Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Mercato internazionale

Mercato internazionale

di Federica Forte - 06/04/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Ad un certo punto, tutti i consumatori, da qualsiasi angolo del pianeta provengano, vogliono le stesse cose, acquistano gli stessi prodotti.

bambino

Più forti, più conosciute, più proficue. Se la crisi sembra non sfiorarle, il motivo c’è: le multinazionali hanno a disposizione un ‘ingente quantità di denaro che non deriva semplicemente dai profitti, perché controllate dalle medesime società strumentalizzanti il sistema monetario. Queste dettano le mode, influenzano i gusti, controllano il mercato stabilendo quali prodotti debbano trovarsi in circolazione e quali no. Il risultato non è solo un appiattimento a livello globale dei gusti, una limitazione forte della volontà e della libertà di scelta, ma in definitiva la compressione del mercato globale

Agenzie di marketing e comunicazione, media fanno bene il loro sporco lavoro nel farci credere che stiano facendo solo il loro mestiere e null’altro. Del resto, un vecchio detto recita: “La pubblicità è l’anima del commercio”. E non potrebbe essere altrimenti. Senza la pubblicità i consumatori non potrebbero venire a conoscenza delle migliaia di offerte presenti sul mercato. Che poi i mezzi impiegati per sponsorizzare beni e servizi vadano ben oltre i confini dell’etica e della morale è cosa nota, ma poco se ne discute. Tutto viene giustificato dal fatto che la globalizzazione, a livello mondiale, ha determinato una concorrenza spietata. Allo stesso tempo l’industrializzazione dei Paesi emergenti, la stagnazione della domanda interna, la crisi economica, hanno determinato serie difficoltà per le imprese nel posizionamento dei prodotti. Se sul mercato possediamo prodotti sempre più simili ( e una differenziazione è sempre più difficile), le imprese  devono puntare sulla pubblicità per promuovere il proprio marchio.

Le imprese poi si trovano a fare i conti con un consumatore sempre più spietato, quello che la letteratura di marketing definisce un vero e proprio killer. Lui, e solo lui, decreta il successo e il fallimento di un’impresa. Se i prodotti che offre non sono di suo gradimento, li scarta. Se lo deludono, fa una cattiva pubblicità. Per questo le imprese devono incentrare la strategia aziendale intorno alla soddisfazione del cliente.  Al centro del mercato c’è dunque lui, il consumatore, un essere razionale e irrazionale al tempo stesso, mosso da istinti del momento, passioni, emozioni subitanee ma anche profondamente consapevole della propria forza e alla ricerca della massimizzazione della sua utilità.

Dunque da un lato vi sono le imprese, che si fanno la guerra per accaparrarsi la domanda puntando sulla soddisfazione dei clienti (anche) attraverso l’innovazione di prodotto, dall’altro ci sono i consumatori, che hanno a disposizione un ventaglio inimmaginabile di possibili alternative di prodotti tra cui scegliere. 

Se il mercato fosse realmente così, non avrebbe poi troppi problemi a funzionare. In fondo, in un mondo tanto vasto con individui differenti per gusti, disponibilità economica, inclinazioni, ci sarebbe posto un po’ per tutti. Sul mercato potrebbe generare profitto tanto una piccola azienda produttrice di calzature quanto la multinazionale che impiega manodopera thailandese.

 La realtà, però, si discosta molto da quella ottimisticamente dipinta da insigni economisti.

 Il mercato, così come lo conosciamo, non è semplicemente un mercato globale. Che le imprese vendano i propri prodotti al di fuori della realtà nazionale, è cosa buona e giusta. Il commercio, del resto, ha origini risalenti e nessuno potrebbe mai metterne in dubbio gli aspetti positivi. Già Stuart Mill parlando del commercio internazionale scriveva: “ Non è esagerato affermare che la grande estensione e il rapido incremento del commercio internazionale siano il fattore del progresso ininterrotto delle idee, delle istituzione e delle caratteristiche della stirpe umana”.

Il problema si pone, semmai, nel momento in cui ci si accorge che è un mercato multinazionale, non nel senso di “multi-nazioni”, ma perché interamente controllato dalle multinazionali.

Queste dettano le mode, influenzano i gusti, controllano il mercato stabilendo quali prodotti debbano trovarsi in circolazione e quali no. Prendiamo ad esempio il mondo della moda, che ci offre uno degli esempi più significativi. L’abbigliamento, in qualsiasi epoca, non ha mai svolto esclusivamente la funzione di coprire le nude carni, ma è sempre stato un modo per esprimere se stessi, riflettendo al contempo il proprio sistema di valori. Prova ne è che i conflitti generazionali sono sempre stati sottolineati da diverse scelte nei capi di abbigliamento, a dimostrazione che diversi processi di apprendimento determinano scelte diverse nel modo di vestire.

Il consumatore, che viene definito il re del mercato, non ha affatto libertà di scelta in materia di abbigliamento. E’ libero di scegliere sì, ma tra un ventaglio di proposte accuratamente selezionate dalle multinazionali. Certo, le imprese fanno credere al consumatore il contrario. Ma, concretamente, una volta che il consumatore si reca presso un qualsiasi negozio di abbigliamento, si trova davanti a una serie di articoli tra i quali può scegliere, ma la scelta è limitata. Perché è stata già effettuata da altri, prima di lui. Se l’individuo x volesse un paio di pantaloni con disegnato, ad esempio, un papavero gigante faticherebbe a trovarlo. Perché quest’anno va di moda la stampa animalier. La sua libertà di scelta, dunque, si limita esclusivamente alla taglia e al modello del pantalone, ma non alla stampa. Forse, l’anno prossimo sarà più fortunato, e andranno di moda i papaveri stampati.

L’esempio è forse banale, ma è quanto accade per qualsiasi acquisto che interessi la nostra esistenza. Al supermercato, ci sembra di avere davanti a noi una scelta molto vasta di prodotti e e chissà, ci riteniamo fortunati a vivere in questa epoca di abbondanza in cui la facoltà di scelta sembra non trovare impedimenti. Ma a ben guardare, se andiamo ad analizzare nel dettaglio i prodotti presenti sugli scaffali, almeno un buon 50% è costituito da prodotti di marchi noti- di multinazionali e dalle cosiddette line- extensions. Un altro 20% è costituito da marchi meno noti a livello mondiale, ma molto conosciuti a livello nazionale, che pure hanno stretto partnership o altri accordi con grandi multinazionali. Ciò che resta sono i prodotti non-branded, senza marchio o di marchi “non famosi” che, nella maggior parte dei casi, sono prodotti dalle stesse multinazionali e poi distribuiti come tali. 

Tutto ha avuto origine con la deregulation, che ha fatto dono alle multinazionali dell’immortalità. Una multinazionale non corre il rischio di fallire, non perché rispetto ad una piccola impresa ha più risorse finanziarie, ma perché loro-le multinazionali- di fatto controllano la moneta. Si avvantaggiano dell’esistenza di valute differenti ed operano in mercati di diversa nazionalità per sfruttare le congiunture monetarie. 

Ma non è l’unico motivo. Le multinazionali hanno a disposizione un’ingente quantità di denaro che non deriva semplicemente dai profitti. Di fatto, esse sono controllate dalle stesse società strumentalizzanti il sistema monetario e quindi avendo a disposizione tutto il denaro che vogliono. Ed è questo il vero motivo per cui nei loro confronti non è possibile alcun tentativo concorrenziale da parte delle normali imprese commerciali. E questo è anche il motivo per cui la crisi economica ha falciato tante teste tra le piccole e medie imprese ma loro, i colossi multinazionali, sono ancora lì con i loro grossi profitti. La crisi non sembra averle neppure sfiorate.

Oggi sempre più persone sono consapevoli del ruolo deleterio per la società svolto dalle multinazionali :  inquinamento ambientale, sfruttamento del lavoro minorile e di manodopera a basso costo nei Paesi emergenti, soppressione delle libertà sindacali,… Sempre più consumatori, poi, organizzano azioni di boicottaggio o veicolano i loro acquisti verso altre aziende, eco-bio e equo-solidali, per far sì che i colossi multinazionali rivedano talune scelte in materia di ambiente e diritti dell’uomo (come avvenne con Shell e il caso Brent Spar). 

E’ evidente tuttavia che, se i tentativi di boicottaggio sono ammirevoli e dovrebbero anzi essere incoraggiati, non possono rappresentare la soluzione al problema di un mercato multinazionale. L’azione che le multinazionali stanno portando avanti da un po’ di tempo a questa parte non si limita a un modo di fare impresa non etico, è ben più perniciosa, perché più subdola. 

In sostanza, si sta rendendo schiavo l’individuo, e già che non si usi più il termine individuo, ma l’etichetta consumatore, dovrebbe porci in allarme. In  un tentativo di appiattimento globale della massa amorfa dei consumatori, si assiste a una banalizzazione della società senza precedenti. Un’omogeneizzazione dei gusti- anche alimentari- potrebbe essere tollerata (che importa che in Cina o in Corea ci sia McDonald), ma quella in atto è un plagio a livello mondiale. 

Ad un certo punto, tutti i consumatori, da qualsiasi angolo del pianeta provengano, vogliono le stesse cose, acquistano gli stessi prodotti.  La cosa peggiore è che l’esistenza stessa di questi colossi invincibili- perché coperti da grandi colossi finanziari – sembra non possa essere messa in discussione perché gli unici elementi che potrebbero costituire un elemento di dissonanza (le piccole e medie imprese) , una vera alternativa a un mercato globale e dominato dalle multinazionali, sono vittime della crisi, o falliscono o vengono fagocitate esse stesse dalle multinazionali. Pensiamo alla nostra nazione e a quante piccole aziende sono state vendute per quattro soldi al colosso di passaggio. 

Il risultato non è solo un appiattimento a livello globale dei gusti, una limitazione forte della volontà e della libertà di scelta, ma in definitiva la compressione del mercato globale- che per definizione  presuppone una pluralità di attori- a un luogo di offerta gestito e controllato dai soliti noti: le multinazionali.