­pria pelle la cecità della legge del mer­cato, quella che pre­tende di deter­mi­nare il valore delle cose igno­rando i diritti e desta­bi­liz­zando l’economia reale. Un mes­sag­gio da Davos Con la mano­vra di libe­ra­liz­za­zione del mer­cato dei cambi lo Stato vuole recu­pe­rare la pos­si­bi­lità di gestire la sua poli­tica mone­ta­ria, oggi in mano a pri­vati. Que­sto ambito è stato volu­ta­mente tra­scu­rato dai governi Kirch­ner che, con­sa­pe­voli del rischio di un’accelerazione dell’inflazione, hanno comun­que pre­fe­rito con­ti­nuare sulla strada dell’aumento della pro­du­zione, della distri­bu­zione e del con­sumo. Dal Forum di Davos, che rac­co­glie i ver­tici della finanza glo­bale, Zhu Min, rap­pre­sen­tante del FMI ha detto che sarebbe «più che felice di aiu­tare l’Argentina». Ma non ci sono più rap­porti tra il Fondo e il paese suda­me­ri­cano che anni fa ha deciso di espel­lere i suoi rap­pre­sen­tanti giu­di­can­doli col­pe­voli di aver por­tato l’Argentina al fallimento. Non si può pre­ve­dere chi vin­cerà que­sta bat­ta­glia tra spe­cu­la­zione e poli­tica. Dopo il cedi­mento del governo alla sva­lu­ta­zione, l’opposizione ha chie­sto di più dichia­rando che le riforme non si devono cir­co­scri­vere all’ambito mone­ta­rio ma devono inve­stire la poli­tica macroe­co­no­mica, cioè chie­dono tagli, dimi­nu­zione della spesa pub­blica e arre­tra­mento dello stato sociale. Con que­ste pre­messe è facile essere cata­stro­fi­sta e scom­met­tere sul cedi­mento del modello di svi­luppo argen­tino, così come è sem­pre comodo soste­nere i potenti. Pro­prio per que­sto motivo l’Argentina ha biso­gno del con­te­sto, in primo luogo dell’America Latina e poi della tenuta dei rap­porti Sud-Sud. Forse per que­sto motivo la pre­si­dente Cri­stina Fer­nan­dez Kirch­ner si è recata all’Avana alla riu­nione della Cum­bre de la Comu­ni­dad de Esta­dos de Lati­noa­mé­rica y el Caribe (Celac). Da Cuba, insieme alla pre­si­dente del Bra­sile Dilma Rous­seff , nel loro primo incon­tro, hanno denun­ciato l’attacco della spe­cu­la­zione inter­na­zio­nale con­tro i paesi emergenti.  Claudio Tognonato Fonte: www.ilmanifesto.it
Speculazione. In Argentina è guerra tra gruppi monopolistici e politica distributiva del governo. Il potere finanziario impone la sua forza, portando al crollo del peso

Gio­vedì 23 gen­naio, dopo un lungo brac­cio di ferro con i set­tori che da tempo recla­ma­vano la sva­lu­ta­zione della moneta, la Banca Cen­trale Argen­tina, per fare fronte ad un vio­lento attacco spe­cu­la­tivo, ha deciso di non inter­ve­nire più sul mer­cato valu­ta­rio a soste­gno della pro­pria moneta. In rispo­sta alla cre­scente domanda di valuta e all’espansione del mer­cato nero il governo ha annun­ciato l’abolizione delle misure che restrin­ge­vano l’acquisto di dol­lari. La con­se­guenza è stata un imme­diato deprez­za­mento del peso, il più forte degli ultimi dodici anni.
La pres­sione sulla moneta argen­tina da parte dei potenti gruppi espor­ta­tori di mate­rie prime e il con­ti­nuo mar­tel­lare dei prin­ci­pali gior­nali di rife­ri­mento (Cla­rín e La Nación) è stata una costante che ha con­tri­buito in modo deci­sivo a pro­vo­care una dif­fusa sfi­du­cia nel peso tra la popo­la­zione. Per chi con­trolla i media non è dif­fi­cile incen­ti­vare le paure di deprez­za­mento e ali­men­tare le aspet­ta­tive di veloci gua­da­gni spe­cu­la­tivi. La quo­ta­zione del dol­laro è esplosa gio­vedì 23 feb­braio quando alcuni set­tori, in par­ti­co­lare la Shell e la banca HSBC, hanno deciso di com­mer­cia­liz­zare ingenti somme di valuta a prezzi ben al di sopra del suo valore di mer­cato. Axel Kicil­lof, mini­stro dell’economia ha dichia­rato: «C’è stato un forte attacco spe­cu­la­tivo, una domanda di acqui­sto di 3,5 milioni di dol­lari a 8,40 pesos da parte della Shell, che avrebbe potuto com­prare a 7,20 pesos».
I peri­coli della crescita
Il modello di svi­luppo argen­tino, por­tato avanti dopo il default di dicem­bre del 2001, è stato in buona parte soste­nuto dalle espor­ta­zioni di mate­rie prime, ma si è con­trad­di­stinto per l’ampiamento del mer­cato interno. L’aumento del potere d’acquisto di set­tori prima mar­gi­nali, ha gene­rato in Argen­tina e in tutti i paesi emer­genti, una mag­giore domanda e una con­se­guente acce­le­ra­zione della cir­co­la­zione mone­ta­ria che si è tra­dotta poi in infla­zione. Oltre a que­sti eventi si è aggiunta la pres­sione dei gruppi espor­ta­tori di mate­rie prime che hanno deciso di trat­te­nere l’esportazione nei silos, soprat­tutto soia, spe­cu­lando con la sva­lu­ta­zione e quindi con mag­giori introiti quando la valuta sarebbe rien­trata al Paese.
A con­ferma di tutto ciò Miguel Etche­ve­here, pre­si­dente della Socie­dad Rural, affer­mava la scorsa set­ti­mana: «Più che pro­durre con­viene spe­cu­lare». Si tratta di una lotta per la supre­ma­zia tra potere finan­zia­rio e poli­tica, la logica della spe­cu­la­zione oppo­sta a quella del lavoro, l’economia con­tro la società. Il governo ha difeso l’economia dagli attac­chi spe­cu­la­tivi e ha incen­ti­vato la pro­du­zione inter­ve­nendo con pro­grammi e lavori pub­blici, costrin­gendo le ban­che pri­vate a fomen­tare l’attività eco­no­mica e com­bat­tendo l’economia finan­zia­ria. La Banca Cen­trale ha pro­mosso misure anti­ci­cli­che soste­nendo la pro­pria moneta e finan­ziando pro­getti di sviluppo.
L’Argentina, dopo il fal­li­mento del 2001, non ha più avuto cre­dito, le è stato negato l’accesso al mer­cato glo­bale di denaro e quindi deve ancora reg­gersi sul pro­prio rispar­mio. La man­canza di cre­dito ha però aspetti posi­tivi: il Paese ha ridotto in modo con­si­de­re­vole il suo debito estero, avendo anni fa estinto quello con il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale. Anche per que­sto motivo i paesi alla guida della glo­ba­liz­za­zione neo­li­be­ri­sta non per­dono occa­sione per dare una lezione all’indi­sci­pli­nata Argen­tina e avver­tire even­tuali altri paesi che abbiano la pre­tesa di tagliare i ponti e ten­tare in modo auto­nomo di met­tere in atto pro­getti di svi­luppo che esclu­dano la finanza internazionale.
La natura del conflitto
Le misure anti­ci­cli­che clas­si­che key­ne­siane dicono che in periodi di reces­sione si deve inve­stire e in momenti di cre­scita rispar­miare. Dopo gli anni del neo­li­be­ri­smo, la Banca Cen­trale Argen­tina ha recu­pe­rato il suo ruolo di stru­mento della poli­tica eco­no­mica. Supe­rato il default, le riserve che erano arri­vate agli inizi del 2011 alla cifra record di 52,6 miliardi di dol­lari, sono scese alle attuali 29,5. La crisi eco­no­mica glo­bale ha spinto i paesi emer­genti a inve­stire nella pro­du­zione e allar­gare il mer­cato interno per sup­plire il ral­len­ta­mento della domanda di espor­ta­zioni verso i paesi del Nord in crisi.
Per la poli­tica eco­no­mica argen­tina il rispar­mio deve ser­vire allo svi­luppo. La reli­gione mone­ta­ri­sta vuole invece che le riserve restino intac­cate, accu­mu­lare è la prio­rità, men­tre le urgenze della società pos­sono sem­pre aspet­tare. Ogni inter­vento dello Stato è tac­ciato di dema­go­gico o popu­li­sta. L’attività del set­tore pub­blico implica una spesa, da un punto di vista mone­ta­rio è ovvio che le riserve dimi­nui­scono ed è anche ovvio che le riserve sono limi­tate e non sono in grado di resi­stere in eterno. Il pro­lun­garsi della crisi dei paesi del Nord ha con­tri­buito anche a ral­len­tare i pro­cessi di svi­luppo del Sud.
Sarebbe un errore cir­co­scri­vere la sva­lu­ta­zione a una mera que­stione mone­ta­ria. In Argen­tina è in atto un con­tra­sto tra i gruppi mono­po­li­stici e la poli­tica redi­stri­bu­tiva attuata dal governo. Da una parte l’economia finan­zia­ria vuole avere la supre­ma­zia nella deter­mi­na­zione delle deci­sioni di poli­tica eco­no­mica. Dall’altra il governo vuole difen­dere la società inco­rag­giando insieme alla cre­scita la distri­bu­zione, l’inclusione sociale, le poli­ti­che fiscali e mone­ta­rie per pro­teg­gere il livello di occu­pa­zione e l’incipiente pro­cesso d’industrializzazione, che ha dato vita a oltre 200 mila imprese. Nel con­te­sto di crisi glo­bale, l’economia reale in Argen­tina cre­sce, secondo le stime, non pro­prio ami­che, del FMI nel 2013 è stata del 3,5% e pre­vede che nel 2014 sarà del 2,8. La disoc­cu­pa­zione con­ti­nua a decre­scere: oggi è intorno ad un 6,8% secondo le misu­ra­zioni dell’opposizione.
Da parte del governo ci sono stati e ci sono molti errori, distra­zioni, misure sba­gliate, incom­pe­tenze e casi di cor­ru­zione, ma il governo ha sem­pre pun­tato al recu­pero del set­tore pub­blico e si è con­fron­tato con i grandi inte­ressi pri­vati. Le scelte poli­ti­che pos­sono essere cri­ti­cate, dibat­tute e miglio­rate, ma gli argen­tini hanno vis­suto sulla pro­pria pelle la cecità della legge del mer­cato, quella che pre­tende di deter­mi­nare il valore delle cose igno­rando i diritti e desta­bi­liz­zando l’economia reale.
Un mes­sag­gio da Davos
Con la mano­vra di libe­ra­liz­za­zione del mer­cato dei cambi lo Stato vuole recu­pe­rare la pos­si­bi­lità di gestire la sua poli­tica mone­ta­ria, oggi in mano a pri­vati. Que­sto ambito è stato volu­ta­mente tra­scu­rato dai governi Kirch­ner che, con­sa­pe­voli del rischio di un’accelerazione dell’inflazione, hanno comun­que pre­fe­rito con­ti­nuare sulla strada dell’aumento della pro­du­zione, della distri­bu­zione e del con­sumo. Dal Forum di Davos, che rac­co­glie i ver­tici della finanza glo­bale, Zhu Min, rap­pre­sen­tante del FMI ha detto che sarebbe «più che felice di aiu­tare l’Argentina». Ma non ci sono più rap­porti tra il Fondo e il paese suda­me­ri­cano che anni fa ha deciso di espel­lere i suoi rap­pre­sen­tanti giu­di­can­doli col­pe­voli di aver por­tato l’Argentina al fallimento.
Non si può pre­ve­dere chi vin­cerà que­sta bat­ta­glia tra spe­cu­la­zione e poli­tica. Dopo il cedi­mento del governo alla sva­lu­ta­zione, l’opposizione ha chie­sto di più dichia­rando che le riforme non si devono cir­co­scri­vere all’ambito mone­ta­rio ma devono inve­stire la poli­tica macroe­co­no­mica, cioè chie­dono tagli, dimi­nu­zione della spesa pub­blica e arre­tra­mento dello stato sociale. Con que­ste pre­messe è facile essere cata­stro­fi­sta e scom­met­tere sul cedi­mento del modello di svi­luppo argen­tino, così come è sem­pre comodo soste­nere i potenti. Pro­prio per que­sto motivo l’Argentina ha biso­gno del con­te­sto, in primo luogo dell’America Latina e poi della tenuta dei rap­porti Sud-Sud.
Forse per que­sto motivo la pre­si­dente Cri­stina Fer­nan­dez Kirch­ner si è recata all’Avana alla riu­nione della Cum­bre de la Comu­ni­dad de Esta­dos de Lati­noa­mé­rica y el Caribe (Celac). Da Cuba, insieme alla pre­si­dente del Bra­sile Dilma Rous­seff , nel loro primo incon­tro, hanno denun­ciato l’attacco della spe­cu­la­zione inter­na­zio­nale con­tro i paesi emergenti.