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Sulle tracce di Dio

di Lorenzo Parolin - 13/04/2014

Fonte: Arianna editrice


 

 

L’uomo è un essere a tre dimensioni. È capace di comprendere le lunghezze, le superfici e i volumi, però, se esistesse un essere a quattro o più dimensioni, non sarebbe capace di immaginarlo. Supponiamo ora, per un istante, che l’uomo abbia due sole dimensioni, cioè sia confinato in una superficie. Potrebbe capire tutte le figure piane come i cerchi, i triangoli, i quadrati, ma non saprebbe immaginare una sfera o un cilindro, perché, per lui, la terza dimensione non esisterebbe. Poniamo inoltre che Dio abbia una dimensione in più rispetto all’uomo, che sia per esempio un cilindro; egli comprenderebbe bene l’uomo, mentre l’uomo non saprebbe immaginarlo. Se questo Dio-cilindro intersecasse il piano umano, l’uomo ne vedrebbe le tracce: ora cerchi, ora ellissi ed ora rettangoli, a seconda dell'inclinazione. Come possa avvenire che una cosa sia allo stesso tempo quadrata e rotonda è un mistero per un uomo bidimensionale, mentre nelle tre dimensioni è una cosa molto semplice.

In modo del tutto simile potrebbero trovare spiegazione gli assurdi che impediscono all’uomo di ammettere l’esistenza di Dio. Come può Dio essere amore e permettere il dolore innocente? Come può essere onnipotente e permettere il male? Come può dare la vita e restare generoso anche nel toglierla? Forse, nella Sua dimensione superiore alla nostra, tutti questi assurdi trovano una giustificazione. Ora, se nel nostro mondo troviamo delle tracce anomale che non riusciamo a spiegare, è lecito supporre che siano quelle di un Dio. Non dobbiamo sforzarci di dimostrarne l’esistenza, cosa che ci sarebbe preclusa, data la sua invincibile superiorità, e non siamo nemmeno autorizzati a dire che Dio è solo ciò che ci appare dalle tracce, né concludere che non esiste solo perché ci risulta incomprensibile. L’unica cosa sensata che possiamo fare è analizzare attentamente tutte le tracce strane, confrontarle tra di loro e, anche se sono incongruenti, considerarle suggerimenti importanti.

Tra le altre cose, anche volendolo, un Dio tridimensionale non potrebbe mostrarsi per intero ad un uomo a due dimensioni; lo potrebbe fare solo attraverso delle sezioni, perché tutto intero l’uomo non lo conterrebbe. L’uomo, come già detto, vedrebbe dei cerchi, delle ellissi, dei rettangoli, ma quello non sarebbe Dio; Dio è il cilindro. Come informazione, però, quelle figure sono già meglio che niente; anche se ce ne vuole per arrivare al cilindro.

Potremmo inoltre applicare quei suggerimenti poco convincenti e, se la loro utilità fosse grande rispetto all’utile ottenibile seguendo la nostra ragione, sarebbe giustificato anche abbandonarci completamente a quelle regole irrazionali. Qualche nostro simile, che non abbia avuto la fortuna di incontrare tracce di Dio o non vi abbia dato importanza, può, a ragione, dare del matto a chi le tenga in considerazione, ma costui si perde una grande occasione di dare un’occhiata fuori dal suo orticello.

Il Dio che io credo di conoscere è un Dio che non ama il clamore, che ha scelto di manifestarsi sommessamente, nella penombra; ed essendo la scelta di un Dio, la penombra deve essere una cosa importante. La pochissima luce ci impedisce di vedere le cose in chiaro, ci consente solo di intravedere una sagoma. C’è troppo poca luce per dire di veder chiaro, ma ce n’è abbastanza perché uno possa negare che ci sia qualcosa. È troppo poco per chi non crede, ma è più che sufficiente per chi crede. Quando uno abbia scorto qualcosa nell’oscurità, se ha la pazienza di aspettare e di aguzzare la vista, l’occhio si adatta al buio e dopo un po’ riesce a distinguere molti più particolari di uno che viene dalla luce. L’atteggiamento dell’uomo intelligente è quello di mettersi a scrutare e vagliare ogni minimo indizio, anche perché la posta in gioco è troppo importante. Come se non bastassero i segni sparsi per la creazione, Dio ha voluto anche parlare esplicitamente. Calando nella nostra dimensione Suo figlio, ha lasciato una grandissima impronta. Non con questo ora possiamo capire Dio, però, chi ha buona volontà, ha mezzi sufficienti per avvicinarsi a Lui e spegnere la grande sete, di non si sa che cosa, che c’è nell’uomo.

Dio però, per i benpensanti, su questo punto ha fatto uno sbaglio; se voleva che il mondo Lo conoscesse e Lo glorificasse doveva nascere in una grande città, in un palazzo reale; che scherzo è mai quello di nascere in una contrada fuori dal mondo, figlio di poveri, di fare una vita umile, di istruire e risanare i pezzenti, di snobbare i potenti e poi di lasciarsi mettere in croce come uno schiavo? È troppo per il figlio di Dio, non è credibile, anzi è assurdo.

Però così Egli ha voluto, anzi è venuto proprio perché la strada che ci ha mostrato non l’avremmo mai trovata da soli, perché va esattamente dalla parte opposta a quella che uno prenderebbe istintivamente. Forse, questa via, che dai più viene snobbata o ritenuta improponibile, è proprio quella che permette di fare giustizia in un mondo che dà importanza alla ricchezza e alla furbizia. Un povero e mite non ha speranza di sopravvivere in mezzo ai lupi ricchi e aggressivi, però, se confida in Dio, può trovare, sia pure in mezzo alla tribolazione, alla fame e alla schiavitù, molta più gioia e pace di quella che i ricchi e i potenti trovano nel loro mondo.

[rif. www.lorenzoparolin.it L1/29]