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Ukraina, giorni decisivi

di Nicola Bizzi - 26/02/2014


     
 
 
Una interessante inchiesta di Carlo Panella ci spiega lo scontro di poteri
dietro le rivolte di Kiev, ma il quadro è molto più complesso e si
concretizza il rischio di una guerra o di una secessione.
Capita decisamente di rado, sfogliando i quotidiani di regime, notoriamente
l'uno la fotocopia dell'altro e di solito pieni di amenità e di solenni
idiozie, di imbattersi in analisi di un certo rilievo. Analisi che, anche
se magari non del tutto obiettive e veritiere, riescono a individuare il
nodo di un problema e ad esporlo con chiarezza. Ebbene, su *Libero* di
Domenica 23 Febbraio mi sono imbattuto finalmente in un articolo piuttosto
serio sulla questione ukraina. Mi riferisco ad una valida inchiesta, a
firma di Carlo Panella, intitolata *È una faida tra oligarchi. L'esito?
Secessione o guerra*.
Dopo gli innumerevoli articoli pieni di demagogia europeista e atlantista
che ho dovuto sorbirmi negli ultimi giorni, scritti da giornalisti che
probabilmente non hanno neanche un'idea di dove si trovi l'Ukraina sulla
cartina geografica, e dopo aver assistito, su tutti i telegiornali, a
nostrani commenti di giubilo per la liberazione della pluripregiudicata e
spregiudicata Julia Timošenko, definita ingenuamente una 'paladina della
libertà', vi spiego perché ho apprezzato l'articolo di Carlo Panella.
Innanzitutto perché, invece di dedicarsi, come hanno fatto altri colleghi,
al presunto 'filo-europeismo' dei teppisti e degli hooligan che hanno nei
giorni scorsi messo a ferro e fuoco il Paese, personaggi manovrati in
realtà da un gruppo di ONG straniere facenti capo alla rete di Soros, ha
puntato il dito sui reali retroscena di questa crisi che ha portato il
parlamento ukraino a votare la destituzione del Presidente Viktor Janukovic con
328 voti su 447.
Panella è infatti stato l'unico ad aver sottolineato che, per comprendere
gli avvenimenti di questi giorni, è indispensabile aver presente che, dopo
la fine dell'Unione Sovietica, a Kiev è successo esattamente l'opposto di
quello che è successo a Mosca. Nella Federazione Russa, infatti, dopo il
caotico periodo della presidenza di Boris Ieltsin, che vide il dominio
incontrastato degli oligarchi che in pochi anni si arricchirono a dismisura
spartendosi come avvoltoi le industrie di Stato e le risorse energetiche,
Vladimir Putin, usando se necessario il pugno di ferro, riuscì a
ripristinare l'assoluto predominio della politica sul potere degli
oligarchi, arrivando ad arrestarne molti e a togliere alla maggior parte di
essi il controllo sull'industria petrolifera e del gas. E solo in questo
modo la Russia ha potuto risollevarsi e riconquistare il suo ruolo di
grande potenza sullo scenario mondiale.
L'Ukraina, invece, ottenuta l'indipendenza, è passata sotto il controllo
diretto dei suoi ex boiardi di Stato, che hanno prontamente messo le mani
su tutti gli apparati industriali dell'era sovietica. Quello dell'Ukraina
non è stato però un caso isolato, e questo Panella non lo dice. Una
situazione simile è avvenuta in quasi tutte le ex repubbliche sovietiche,
in particolare in Kazakistan e nelle altre repubbliche dell'Asia Centrale.
Ma è in Ukraina, effettivamente, che questo fenomeno ha toccato decisamente
il picco massimo. Qui, infatti, una cinquantina di potentissimi oligarchi
si è spartita tutte le risorse del Paese, detenendo oggi un patrimonio
complessivo di 120 miliardi di Dollari, vale a dire il doppio del bilancio
annuale dello Stato. Personaggi come Rinat Akhmetov, con 31 miliardi,
Viktor Pinchulk, con 8,8 miliardi, Igor Kolomojskij, con 6,6 miliardi,
Gennadij Bogoljubov, con 6,2 miliardi, e molti altri, controllano dal 1991
lo Stato e la sua economia. E i partiti politici ukraini non sono altro che
la proiezione di questi oligarchi multimiliardari, e i politici veri e
propri burattini nelle loro mani.
La tanto osannata Julia Timošenko è una di loro, è sempre stata una di
loro, un membro di questo potentissimo club, anche se i giornali
occidentali solitamente questo non lo dicono. Con la sua Compagnia Generale
di Energia, che tra l'altro commerciava in metano con la Russia, e grazie
ad un'alleanza con Konstantin Zhevago (con un patrimonio dichiarato di 5,5
miliardi di Dollari), ha accumulato un enorme patrimonio personale, tanto
da essere annoverata da *Forbes *nel 2005 come la terza donna più potente
del mondo. Il suo partito, Patria, e la sua ascesa politica sono
indissolubilmente legati al suo impero economico, per consolidare il quale
(e probabilmente per tentare di espanderlo ai danni di altri oligarchi) non
esitò a cavalcare la 'rivoluzione arancione' orchestrata alcuni anni fa
dagli Stati Uniti e dalle ONG del circuito di Soros. quelle stesse ONG,
veri e propri centri di spionaggio e di destabilizzazione, che Putin ha
prontamente espulso dal territorio russo.
Ma questi legami sono stati anche all'origine della caduta in disgrazia
della Timošenko. Nel 2010, infatti, ha perso per un soffio le elezioni
presidenziali contro Viktor Janukovic, ed è stato allora facile per il suo
più acerrimo avversario, il grande e potente oligarca Rinat Leonidovi?
Akhmetov, attuale presidente della SCM Holdings e della società di calcio
Šachtar Donec'k nonché uomo più ricco del Paese e il 39° uomo più ricco del
mondo, liberarsi di lei e farla arrestare con varie accuse di corruzione
legate al commercio del metano. Accuse, del resto, più che legittime e
assolutamente fondate.
L'enorme patrimonio di Akhmetov, pari alla metà del budget annuale
dell'Ukraina, costituisce una tale massa critica da consentirgli di essere
il dominus della scena politica di Kiev e Viktor Janukovi? e il suo Partito
delle Regioni, tradizionalmente considerato filo-russo, sono fino ad oggi
stati solo pedine del gioco politico ed economico di Akhmetov.
Julia Timošenko, che in passato ha duramente colpito gli interessi di
Akhmetov invalidando per presunte irregolarità la sua acquisizione del più
grande gruppo metallurgico ukraino, il Kryvoryzhtal, si è orientata su
posizioni filo-europee e si è cimentata nella poi abortita rivoluzione
arancione del 2004 soltanto per cercare di legittimarsi agli occhi
dell'Occidente e per guadagnare l'appoggio e l'alleanza di oligarchi delle
regioni occidentali del Paese nella sua lotta contro il rivale.
Akhmetov, nativo del bacino carbonifero orientale russofono del Donbass, ha
iniziato la sua scalata miliardaria impadronendosi del controllo delle
miniere di ferro e di carbone della regione, per poi garantirsi la
leadership del 'Clan di Donetsk', una potente associazione informale di
oligarchi dell'Ukraina orientale. E Janukovic, anch'egli nativo
dell'Oblast' di Donetsk, di cui è stato anche governatore, benché di sedici
anni più anziano di Akhmetov (che è nato nel 1966), è entrato negli ultimi
anni totalmente nella sua orbita, fino a rappresentare di fatto la
proiezione politica dei suoi interessi e delle sue strategie.
L'ondata di destabilizzazione recentemente scatenata nel Paese dalle ONG di
Soros con la regia degli Stati Uniti d'America ha pesantemente colpito i
rapporti di potere che si erano consolidati negli ultimi anni. L'Ukraina è
sempre stata nel mirino degli Stati Uniti, in funzione anti-russa, sia per
la sua posizione strategica e geo-politica che per il suo ruolo di crocevia
del passaggio dei maggiori oleodotti e gasdotti che collegano la Russia
all'Europa. E, guarda caso, le recenti destabilizzazioni e le rivolte che
ne sono seguite sono state intensificate proprio mentre la Russia era
intenta a celebrare i giochi olimpici invernali di So?i e non avrebbe
potuto decidere, anche per questioni di immagine, di intervenire
militarmente per salvaguardare i propri interessi in Ukraina.
Il quadro adesso è complesso. Anche se la Timošenko si è affrettata a
prostrarsi telefonicamente ad Angela Merkel, promettendo alla Germania
chissà quali futuri vantaggi economici, ed ha improvvisato sulla Piazza
Maidan di Kiev un patetico comizio che non ha scosso più di tanto gli animi
della folla, difficilmente conquisterà la leadership di un Paese spaccato
in due e sull'orlo di una guerra civile. Insistenti voci sostengono che
Akhmetov e i suoi oligarchi, così come lo stesso Janukovic, non si
considerano affatto fuori dai giochi per la futura gestione del potere e
alcuni indizi, come riporta Carlo Panella, farebbero pensare che si stiano
preparando ad arroccarsi nelle aree russofone del Paese per preparare una
secessione delle regioni orientali e della Crimea (fondamentale per la
flotta russa del Mar Nero).
Ma appare chiaro e scontato che niente avverrà senza l'autorizzazione di
Mosca. E Putin non starà certamente a guardare mentre gli interessi vitali
e strategici della Russia in Ukraina vengono ogni giorno sempre più messi a
rischio.
Appare ormai evidente però che Janukovic non sia più da tempo nelle grazie
del Cremlino e la sua difficile posizione si è ulteriormente degradata alla
luce della sua totale incapacità di gestire la situazione e per via di come
ha perso la faccia di fronte al suo popolo, fuggendo precipitosamente da
Kiev. È quindi sicuramente bruciato agli occhi di Mosca, e sicuramente lo
era già da tempo.
*«Nella residenza di Janukovi**c**, Mezhigorye, nei pressi di Kiev, stanno
facendo entrare chiunque: lui stesso è fuggito, come anche la guardia, il
personale di servizio si è disperso… Una fine ridicola per il Presidente»*,
ha scritto su Twitter Alexey Puškov, presidente del Comitato per gli Affari
Esteri della Duma. Come riporta *Il Fatto Quotidiano*, Puškov è stato
mandato da Putin, insieme ad altri parlamentari russi, alla riunione dei
deputati dell’Ucraina meridionale e orientale, che si svolgeva proprio a
Kharkov. Riunione alla quale Janukovic, pur trovandosi nella stessa città,
non si è presentato, a conferma dell’impressione sempre crescente che il
Cremlino lo abbia scaricato e non lo consideri più un suo potenziale
alleato. Del resto l’irritazione di Putin verso Janukovic non si legge solo
nel tweet di Puškov. Da quando la situazione a Kiev è sfuggita di mano alle
autorità il 19 Febbraio, la Russia non ha smesso di mandare all'oggi
destituito Presidente ucraino una serie di segnali per rimproverargli di
non essere riuscito a *«reprimere* *il dissenso e ristabilire l’ordine nel
Paese»*.
Il primo a dare il 'bacio della morte' al destituito leader ucraino è stato
il Premier russo Dmitri Medvedev, durante il Consiglio dei Ministri del 20
Febbraio. Medvedev infatti ha confermato il congelamento della seconda
tranche da due miliardi del prestito russo di 15 miliardi di Dollari.
Prestito che i manifestanti della piazza Maidan sono stati portati a vedere
come il prezzo al quale Janukovic avrebbe venduto il Paese alla Russia. *«È
necessario* *che i nostri partner siano in forma e che il potere ucraino
sia efficace e legittimo e non diventi uno zerbino»*, ha detto Medvedev
dettando le condizioni perché il portafoglio russo rimanga aperto per
tappare i buchi dell’economia ukraina. Con questa dichiarazione il Premier
russo ha sdoganato la sottile gogna mediatica dei media russi contro
l’ormai ex leader ukraino. E a Medvedev ha fatto immediatamente eco
Vladimir Žirinovski, leader del partito nazionalista LDPR, che ha
dichiarato: *«Yanukovi**c** non ha volontà politica, è un uomo smidollato,
uno zerbino»*, commentando sui canali televisivi pro-Putin la situazione
ukraina, proprio mentre veniva liberata Julia Timošenko.
Che il compito di scaricare Janukovic sia stato affidato proprio
all’eccentrico politico che notoriamente finge di fare opposizione in
chiave ultra-nazionalista alla Duma, non è un caso. Žirinovski viene spesso
usato dal Cremlino per lanciare dichiarazioni troppo estreme da poter
essere ufficializzate. Il giorno prima un altro segnale era arrivato da un
gruppo di artisti russi di origine ucraina vicini a Putin, che avevano
rivolto una lettera aperta a Janukovic, esortandolo a reprime la protesta
degli estremisti che hanno scatenato il caos in Ukraina. Infine, secondo
l’economista Andrei Illarionov, prima consigliere di Putin e ora
all’opposizione, a dirla tutta sul fatto che il Presidente russo abbia
lasciato al proprio destino Janukovic, è stata una telefonata tra il leader
del Cremlino e il Presidente americano Barack Obama. I due si sono sentiti
tra il 21 e 22 Febbraio per discutere la situazione in Ukraina.
Insolitamente l’ufficio stampa del Cremlino ha dato annuncio, nella note,
di questa telefonata. *«In questo* *modo Putin ha voluto smarcarsi
dall’attività distruttiva di Janukovi**c**»*, sostiene l’ex consigliere del
Presidente russo sul suo blog.
In ogni caso è impensabile che Putin, con il suo pragmatismo ed i suoi
trascorsi nel KGB, non abbia già predisposto un piano d'azione. Sono troppo
forti i suoi interessi in gioco e non può permettersi di perdere il
controllo dell'Ukraina a beneficio degli interessi americani. Sapremo
quindi nelle prossime settimane, se non già nei prossimi giorni, se questo
Paese, storicamente legato a Mosca da un altalenante rapporto di
odio-amore, si stabilizzerà, magari con l'aiuto di potenti oligarchi vicini
agli interessi del Cremlino, o se andrà incontro ad una guerra civile o ad
una secessione.
Una interessante inchiesta di Carlo Panella ci spiega lo scontro di poteri dietro le rivolte di Kiev, ma il quadro è molto più complesso e si concretizza il rischio di una guerra o di una secessione.
Capita decisamente di rado, sfogliando i quotidiani di regime, notoriamente l'uno la fotocopia dell'altro e di solito pieni di amenità e di solenni idiozie, di imbattersi in analisi di un certo rilievo. Analisi che, anche se magari non del tutto obiettive e veritiere, riescono a individuare il nodo di un problema e ad esporlo con chiarezza. Ebbene, su "Libero" di Domenica 23 Febbraio mi sono imbattuto finalmente in un articolo piuttosto serio sulla questione ukraina. Mi riferisco ad una valida inchiesta, a firma di Carlo Panella, intitolata "È una faida tra oligarchi. L'esito? Secessione o guerra".
Dopo gli innumerevoli articoli pieni di demagogia europeista e atlantista che ho dovuto sorbirmi negli ultimi giorni, scritti da giornalisti che probabilmente non hanno neanche un'idea di dove si trovi l'Ukraina sulla cartina geografica, e dopo aver assistito, su tutti i telegiornali, a nostrani commenti di giubilo per la liberazione della pluripregiudicata e spregiudicata Julia Timošenko, definita ingenuamente una 'paladina della libertà', vi spiego perché ho apprezzato l'articolo di Carlo Panella.
Innanzitutto perché, invece di dedicarsi, come hanno fatto altri colleghi, al presunto 'filo-europeismo' dei teppisti e degli hooligan che hanno nei giorni scorsi messo a ferro e fuoco il Paese, personaggi manovrati in realtà da un gruppo di ONG straniere facenti capo alla rete di Soros, ha puntato il dito sui reali retroscena di questa crisi che ha portato il parlamento ukraino a votare la destituzione del Presidente Viktor Janukovic con 328 voti su 447.
Panella è infatti stato l'unico ad aver sottolineato che, per comprendere gli avvenimenti di questi giorni, è indispensabile aver presente che, dopo la fine dell'Unione Sovietica, a Kiev è successo esattamente l'opposto di quello che è successo a Mosca. Nella Federazione Russa, infatti, dopo il caotico periodo della presidenza di Boris Ieltsin, che vide il dominio incontrastato degli oligarchi che in pochi anni si arricchirono a dismisura spartendosi come avvoltoi le industrie di Stato e le risorse energetiche,
Vladimir Putin, usando se necessario il pugno di ferro, riuscì a ripristinare l'assoluto predominio della politica sul potere degli oligarchi, arrivando ad arrestarne molti e a togliere alla maggior parte di essi il controllo sull'industria petrolifera e del gas. E solo in questo modo la Russia ha potuto risollevarsi e riconquistare il suo ruolo di grande potenza sullo scenario mondiale.
L'Ukraina, invece, ottenuta l'indipendenza, è passata sotto il controllo diretto dei suoi ex boiardi di Stato, che hanno prontamente messo le mani su tutti gli apparati industriali dell'era sovietica. Quello dell'Ukraina non è stato però un caso isolato, e questo Panella non lo dice. Una situazione simile è avvenuta in quasi tutte le ex repubbliche sovietiche, in particolare in Kazakistan e nelle altre repubbliche dell'Asia Centrale.
Ma è in Ukraina, effettivamente, che questo fenomeno ha toccato decisamente il picco massimo. Qui, infatti, una cinquantina di potentissimi oligarchi si è spartita tutte le risorse del Paese, detenendo oggi un patrimonio complessivo di 120 miliardi di Dollari, vale a dire il doppio del bilancio annuale dello Stato. Personaggi come Rinat Akhmetov, con 31 miliardi, Viktor Pinchulk, con 8,8 miliardi, Igor Kolomojskij, con 6,6 miliardi, Gennadij Bogoljubov, con 6,2 miliardi, e molti altri, controllano dal 1991 lo Stato e la sua economia. E i partiti politici ukraini non sono altro che la proiezione di questi oligarchi multimiliardari, e i politici veri e propri burattini nelle loro mani.
La tanto osannata Julia Timošenko è una di loro, è sempre stata una di loro, un membro di questo potentissimo club, anche se i giornali occidentali solitamente questo non lo dicono. Con la sua Compagnia Generale di Energia, che tra l'altro commerciava in metano con la Russia, e grazie ad un'alleanza con Konstantin Zhevago (con un patrimonio dichiarato di 5,5 miliardi di Dollari), ha accumulato un enorme patrimonio personale, tanto da essere annoverata da "Forbes" nel 2005 come la terza donna più potente del mondo. Il suo partito, Patria, e la sua ascesa politica sono indissolubilmente legati al suo impero economico, per consolidare il quale (e probabilmente per tentare di espanderlo ai danni di altri oligarchi) non esitò a cavalcare la 'rivoluzione arancione' orchestrata alcuni anni fa dagli Stati Uniti e dalle ONG del circuito di Soros. quelle stesse ONG, veri e propri centri di spionaggio e di destabilizzazione, che Putin ha prontamente espulso dal territorio russo.
Ma questi legami sono stati anche all'origine della caduta in disgrazia della Timošenko. Nel 2010, infatti, ha perso per un soffio le elezioni presidenziali contro Viktor Janukovic, ed è stato allora facile per il suo più acerrimo avversario, il grande e potente oligarca Rinat Leonidovi? Akhmetov, attuale presidente della SCM Holdings e della società di calcio Šachtar Donec'k nonché uomo più ricco del Paese e il 39° uomo più ricco del mondo, liberarsi di lei e farla arrestare con varie accuse di corruzione legate al commercio del metano. Accuse, del resto, più che legittime e assolutamente fondate.
L'enorme patrimonio di Akhmetov, pari alla metà del budget annuale dell'Ukraina, costituisce una tale massa critica da consentirgli di essere il dominus della scena politica di Kiev e Viktor Janukovic e il suo Partito delle Regioni, tradizionalmente considerato filo-russo, sono fino ad oggi stati solo pedine del gioco politico ed economico di Akhmetov.
Julia Timošenko, che in passato ha duramente colpito gli interessi di Akhmetov invalidando per presunte irregolarità la sua acquisizione del più grande gruppo metallurgico ukraino, il Kryvoryzhtal, si è orientata su posizioni filo-europee e si è cimentata nella poi abortita rivoluzione arancione del 2004 soltanto per cercare di legittimarsi agli occhi dell'Occidente e per guadagnare l'appoggio e l'alleanza di oligarchi delle regioni occidentali del Paese nella sua lotta contro il rivale.
Akhmetov, nativo del bacino carbonifero orientale russofono del Donbass, ha iniziato la sua scalata miliardaria impadronendosi del controllo delle miniere di ferro e di carbone della regione, per poi garantirsi la leadership del 'Clan di Donetsk', una potente associazione informale di oligarchi dell'Ukraina orientale. E Janukovic, anch'egli nativo dell'Oblast' di Donetsk, di cui è stato anche governatore, benché di sedici anni più anziano di Akhmetov (che è nato nel 1966), è entrato negli ultimi anni totalmente nella sua orbita, fino a rappresentare di fatto la proiezione politica dei suoi interessi e delle sue strategie.
L'ondata di destabilizzazione recentemente scatenata nel Paese dalle ONG di Soros con la regia degli Stati Uniti d'America ha pesantemente colpito i rapporti di potere che si erano consolidati negli ultimi anni. L'Ukraina è sempre stata nel mirino degli Stati Uniti, in funzione anti-russa, sia per la sua posizione strategica e geo-politica che per il suo ruolo di crocevia del passaggio dei maggiori oleodotti e gasdotti che collegano la Russia all'Europa occidentale. E, guarda caso, le recenti destabilizzazioni e le rivolte che ne sono seguite sono state intensificate proprio mentre la Russia era intenta a celebrare i giochi olimpici invernali di Sochi e non avrebbe potuto decidere, anche per questioni di immagine, di intervenire militarmente per salvaguardare i propri interessi in Ukraina.
Il quadro adesso è complesso. Anche se la Timošenko si è affrettata a prostrarsi telefonicamente ad Angela Merkel, promettendo alla Germania chissà quali futuri vantaggi economici, ed ha improvvisato sulla Piazza Maidan di Kiev un patetico comizio che non ha scosso più di tanto gli animi della folla, difficilmente conquisterà la leadership di un Paese spaccato in due e sull'orlo di una guerra civile. Insistenti voci sostengono che Akhmetov e i suoi oligarchi, così come lo stesso Janukovic, non si considerano affatto fuori dai giochi per la futura gestione del potere e alcuni indizi, come riporta Carlo Panella, farebbero pensare che si stiano preparando ad arroccarsi nelle aree russofone del Paese per preparare una secessione delle regioni orientali e della Crimea (fondamentale per la flotta russa del Mar Nero).
Ma appare chiaro e scontato che niente avverrà senza l'autorizzazione di Mosca. E Putin non starà certamente a guardare mentre gli interessi vitali e strategici della Russia in Ukraina vengono ogni giorno sempre più messi a rischio.
Appare ormai evidente però che Janukovic non sia più da tempo nelle grazie del Cremlino e la sua difficile posizione si è ulteriormente degradata alla luce della sua totale incapacità di gestire la situazione e per via di come ha perso la faccia di fronte al suo popolo, fuggendo precipitosamente da Kiev. È quindi sicuramente bruciato agli occhi di Mosca, e sicuramente lo era già da tempo.
"Nella residenza di Janukovic, Mezhigorye, nei pressi di Kiev, stanno facendo entrare chiunque: lui stesso è fuggito, come anche la guardia, il personale di servizio si è disperso… Una fine ridicola per il Presidente", ha scritto su Twitter Alexey Puškov, presidente del Comitato per gli Affari Esteri della Duma. Puškov era stato mandato da Putin, insieme ad altri parlamentari russi, alla riunione dei deputati dell’Ucraina meridionale e orientale, che si svolgeva proprio a Kharkov. Riunione alla quale Janukovic, pur trovandosi nella stessa città, non si è presentato, a conferma dell’impressione sempre crescente che il Cremlino lo abbia scaricato e non lo consideri più un suo potenziale alleato. Del resto l’irritazione di Putin verso Janukovic non si legge solo nel tweet di Puškov. Da quando la situazione a Kiev è sfuggita di mano alle autorità il 19 Febbraio, la Russia non ha smesso di mandare all'oggi destituito Presidente ucraino una serie di segnali per rimproverargli di non essere riuscito a "reprimere il dissenso e ristabilire l’ordine nel Paese".
Il primo a dare il 'bacio della morte al destituito leader ucraino è stato il premier russo Dmitri Medvedev, durante il Consiglio dei Ministri del 20 febbraio. Medvedev infatti ha confermato il congelamento della seconda tranche da due miliardi del prestito russo di 15 miliardi di dollari.
Prestito che i manifestanti della piazza Maidan sono stati portati a vedere come il prezzo al quale Janukovic avrebbe venduto il Paese alla Russia. *«È necessario* *che i nostri partner siano in forma e che il potere ucraino sia efficace e legittimo e non diventi uno zerbino»*, ha detto Medvedev dettando le condizioni perché il portafoglio russo rimanga aperto per tappare i buchi dell’economia ukraina. Con questa dichiarazione il Premier russo ha sdoganato la sottile gogna mediatica dei media russi contro l’ormai ex leader ukraino. E a Medvedev ha fatto immediatamente eco Vladimir Žirinovski, leader del partito nazionalista LDPR, che ha dichiarato: *«Yanukovic non ha volontà politica, è un uomo smidollato, uno zerbino»*, commentando sui canali televisivi pro-Putin la situazione ukraina, proprio mentre veniva liberata Julia Timošenko.
Che il compito di scaricare Janukovic sia stato affidato proprio all’eccentrico politico che notoriamente finge di fare opposizione in chiave ultra-nazionalista alla Duma, non è un caso. Žirinovski viene spesso usato dal Cremlino per lanciare dichiarazioni troppo estreme da poter essere ufficializzate. Il giorno prima un altro segnale era arrivato da un gruppo di artisti russi di origine ucraina vicini a Putin, che avevano rivolto una lettera aperta a Janukovic, esortandolo a reprime la protesta degli estremisti che hanno scatenato il caos in Ukraina. Infine, secondo l’economista Andrei Illarionov, prima consigliere di Putin e ora all’opposizione, a dirla tutta sul fatto che il Presidente russo abbia lasciato al proprio destino Janukovic, è stata una telefonata tra il leader del Cremlino e il Presidente americano Barack Obama. I due si sono sentiti tra il 21 e 22 Febbraio per discutere la situazione in Ukraina.
Insolitamente l’ufficio stampa del Cremlino ha dato annuncio, nella note, di questa telefonata. "In questo modo Putin ha voluto smarcarsi dall’attività distruttiva di Janukovic", sostiene l’ex consigliere del Presidente russo sul suo blog.
In ogni caso è impensabile che Putin, con il suo pragmatismo ed i suoi trascorsi nel KGB, non abbia già predisposto un piano d'azione. Sono troppo forti i suoi interessi in gioco e non può permettersi di perdere il controllo dell'Ukraina a beneficio degli interessi americani. Sapremo quindi nelle prossime settimane, se non già nei prossimi giorni, se questo Paese, storicamente legato a Mosca da un altalenante rapporto di odio-amore, si stabilizzerà, magari con l'aiuto di potenti oligarchi vicini agli interessi del Cremlino, o se andrà incontro ad una guerra civile o ad una secessione.