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Del guanxi o del perché i cinesi ci faranno (giustamente) a pezzetti

di Gian Maria Bavestrello - 29/03/2014

Fonte: Heimat


La notizia è dei giorni scorsi e solo in apparenza ha un’aura locale: il Gran Caffè Rapallo, uno dei più celebri locali sul lungomare della località rivierasca, è finito nelle mani di imprenditori cinesi e riaprirà sì come bar, ma del tipo Sushi. Oltre che come ristorante e pizzeria.

La notizia non è eminentemente locale, dicevamo, per almeno due ragioni: la prima è che il Gran Caffè Rapallo è un locale storico che nei primi decenni del novecento fu bazzicato da personalità culturali di livello internazionale: Gerhart Hauptmann, W.B. Yeats, Emil Ludwig, Jacob Wassermann, Oskar Kokoschka, Gerhart Munch, Max Beerbohm, Sem Benelli, Salvator Gotta, Thomass Mann, Franz Werfe, Ezra Pound, Eugenio Montale, Ernest Hemingway. La seconda è che questo non è il primo né sarà l’ultimo caso in cui imprenditori cinesi travalicano i confini della ristorazione etnica e dei bazar per investire nei simboli di un’italianità ormai allo sbando.

A poco serve recriminare, il modello “capitalista” degli emigrati cinesi all’estero ha punti di forza che il modello “capitalista” italiano non ha (o non ha più).Punti di forza invero non capitalisti, come il guanxi. Punti di forza che gli italiani stessi farebbero bene a studiare e a replicare, piuttosto che a criticare o giudicare.

Molti si chiederanno, immaginando chissà quali verità, dove i cinesi trovano i soldi per investimenti ormai inaccessibili a piccoli e medi imprenditori italiani.  Ebbene, i cinesi non hanno banche, sono comunità. La differenza è tutta qui, nel concetto di guanxi, nella comunità che offre a chi ne fa parte il supporto per poter prosperare. Lo spiega molto bene Loretta Napoleoni in Maonomics:

“Le relazioni che uniscono ogni singolo cinese sono a prova di fallimento perché si basano su mutui e prestiti accordati da conoscenti a conoscenti, i quali non ci pensano neppure a non restituirli. Il guanxi funziona come una banca sociale, dove non esiste il tasso d’interesse ma la fiducia, xinyang”.

Il modello del guanxi funziona come una banca senza ipoteche e senza tassi d’interesse. Una “banca” non ufficiale, diffusa, costruita intorno al membro della comunità. E in questo caso non si tratta solo di uno spot pubblicitario. Quanti italiani presterebbero denaro a un altro italiano sulla base della semplice parola d’onore e con l’unico vantaggio di poter essere aiutati a propria volta, in futuro?

La lezione che ci proviene dal guanxi è che il capitalismo funziona se poggia le proprie basi su una società in cui i rapporti fra i membri non sono “capitalistici” ma mutualistici e comunitari. Funziona se tra le persone nelle cui mani circola il denaro vige un rapporto di fiducia e l’idea, anti-individualista, che la nostra felicità non sia separabile da quella degli altri membri della comunità. La banca che nega il prestito a un imprenditore italiano (o a un aspirante imprenditore italiano) per timore d’insolvenza, castra la fiducia pubblica e le energie creative: per adottare una metafora taoista, impedisce al “qi” di circolare all’interno dell’organismo sociale, esponendolo a squilibri letali e a un pericolosissimo effetto domino.

E’ questo lo snodo decisivo che spiega l’espansione del capitale cinese a danno di quello autoctono: la centralità del fattore umano e interpersonale a discapito di quello eminentemente creditizio, impersonale e mercantile. Il modello capitalista occidentale, basato sull’interesse monetario e su una visione dell’uomo come atomo sociale e come anonimo portatore di questo particolare interesse, crolla miseramente di fronte alla forza d’urto di quello comunitario e confuciano, in cui il denaro è funzione di una trama relazionale più vasta, sottile e onnicomprensiva a cui la persona appartiene naturalmente e che comporta non solo onori, ma anche e soprattutto oneri. Yin e Yang.

Chiaro, no?