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Elogio dell'anarchia

di Luca Leonello Rimbotti - 26/03/2014

Fonte: centroitalicum

 

Di fronte allo sfaldamento di ogni pensiero oppositivo alla presente crisi dei valori su scala mondiale, le dottrine devono lasciare il posto all’istinto. Non rimane che questo a quanti volessero disegnare alcune forme in grado di dare significato intenso alla vita. Esempi, messi a specchio per chi volesse un giorno guardare al di là di se stesso. Davanti al disordine distruttivo si può anche pensare di disporre di un disordine costruttivo. Utilizzare il male per ottenere il bene è un antico proponimento dei mistici e Nietzsche ci insegnò a maneggiare il nichilismo perverso per farne un alimento essenziale dell’individuo padrone di sé. Attraverso il caos in cui la post-modernità sta gettando le culture e le identità, è forse possibile raggiungere quel luogo della riservatezza, quel bosco della selvatichezza, che solo è in grado di trattenere l’atavico, preservandolo. Se ci fossero razze primordiali ancora aggirantesi nei deserti della società tecnocratica, saprebbero ben difendersi raccogliendosi come fa il branco dinanzi alla minaccia del predatore. Oggi tutt’al più potremmo avere singoli esemplari di tali razze, scossi e dispersi campioni di specie semi-estinte, che a malapena comunicando tra di loro si lanciano parole d’ordine scarne, brandelli di mito, sembianze di simbolo, frammenti di immagini con cui saziare una fame d’avventura e una voglia di futuro che nella sofferenza e nella nostalgia (il “dolore per il mancato ritorno”) stanno logorando l’animo anche dei più tenaci.

Lo scompaginamento delle comunità, lo sfibramento del coesistere, sotto la pressione dell’individualismo e della solitudine di massa, possono tuttavia produrre reazioni, movimenti di segno avverso, tali da incanalare individui ribelli e non sedati lungo le vie dell’insurrezione interiore, quella che classicamente precede la rivolta storica e la rivoluzione vera e propria. Animi, insomma, che si preparino ad un disciplinamento severo e con costanza monacale coltivino gli anticorpi necessari al sopravvivere, e che dal veleno di un quotidiano che ammala lo spirito traggano il farmaco che rafforza e rinvigorisce. L’osservazione del travaglio quotidiano in cui si dibatte chiunque non si dia per vinto, in realtà nutre l’occulta volontà di rivolta che giace riposta nei meandri dell’essere. E non importa rievocare l’Anarca jüngeriano: costui è in verità l’astratto, l’uomo che giunge estraneo alla vita di oggi, sulla quale giudica dominare il massificato spirito della schiavitù. L’Anarca non è un oppositore, ma un estraneo alla società in cui vive e veglia. Si anima sovrana in lui la dimensione dell’estraneità e della rimozione: «L’anarca è colui che “ha bandito da se stesso la società”; potenza “neutrale” di fronte al Potere […] non è nemico  di nessuno, perché qualsiasi presa di posizione gli è estranea». Questo posizionamento va oltre la stessa impoliticità di schieramento; la dissociazione dal contesto della storia e della società si rende completa, e la missione diventa ascetismo e intimismo, dilatati a scelta definitiva di vita. Jünger ha proposto un modello di fuga dalla vita sociale e di coltivazione sovrana dell’Io in cui la rivolta rimane sullo sfondo, un minaccioso fondale inespresso.

Partendo da queste figurazioni dell’anima, tuttavia, il cuore grande che giudica il piegarsi e il reclinare come fossero annunci di morte, sa fare di più e di meglio: si possono edificare caratteri e plasmare buoni basamenti di inattaccabilità attraverso la negazione anarchica del presente e la devota certezza organica del futuro. “Anarchia”, del resto, è parola imprecisa: vorrebbe dire assenza di padrone, l’arconte che è fuori di noi e governa le menti indirizzandole alla distruzione; ma anche presenza speculare di un Io padrone assoluto degli eventi interiori, quel signore del bene e del male che tiene viva una natura, che protegge la vita assicurandole un destino. Così interpretò l’anarchia Max Stirner, a un passo da Nietzsche e dal volontarismo faustiano. Venature distruttive devono accompagnare chiunque riconosca nella società contemporanea il nemico unico dell’uomo. Convinzioni anarchiche di rovesciamento: il mondo contemporaneo non è possibile combatterlo dall’interno, se non allevando nel proprio cuore la forma, lo stampo irripetibile, di quell’attrezzo che un giorno dovrà annientarlo, la volontà umana. La decisione protetta e vezzeggiata, allevata nelle penombre della mente così come si alleva un molosso governato solo da istinti.

In questo senso, essere anarchici oggi può significare essenzialmente essere desti. Sono i desti che svegliano i dormienti, ridestandoli. E sono i desti che scorgono, come diceva Oriani, le prime luci baluginanti dell’alba anche nel pieno della tenebra notturna. E infine essere desti oggi significa soprattutto essere contro. Il nichilismo anarchico intende prima di ogni altra cosa distruggere. La tirannia oligarchica al potere già lavora per l’autodistruzione, poiché annienta tutti i retaggi del passato e abolisce ogni disegno per il futuro, avviandosi alle ultime propaggini del nichilismo, dopo le quali c’è la conflagrazione. Ma bisogna assecondare questa inclinazione alla follìa autodistruttiva, spingerla fino al parossismo con tutti i mezzi e in tutte le direzioni e ovunque sia possibile. Bisogna dare una mano alla malattia mortale che avvolge il progressismo. Bisogna aiutarlo a morire facendo così opera anarchica di eutanasia. Qui non si tratta di metafisiche o di trascendenze. Si tratta della sopravvivenza e poi della capacità di rinascita di un modo di convivenza fra simili fondato sull’appartenenza che è unico per definizione. Stirner chiamò “Unico” quell’uomo che sapesse fare a meno dei condizionamenti sociali per edificare dentro di sé una fortezza inattaccabile. Poiché “unico” è ogni individuo così come “unici” sono ogni civiltà, ogni cultura, ogni popolo. L’individuo-uomo e l’individuo-popolo sono della stessa sostanza, ed insieme si nutrono della medesima capacità di tendere all’assoluto. Se in potenza e muto da qualche parte esiste questo individuo assoluto – quell’uomo o quel popolo in cui con Evola possiamo vedere il protagonista della rivolta contro il mondo moderno – esiste anche la matrice da cui proviene: questa matrice non può che essere l’istinto: di vita, di sopravvivenza, di egoica affermazione, di volontà.

Ormai è da più di un secolo che filosofi, visionari, poeti, letterati e politici si arrovellano nel tentativo di pronosticare la fine del ciclo storico nichilista. Al contrario di tutti costoro, l’anarchico non formula prognosi, crea un’etica. L’anarchico non si aspetta nulla dalle combinazioni politiche, dagli eventi esterni, dal caso. L’anarchico concepisce la lotta come suo statuto interiore, come la sua natura. Egli è davvero indifferente a ciò che gli succede d’intorno, è impermeabile ad ogni sorta di pressione e mentre la corrente trascina valanghe di uomini-massa sbattendoli fino a renderli poltiglia, l’anarchico ha nella propria immobilità imperturbata il segreto del suo sopravvivere alla sciagura. Le varie figure che gli intellettuali del Novecento, sulla scorta dell’Unico di Stirner, hanno creato per dar conto di un simile tipo stoico di uomo sono note: Arbeiter, Anarca, Autarca, oppure l’Autista di Keyserling, con cui si definiva il protagonista della tecnica moderna. Oggi questi “tipi” ci appaiono sbiaditi, fuoriusciti come sono da pagine irreali. A quel tempo poteva ancora essere immaginata una reazione, e uomini e persino popoli reattivi ancora ce n’erano. Oggi non è più tempo di figure letterarie o ideologiche. Oggi non esiste più da nessuna parte una volontà oppositiva. Nessuno più indica un progetto di rovesciamento. E la cura anarchica della ribellione è diventata una colpa, un crimine, una diversità insostenibile per i deboli e i semplici.    

Qui si entra nel dominio dell’eroismo tragico. Alle parole e alle proclamazioni è giunto il tempo di far seguire alcuni fatti concreti. L’anarchismo filosofico non è un mero super-individualismo. Esiste anche – e lo stesso Stirner ne parlò – una comunità degli Unici. Nel senso che, al di sotto della cappa universale della mistificazione mondialista, c’è una comunità di indeformabili, quasi fossero gli Indomabili di Marinetti, aggiogati alla catena di una animalesca schiavitù, ma al tempo stesso capaci di grande memoria e grandissima capacità di tenuta. Sono la memoria del futuro e la forza di volontà che fanno ignorare la tragicità del presente. Con la sofferenza patita nella brutalità quotidiana si viene a forgiare una specie di scorza antropologica, che è tale da preservare ogni capacità d’azione nel momento della svolta. E che la svolta si approssimi, che sia più vicina di quanto non possa sembrare, ecco, questo è l’unico dogma che l’istinto anarchico produce. Il fatto concreto in cui crede l’anarchico della contemporaneità è il legame, tutto da costruire, fra le energie latenti che ancora giacciono inerti. Un legame di idee, uomini e progetti. Questa società di sovversivi è un programma di potenza e di potere. Poiché anarchismo significa “potere” nel significato etimologico del termine. L’Unico può tutto ciò che vuole. La sua volontà di ricostruzione dell’ordine passa inevitabilmente attraverso la demolizione del dis-ordine. E attraverso la protezione della propria preziosa diversità Se esistesse un catechismo dell’anarchico, bisognerebbe che al punto primo indicasse che l’indipendenza di giudizio e la libertà mentale che formano le categorie del nichilismo attivo, fondato sulla determinazione di distruggere i distruttori, è un punto d’arrivo, una qualità. «Qui sarà bene ricordare – scrisse Jünger in Al muro del tempo – che la sovranità spirituale ha costituito sempre una eccezione. Essere indipendenti dalle pressioni politiche e sociali delle masse, dai loro luoghi comuni e dalle loro parole d’ordine, dalle loro rivoluzioni e dalle loro reazioni, essere indipendenti di fronte agli dèi e alla scienza di una data epoca – tutto ciò è stato sempre cosa rara, ed oggi forse lo è più che mai».

Oggi infatti tutto è più urgente, veloce, necessario. Tutto è più pericoloso e spinto fino al limite. In passato, c’è stato chi, venendo da posizioni anarchiche, è diventato bolscevico o fascista, grande intellettuale o militante squadrista. L’anarchia non è l’individualismo estremo del liberale asociale ed egoista. L’anarchismo dovrebbe poter sostituire l’assenza del potere esterno dentro di sé con la presenza di un potere mille volte più potente. L’anarchico vero è colui che ha già nascosto nella propria mente e nel proprio carattere il potere di domani, quello che scaturirà come una forza tellurica dalle eruzioni geologiche che porranno fine al nichilismo.