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Dopo la guerra fredda che cosa fare della NATO?

di Sergio Romano - 18/05/2014

Fonte: Corriere della Sera

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Nel corso degli ultimi 65 anni non vi è stata una sola Nato. Sino agli inizi degli anni Ottanta l’organizzazione militare del Patto Atlantico fu una struttura della Guerra fredda, concepita per preparare gli Alleati all’eventualità di un conflitto con l’Unione Sovietica. Ma sin dalla fine degli anni Settanta la rivoluzione iraniana aveva indotto gli Stati Uniti a chiedersi se la Nato non avesse bisogno di un aggiornamento. Con la fuga dello Scià da Teheran e l’avvento in Iran di un regime teocratico, Washington aveva perduto il suo maggiore alleato nel Golfo Persico e pensava che il modo migliore per colmare il vuoto fosse quello di preparare la Nato a intervenire «fuori area». Molti alleati avevano dubbi e perplessità, ma gli americani insistevano perché il problema venisse discusso e studiato. La discussione fu interrotta dalla caduta del muro di Berlino, dalla unificazione tedesca e dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Molti americani – politici, diplomatici, capi militari – cominciarono a chiedersi se l’esistenza della organizzazione fosse ancora giustificata dal nuovo quadro politico europeo. La riflessione continuò durante la presidenza di Bill Clinton quando prevalse infine a Washington la convinzione che la Nato fosse ancora utile. Avrebbe permesso agli americani di conservare le loro basi militari in Europa. Avrebbe accolto tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico che desideravano godere della protezione degli Stati Uniti. Avrebbe conferito un apparente carattere collegiale a tutte le operazioni volute dall’America. Al vertice di Pratica di Mare, nel 2002, fu creata una sorta di partenariato con l’Unione Sovietica; ma nella realtà gli Stati Uniti continuarono ad agire come se la Russia fosse un potenziale nemico e ne dettero la prova quando cominciarono a installare basi missilistiche in Paesi che avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Da allora, caro Martinelli, l’organizzazione militare del Patto Atlantico è stata lo strumento di cui gli Stati Uniti si sono serviti per costringere la Serbia ad abbandonare il Kosovo, per rafforzare con il contributo degli Alleati il corpo di spedizione che ha combattuto in Afghanistan, per lanciare ammonimenti contro la Russia nel corso della crisi ucraina, per assicurare con le loro basi europee la logistica e i servizi di tutte le forze militari americane dislocate in Europa, Africa e Asia occidentale. Potremo parlare di unità politica dell’Europa soltanto quando ci chiederemo se sia compatibile con la nostra partecipazione a questo vecchio strumento della Guerra fredda.] DOPO LA GUERRA FREDDA CHE COSA FARE DELLA NATO
A dispetto di chi ne aveva pronosticato la scomparsa, l’Alleanza atlantica sembra continuare a godere di una discreta salute. Accanto infatti ai 28 Paesi già membri, tre sono in procinto di fare il proprio ingresso, altri due stanno intraprendendo lo stesso percorso, mentre perfino Svezia e Finlandia (complice la crisi in Ucraina) stanno riflettendo su di una simile possibilità. Ora, per quanto sia facilmente comprensibile come questa corsa all’adesione sia viziata dalla prospettiva di usufruire della clausola di mutua difesa in caso di aggressione, ciò non di meno appare comunque importante il fatto che essa porti i vari Paesi a dover comunque condividere il rispetto di determinati principi e valori. È dunque ragionevole sostenere che, nonostante limiti e difetti pure innegabili, la Nato si stia sostanzialmente confermando quale unica organizzazione di sicurezza collettiva credibile sulla scena internazionale?
Giovanni Martinelli , giova.mart@tin.it

DOPO LA GUERRA FREDDA CHE COSA FARE DELLA NATO Caro Martinelli, Nel corso degli ultimi 65 anni non vi è stata una sola Nato. Sino agli inizi degli anni Ottanta l’organizzazione militare del Patto Atlantico fu una struttura della Guerra fredda, concepita per preparare gli Alleati all’eventualità di un conflitto con l’Unione Sovietica. Ma sin dalla fine degli anni Settanta la rivoluzione iraniana aveva indotto gli Stati Uniti a chiedersi se la Nato non avesse bisogno di un aggiornamento. Con la fuga dello Scià da Teheran e l’avvento in Iran di un regime teocratico, Washington aveva perduto il suo maggiore alleato nel Golfo Persico e pensava che il modo migliore per colmare il vuoto fosse quello di preparare la Nato a intervenire «fuori area». Molti alleati avevano dubbi e perplessità, ma gli americani insistevano perché il problema venisse discusso e studiato. La discussione fu interrotta dalla caduta del muro di Berlino, dalla unificazione tedesca e dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Molti americani – politici, diplomatici, capi militari – cominciarono a chiedersi se l’esistenza della organizzazione fosse ancora giustificata dal nuovo quadro politico europeo. La riflessione continuò durante la presidenza di Bill Clinton quando prevalse infine a Washington la convinzione che la Nato fosse ancora utile. Avrebbe permesso agli americani di conservare le loro basi militari in Europa. Avrebbe accolto tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico che desideravano godere della protezione degli Stati Uniti. Avrebbe conferito un apparente carattere collegiale a tutte le operazioni volute dall’America. Al vertice di Pratica di Mare, nel 2002, fu creata una sorta di partenariato con l’Unione Sovietica; ma nella realtà gli Stati Uniti continuarono ad agire come se la Russia fosse un potenziale nemico e ne dettero la prova quando cominciarono a installare basi missilistiche in Paesi che avevano fatto parte del Patto di Varsavia. Da allora, caro Martinelli, l’organizzazione militare del Patto Atlantico è stata lo strumento di cui gli Stati Uniti si sono serviti per costringere la Serbia ad abbandonare il Kosovo, per rafforzare con il contributo degli Alleati il corpo di spedizione che ha combattuto in Afghanistan, per lanciare ammonimenti contro la Russia nel corso della crisi ucraina, per assicurare con le loro basi europee la logistica e i servizi di tutte le forze militari americane dislocate in Europa, Africa e Asia occidentale. Potremo parlare di unità politica dell’Europa soltanto quando ci chiederemo se sia compatibile con la nostra partecipazione a questo vecchio strumento della Guerra fredda.