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Contro l’élite rivoluzionaria, la logica della dissidenza

di Lorenzo Vitelli - 16/03/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Alle masse hanno tolto la taverna e il bar, il cenacolo, lo spirito di riunione e di comunione, a cui sono subentrati il lounge bar, il disco-pub, il night, la discoteca, luoghi che impossibilitano la conversazione. Le élite hanno il club, il circolo ristretto, ambienti di dialogo inaccessibili al pubblico ai quali si è ammessi per il solo merito della ricchezza. Le masse hanno così perso il loro carattere rivoluzionario.

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Nessuno dei presenti è più in grado di ricordare tempi rivoluzionari, rivolte di schiavi, sommosse di popoli o prese della Bastiglia. Il nostro è il tempo delle manifestazioni, degli scioperi della fame, dei cortei, dei movimenti e delle piccole associazioni. Allo stesso Grillo vanno i meriti di aver inserito determinati concetti nel dibattito politico e di aver fatto luce sulle vicende parlamentari, ma non possiamo certo parlare di un rivoluzionario.

Le masse, di fatto, non sono più portatrici di valori rivoluzionari, e ad aver intuito lucidamente il passaggio del testimone da queste ad una ristretta cerchia di persone è stato Christopher Lasch in La ribellione delle elite. Alle masse hanno tolto la taverna e il bar, il cenacolo, lo spirito di riunione e di comunione, a cui sono subentrati il lounge bar, il disco-pub, il night, la discoteca, luoghi che impossibilitano la conversazione. Le élite hanno il club, il circolo ristretto, ambienti di dialogo inaccessibili al pubblico ai quali si è ammessi per il solo merito della ricchezza.

Eppure, anche senza rivoluzioni apparenti, la nostra è una società che si evolve in nome del progresso. Ma come sottintende il termine evoluzione, questa si compie, darwinianamente, con mutamenti lievi, lenti e costanti. Le élite, dunque, che non possiamo dire, secondo quello che è il concetto classico di rivoluzione, essere rivoluzionarie, sono quantomeno sovversive. Per smarcarci immediatamente da un becero complottismo è necessario comprendere che questa élite non è cospiratrice, ma è portatrice di una ben precisata visione del mondo. E’ a questa che va il merito del tanto agognato “progresso”, della reductio ad unum dell’esistente, inquadrato nella realtà dialettica del solo produrre e consumare, o ancora nella destrutturazione generalizzata di tutti quei valori che si vogliono e si possono esprimere fuori dal Mercato, tempio del post-moderno. Così è stata l’élite che con il fast-food ha tolto alla cena la sua aura rituale, al corpo, tramite l’esasperazione isterica della moda, il suo senso sacrale, all’uomo la sua dignità di lavoratore per divenire “capitale umano”.

E’ un’élite, un nuovo clero di intellettuali ed opinionisti, che ogni giorno mercifica nella scatola televisiva il corpo della donna, nei reality le vite della gente comune, è nelle pubblicità che si pervertono i nostri parametri di interpretazione del reale. E’ l’élite ad aver procreato nel corso del tempo una nuova Weltanschauung eversiva, improntata sull’antropologia hobbesiana, per cui l’uomo deve sopraffare l’uomo per garantire i propri interessi, e ad averla estesa a tutte le forme dell’esistente. Il mito del progresso liberale è quindi un’ideologia post-rivoluzionaria, ma sempre dirompente, desacralizzante, annichilente. Si può ancora essere rivoluzionari, contro un’ideologia rivoluzionaria?

L’odierno assetto sociale prevede sempre meno la possibilità di un tale comportamento, se pensiamo soprattutto che le rivoluzioni hanno spesso avuto un carattere militare con il quale non abbiamo più dimestichezza. A questo proposito può sopraggiungere un’efficace logica di dissidenza, ovvero di comprensione delle dinamiche e delle contraddizioni del reale, a cui deve seguire la disobbedienza organizzata e ragionata all’ordine precostituito e all’ideologia dominante, attraverso la creazione di realtà altre e dialogiche, integralmente accessibili, in cui possa strutturarsi un pensiero alternativo. La dissidenza è l’ultima forma di rivoluzione accettabile se si esprime come comprensione, negazione, e azione trasformatrice.