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Dal Colosseo a Khartum-Omdurman

di Claudio Moffa - 22/05/2014

Fonte: Claudio Moffa

La sentenza di Khartum tra "libera" interpretazione dell'Islam, omissioni mediatiche e grandi disegni geopolitici, papa Francesco compreso



Dal Colosseo a Khartum-Omdurman, pare proprio che l’oltranzismo occidentale, antislamico e antiarabo per principio, stia offrendo l’aperitivo a Papa Bergoglio in previsione della sua prossima visita in terra santa: il messaggio è chiaro, chi perseguita i cristiani in Medio Oriente sono i musulmani; chi rappresenta la barbarie dei nostri tempi è la religione musulmana.
Ma le cose non stanno così. Nel primo caso ci si dimentica che tutte, dicesi tutte le guerre dell’ultimo quarto di secolo nel Vicino e Medio Oriente si contraddistinguono per un nettissimo segno sionista, basta volerlo vedere e parlarne in libertà, da professionisti seri: per citare solo un paio di tasselli di questo terribile filo rosso che ha contribuito ad assassinare centinaia di migliaia di persone sotto le bombe della cosiddetta ‘comunità internazionale’ made in New York, il 17 gennaio 1991 – dopo che Shamir aveva respinto la proposta di Bush padre, di una conferenza generale sul Medio Oriente in cui affrontare la doppia violazione del diritto internazionale, quella effimera e recente di Saddam in Kuwait, e quella duratura e già allora pluridecennale di Israele in Palestina - fu la presidente della comunità romana Tullia Zevi ad applaudire l’inizio della prima guerra d’Iraq. Si gettavano così le basi per la distruzione dell’allora più laico regime del Vicino Oriente, che aveva visto curdi e cristiani salire con loro rappresentanti alle più alte cariche governative; donne senza veli diventare ministre e scienziate di alto profilo; e appunto il cristiano Tarek Aziz essere apprezzato in tutte le cancellerie occidentali come ministro degli esteri di Bagdad. Un paese social-progressista e occidentalizzante, l’Irak di Saddam, epperò inviso al solito Israele, che già nel 1981 aveva bombardato con un atto di pirateria internazionale la centrale nucleare di Osirak, non potendo sopportare né la rottura del proprio monopolio atomico in Medio Oriente, né il sostegno attivo dei baathisti di Bagdad alla causa palestinese.
Il meccanismo mediatico di messa sotto accusa
La scena e il retroscena iracheno (compreso il bis del 2003, con Saddam e il congressista USA Jim Moran convergere nell’accusare esplicitamente Israele di stare dietro l’attacco anglo-americano) si sono ripetuti e si ripetono molte volte in tutti gli scacchieri di crisi. Lo schema è sempre lo stesso: in Iran, in Egitto, in Siria, l’Occidente corre troppo spesso dietro all’oltranzismo israeliano e alla sua strategia del caos, utile a permanentizzare la politica del fatto compiuto in Palestina, e in tal modo contribuisce all’eliminazione o alla crisi dei regimi più laici o meno integralisti del Medio oriente: in passato Nasser, ieri Saddam e Gheddafi e oggi – il tentativo è evidente – il siriano Assad. Tutti questi paesi cadono così nella spirale degli scontri interreligiosi, ovvero – visti i rapporti di forza – delle persecuzioni anticristiane. Come aveva intuito Alberto Mariantoni nel denunciare le ambiguità della primavera egiziana, persino Mubarak potrebbe essere rientrato in questo quadro, vedi le tensioni tuttora esistenti tra copti e musulmani
Ma se le cose stanno così, che senso ha accusare i musulmani di odiare e perseguitare i cristiani, se non si mette sotto accusa anche chi in Occidente ne ha favorito lo sviluppo, e oggi dice di solidarizzare con la Chiesa? E a cosa serve l’oblio dell’ossessiva ‘percezione’ israeliana dei vari Nasser, Saddam, Gheddafi – l’oblio cioè del conflitto tra questi leaders arabi e il sionismo, che li vedeva come mostri da abbattere con qualsiasi mezzo – se non quello di impedire la presa di coscienza del meccanismo di base che ha portato e continua a portare il Medio Oriente verso una guerra islamo-cristiana sempre più pericolosa?
La condanna per 'apostasia' di Omdurman
Eccoci giunti al secondo esempio sopra accennato: quello che in questi giorni sta rimbalzando su tutti i media occidentali, la cristiana sudanese condannata a morte per apostasia. Tutto torna ‘semplice’ se si scava un po’ oltre la propaganda antimusulmana che trasuda dalle cronache e dagli appelli di solidarietà – nella sostanza assolutamente condivisibili - verso Meriam Yahia Ibrahim Ishag. Innanzitutto questo evento – la cui eventuale conclusione omicida non potrà avvenire comunque prima di uno o due anni: e questo nel primo giorno di diffusione della notizia nessuno o quasi lo ha sottolineato - viene a cadere in un momento in cui sia dal Sudan di Al Bashir, sia dal Sudan meridionale, giungono notizie ben più allarmanti o significative: il Sudan del sud in particolare registra quella che potrebbe essere una invasione da parte dell’Uganda, che sta approfittando della grave crisi che si è aperta tra il Presidente Salva Kiir e il suo vice , Riek Machar – il primo Dinka, il secondo Nuer – col fine di mettere le mani, probabilmente, sui ricchi giacimenti già strappati grazie alla secessione sudista al governo di Karthum. Un deja-vu di Kampala, viste le analoghe sortite di Museveni in Ruanda (sostegno all’invasione-guerriglia tutsi contro il regime hutu, 1990-94) e in Congo orientale (1998), e considerata l’oscura morte del leader carismatico della guerriglia cristiana del sud, John Garang, precipitato in un incidente su un elicottero ugandese nel luglio 2005: morte senza la quale probabilmente il Sudan non avrebbe mai registrato la scissione della parte sud del paese, ricca di giacimenti petroliferi.
Anche nel Sudan di Ali Bashir, inoltre, si registra una svolta importante: il 17 maggio scorso infatti la gendarmeria sudanese ha arrestato Sadik El Mahdi. il leader del Partito Umma, che alcuni giorni fa aveva accusato il governo – in oggettiva sintonia con chi in Occidente vuole trascinare presidente Al Bashir davanti alla Corte Penale Internazionale – di violenze in Darfur. L’Umma è il principale partito di opposizione, è molto più religioso del partito di Al Bashir, il National Congress Party, fino a dialogare con gli estremisti islamici della guerriglia del Darfur, quelli che rifiutarono di aderire all’accordo di pace di Abuja del 2005.
La sentenza omicida nel triangolo delle forze in campo
Cerchiamo dunque di far ordine in questa triangolazione: la guerriglia del Darfur è per l’appunto non cristiana come talvolta si dice, ma islamica; è sostenuta da Al Qaeda (la solidarietà venne espressa da Bin Laden quando era  ancora vivo, o veniva dichiarato tale) ma anche da Israele. Basta vedere i numerosi profughi darfuriani e sudanesi che – un po’ come nel caso dei musulmani bosniaci in fuga dalla Jugoslavia nella metà degli anni Novanta – vengono accolti a Tel Aviv. Per Israele – strapresente in Africa tanto da essere un buon concorrente della Cina – il Sudan è da sempre un paese chiave della sua strategia nel continente nero: la contrapposizione tra Islam nero (Darfur) e Islam bianco (Khartum) è un modello utile a indebolire l’Africa della Conferenza di Durban del 2001, quella che la vide isolata assieme agli Usa a pochi giorni dalla svolta storica dell’11 settembre.
Il secondo lato del triangolo è il partito Umma, sotto pressione da parte del regime di Al Bashir:  Sadik Al Mahdi, come un altro famoso leader islamista, Hassan al Tourabi, si mostra sensibile come già detto alla causa del Darfur, e al suo Islam gretto e retrogrado.  
Infine, il terzo lato del triangolo è Al Bashir e il suo partito, l’NCP: il presidente sudanese non è né Nasser, né Gheddafi o lo sciita ‘nuclearista’ Ahmadinejad, ma nei fatti rappresenta l’ala più modernizzante e anti-integralista del Sudan: dopo aver rovesciato con un colpo di stato Sadik El Mahdi nel 1989, egli è stato eletto presidente nel 2010 con ben il 68% dei voti, surclassando tutti gli altri candidati. La sua è una politica per lo sviluppo nazionale: se Karthum, quella nota in occidente nella sua immagine più tradizionale trasmessa dai capolavori holliwoodiani stile Le quattro piume, oggi presenta un volto più moderno alla stessa stregua di altre capitali del mondo arabo, ciò è dovuto al saggio uso da parte del regime di Khartum, delle enormi risorse petrolifere di cui ha goduto sin qui il paese.            
Al Bashir ha dimostrato di essere un leader rispettoso delle regole di base della democrazia, anche in situazioni difficili come le guerre endemiche che sconvolgono da decenni le regioni periferico dell’immenso Sudan. Nel 2005 era pronto a governare in pace con il leader sudista Garang. Nel 2011 ha accettato senza batter ciglio (al contrario di quanto fanno oggi i gli ucraini di Kiev e l’oltranzismo euroamericano che li sostiene) il referendum svoltosi nel Sudan meridionale, proclamandone anzi lui stesso l’indipendenza. Sì dirà che nel Darfur il governo sudanese non si comporta allo stesso modo, perché rifiuta di accondiscendere alle richieste secessioniste degli estremisti dell est. Ma la realtà è un po’ diversa: il Darfur non è terra impenetrata nei secoli dal nomadismo arabo, a causa di fattori ambientali che si ritrovano lungo tutta la fascia subsavanica del continente africano, lì dove iniziano le zone forestali, ma al contrario è stata ed è terra di plurisecolare incontro-scontro tra componente araba e componente nera del multietnico Sudan. Inoltre, lasciando perdere gli aspetti di lunga durata della storia del Darfur, c’è  - pesante come un macigno dalla parte di Al Bashir – l’accordo di pace di Abuja del 5 luglio 2005, co-firmato da una parte della guerriglia (l’ala moderata del Sudan Liberation Movement), e avallato da una decina di governi e di organizzazioni internazionali: l’Unione Africana, la Nigeria di Obasanjio, la Libia di Gheddafi, gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’ONU, l’Unione Europea, la Lega Araba, il Canada, la Norvegia, la Francia, l’Olanda.

Il potere di interdizione dell' oltranzismo occidentale

Come mai allora, la guerriglia continua? E come mai da questo Sudan emerge la terribile notizia della sentenza di Omdurman? Come va contestualizzata tale sentenza nella triangolazione sopra citata?
Le risposte a questi tre interrogativi non sono difficili a trovarsi: la guerriglia continua perché la potentissima corrazzata dei paesi occidentali e delle organizzazioni internazionali firmatarie della pace di Abuja, è stata minata ed è minata al suo interno dalle trame lobbistiche disseminate in Europa e negli Stati Uniti: la categoria dell’ “oltranzismo occidentale” è essenziale per capire come gira il mondo oggi, e per superare gli schematismi dell’ “antiimperialismo” ideologistico e di principio che accomuna frange di destra e di sinistra estrema. Gli Stati Uniti non esistono come paese omogeneo, esistono gli Stati Uniti di Obama e quelli di Kerry, di Clinton e di Madeleine Albright-Liberman, di Bush-Baker (quest’ultimo, segretario di stato durante la prima guerra ddel Golfo, nemico dichiarato della Israel Lobby) e del Congresso americano del gennaio 1991 …

Quanto alla sentenza è chiaro che ad emetterla è stato un piccolo giudice locale, troglodita o idiota o prezzolato che sia: nel Corano l’accusa di apostasia, a parte alcuni versetti sulla libertà di fede in apparente contrasto tra loro (ad es. VI, Sura delle greggi, 70; Sura del viaggio notturno, 84; Sura della caverna, 29: la punizione o il premio è prerogativa di Allah),  prevede sempreuna primigenia adesione all’Islam poi tradita dal ‘colpevole’ (II la vacca, 217; III  la famiglia di Imran, 72, 82, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 177; IV Sura della donna, 115, 137; V Sura della mensa, 3, 54; XVI  Sura dell’ape,106). Ma questo non è il caso di Meriam cristiana fin dalla nascita, o almeno dai primi anni di vita. La sentenza inoltre non è definitiva non solo perché Meriam è incinta, ma anche in ragione dei diversi gradi di giudizio dell’ordinamento sudanese. 
La partita è dunque aperta, e passa dentro diversi campi di lotta: la storia e i rapporti di forza interni al Sudan, lo scontro-incontro (secondo i punti di vista) tra le tre religioni del Libro, il comportamento dei mass media transnazionali, i disegni strategici delle medie e grandi potenze, Vaticano e lobbismi interni inclusi. 
Da quest'ultimo punto di vista, la sentenza cade a cecio per la imminente visita del Papa in Palestina, un aperitivo avvelenato, come dicevo all'inizio: ma essa probabilmente potrà essere strumentalizzata anche per rilanciare il tentativo di catturare l'ennesimo capo di stato da parte della giustizia matta de L'Aja. 

C'è poi uno specifico discorso sulle religioni: tra le critiche alla sentenza è emersa in qualche cronaca o dichiarazione non solo la tesi di un obbligo dei figli a seguire la religione del padre musulmano in caso di coppie miste, lettura invero che dovrebbe dipendere da caso a caso, ma addirittura una sua riduzione a un fattore genetico invece che puramente culturale: in sostanza una ebraicizzazione dell’Islam. Ma anche questo è falso: solo l’ebraismo ortodosso recita l’ebraicità come un fatto genetico, l’essere ebrei perché figli di madre ebrea. L’Islam al contrario, come il cristianesimo, è una religione universalista, aperta a tutti i popoli del pianeta. Questo non vuol dire (come nel caso del cristianesimo) che l'espansione islamica sia stata esente nel suo percorso storico da violenze e sopraffazioni, ma solo che il suo messaggio originario, il suo 'statuto' non presenta i connotati razzisti che gli sono stati attribuiti sull'onda della sentenza di Omdurman.  

Quanto ai media e alla loro lettura delle contraddizioni interne al Sudan di Al Bashir questa ‘citazione-contro’ della Reuters – così come il tono sobrio del breve dispaccio dedicato dalla BBC all’evento –  potrebbe-dovrebbe essere una lezione simbolo per tutti: secondo l'agenzia tedesca un “portavoce governativo" ha dichiarato subito dopo la diffusione della notizia della sentenza, che il "Sudan is committed to all human rights and freedom of faith granted in Sudan by the constitution and law".
Il silenzio su prese di posizioni come queste da parte di molta stampa italiana sembra proprio riflettere  un sentimento contrario alla professionalità e al buon senso: il desiderio nascosto cioè di voler usare la decisione del giudice sudanese per fare del Sudan di Al Bashir il nuovo nemico da abbattere, secondo i dettami dell'oltranzismo occidentale, quello che semina odi e guerre da almeno un quarto di secolo, senza che nessuno riesca a fermarlo. Il Papa in Palestina? Se così fosse, mi interesserebbero poco le pur utili e rispettabili discussioni sul revisionismo cattolico e sul Concilio Vaticano II, e direi di nuovo – credo con miliardi di persone di tutto il mondo, a cominciare dai popoli dello scacchiere euromediterraneo - ‘viva Papa Francesco!’.