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Europa?

di Franco Cardini - 22/05/2014

Fonte: Franco Cardini

 

“Dobbiamo dire all’Europa che non può salvare le banche e non salvare donne e bambini, devono venire a darci una mano. Tutte le istituzioni europee non possono girarsi da un’altra parte”.

Sono state parole chiare, queste del presidente Matteo Renzi, all’indomani del tragico naufragio di quattrocento immigrati dalle coste libiche, sul solito barcone, il 12 maggio scorso. Parole – e intenzioni – nobili ed energiche: tantopiù se contrapposte ad affermazioni di diverso tipo, da parte di alcuni “uomini politici” (!?), i quali non si sono vergognati di esprimere opinioni ripugnanti chiedendo di respingere i futuri arrivi a qualunque costo, “anche con la forza”. Ma nelle “istituzioni europee” alle quali il presidente Renzi fa riferimento, e com’egli ben sa, sono implicati il governo italiano e il parlamento europeo nel quale siedono e siederanno degli italiani.

Le prossime elezioni per il Parlamento Europeo lasceranno le cose come prima. Alcuni candidati hanno promesso che dopo “tutto sarà diverso”. Ma come si eserciterà la verifica degli elettori, nei confronti di queste energiche ma generiche promesse, una volta che quei candidati – i quali rispondono alle segreterie dei partiti che li hanno designati, sempre più lontane da coloro che esercitano concretamente il diritto elettorale attivo – saranno insediati a Bruxelles-Strasburgo?

Stiamo per affrontare due appuntamenti elettorali, quello europeo e quello amministrativo. Falsi entrambi. In entrambi i casi, in realtà, voteremo per la politica interna italiana: nella pratica, ancora una volta indicheremo una scelta tra Matteo Renzi che in maniera energica, decisionista e simpatica ci ripropone l’allineamento sulle scelte della NATO da una parte, della BCE dall’altra (anche se promette sostanziose correzioni di rotta), cioè in fondo di riuscire là dove in diversa maniera D’Alema, Prodi, Berlusconi e Monti nell’ultimo ventennio hanno fallito, e Beppe Grillo che ci snocciola all’arrabbiata il rosario delle infinite cose che non vanno – e che, anche se in termini più pacati, siamo in tanti a dire da anni…- ma non ci propone uno straccio di seria soluzione alternativa a parte la probabilmente sincera ma in fondo patetica rinunzia dei suoi parlamentari a una parte dei loro emolumenti (che è segno certo di buona volontà, ma non risolve nulla neanche quella). Da una parte l’offerta del “bisogna-che-tutto-cambi-perché-tutto-resti-come-prima” di gattopardesca memoria (una sceneggiata alla quale abbiamo già assistito nel 1861, nel 1922, nel 1946 ecc., fino alle riforme attuali) e che conferma la natura profondamente trasformistica delle tecniche politiche in uso nel nostro paese, dall’altra l’offerta del salto nel buio. Altrimenti, il silenzio degli indecisi, dei privilegiati sul serio, degli incoscienti, dei disincantati che hanno o credono di avere buoni motivi per esser tali, insomma di tutti quelli che non prenderanno nemmeno in considerazione l’ipotesi di andar a votare: del resto, nelle attuali postdemocrazie tardoparlamentaristiche, se vai a votare fai il gioco dei “poteri forti” dei quali la politica istituzionalizzata e i partiti nei quali essa ancora formalmente s’inquadra sono “comitati d’affari” e legittimi il potere che essi eserciteranno senza di te fino a quando dovranno domandartene la prossima formale conferma (le istituzioni che escono da “libere” elezioni sono ormai, di fatto, quasi puramente consultive); se non ci vai non succede nulla in quanto i meccanismi si legittimano comunque, per quanto bassa sia la percentuale dei votanti.

Ma l’ennesima tragedia del mare tra Libia e Sicilia ci richiama al tema delle istituzioni dell’Unione Europea, fin troppo presenti, oppressive e ingombranti da una parte e assenti da un’altra. Nulla indica un possibile futuro mutamento all’indomani delle prossime elezioni in quanto la campagna elettorale che a detta di qualche leader dovrebbe prepararlo o costituirne l’avvìo si annunzia tutta e soltanto incentrata sui temi socioeconomici: euro o non-euro, austerity contro ripresa della crescita, occupazione soprattutto giovanile. Qua e là, riemerge perfino il tormentone dell’identità cristiana o del pluralismo religioso-culturale e della ricerca di un minimo denominatore comune tra i 28 paesi dell’Unione. Ma la Grande Assente da tutto ciò è una pur minima proposta di politica estera: sia di ciascun paese dell’Unione nei confronti di tutti gli altri – dal momento che le istituzioni comunitarie vigenti per ora non sono riuscite sul serio a fare nemmeno quello -, sia dell’Unione nel suo complesso rispetto al mondo. Politica estera significa essenzialmente sicurezza e strategia nelle scelte internazionali. Esistono, sappiatelo, una “Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), una “Politica Estera di Sicurezza e Difesa” (PESD), un “Servizio Europeo per l’Azione Esterna” (SEAE): ormai, è diventato impossibile leggere qualunque documento che riguardi l’Unione Europea, che è sempre irto di sigle quasi mai decodificate e che corrispondono a organismi o a funzioni del tutto avulsi da qualunque prospettiva concreta. L’Unione Europea ha dal 1999 un “Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune” e nel 2003 ha approvato (come? Con quale procedura? Attraverso quale forma di legittimazione?) un Documento sulla Strategia Europea che illustrava in termini (badate che non sto facendo dell’umorismo) di crisis management i problemi del terrorismo, della proliferazione di armi di distruzione di massa, della criminalità organizzata, dei conflitti regionali. Nemmeno i gestori di questi organismi-fantasma debbono esserne proprio soddisfatti: nel 2008 il loro rapporto concludeva sostenendo che “l’Unione Europea deve essere più attiva, più coerente e più capace”. I problemi della migrazione, che tanto occupano le concioni dei non troppi candidati al Parlamento Europeo che non sono del tutto afasici, rientrano in questo pacchetto di obiettivi che si è andato proponendo da molti anni e che nel 2008 era arrivato a parziali conclusioni insoddisfatte e insoddisfacenti. E ora, sei anni dopo? Notte e Nebbia. Si blatera di migranti, ma siamo all’Anno Zero quanto a provvedimenti comunitari di aiuto allo sviluppo e alla stabilità politica delle aree dalle quali essi provengono: lì, tutto è lasciato nelle mani (si fa per dire…) dell’ONU, degli USA, della NATO e delle lobbies multinazionali le quali peraltro sono attivissime nel condizionare l’attività delle tre organizzazioni suddette. Il che vuol dire che se le migrazioni disordinate sono un seccante esito secondario di una politica mondiale il cui scopo e mantenere alti i profitti delle lobbies stesse a accelerare il processo di concentrazione della ricchezza sottratta a qualunque tipo di pubblico controllo, andiamo aventi così.

Stesso discorso vale per i problemi nevralgici delle nostre periferie presenti e future. Pensiamo alla Bosnia, nella quale nessun problema né economico né politico è stato finora risolto. Pensiamo alla politica e alle prospettive di allargamento dell’Unione: a che punto siamo nei confronti di Serbia, Turchia, Ucraina? Potrà tale allargamento contribuire alla soluzione dei loro problemi, sarà politicamente ed economicamente sostenibile? E’ plausibile che l’UE non abbia perso sulle questioni ucraina e siriana, epr esempio, una posizione chiara che in qualche modo l’abbia distinta da quella, del ersto tutt’altro che decisa, sicura e lungimirante, di Obama? Certo: molti candidati, posti davanti a questi problemi, si rifugiano dietro all’alibi che è “realisticamente parlando” astratto e inutile discuterne. E l’eluderli a che cosa serve, se non a spianar a ciascuno di loro la strada verso il conseguimento di una comoda poltrona parlamentare?

Intanto però, se può sembrare che nessuno decida, le decisioni si prendono eccome. Solo che volano sulle nostre teste. Noi italiani acquisteremo gli F 35: senza dubbio, in quanto se “ci disarmassimo”, ONU, USA, UE e NATO ci riterrebbero “inaffidabili”. Ma qui non è questione di malinteso pacifismo: qui si tratta di acquistare armi di un tipo e di una quantità precisa sulla base di esigenze che ci sono state dettate dall’esterno e che continuano sulla linea del nostro coinvolgimento nelle guerre “per conto terzi”. E’ la stessa linea accettando e continuando tacitamente la quale il nostro paese si è riempito di basi militari degli USA e della NATO praticamente sottratte al nostro controllo, è la linea dalla quale sono usciti gli scandali vergognosi dell’incidente del Cermis e dell’impianto di una megabase militare alle porte di Vicenza contro la volontà della stragrande maggioranza dei cittadini (…ma produce posti di lavoro…). Ora, al di là di slogans tipo “tagliamo le ali alle armi”, il vero punto su cui discutere non è immaginare un’Europa e un’Italia disarmate (che nel contesto dell’attuale situazione internazionale sarebbe folle incoscienza), bensì rifiutarsi di accettare i progetti di sviluppo tecnico-tattico-strategico a spese nostre e per conto della politica altrui. Qualcuno dice che esiste il pericolo del “rifiuto di una cultura della Difesa”. Certo, qualche ragazzino dei Centri Sociali o qualche Maestrina dalla Penna Rossa invecchiata sui miti degli Anni Sessanta può anche pensarla così: ma il problema vero non sta affatto in questi termini. Il problema vero è che bisogna finirla di far da ascari della potenza e della prepotenza altrui (con tutto il rispetto per gli ascari, ch’erano coraggiosi e generosi soldati).

Di recente, il nostro premier, sincero cattolico praticamente, si è recato in visita in Israele. Ha accettato –in apparenza senza batter ciglio - che gli fosse imposta l’umiliazione di non visitare Betlemme, sita nel territorio cisgiordano teoricamente “governato” dall’Autority palestinese. Glielo ha imposto un governo israeliano che nel paese ha ormai moltissimi oppositori alla sua politica di estensione degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania e di rifiuto di un’intesa con i palestinesi: ma che sa di poter andar avanti per la sua strada anche contro le Nazioni Unite in quanto continua a godere di un finora incondizionato appoggio statunitense. I cattolici che vivono in Terrasanta, tra i quali tanti italiani, sono rimasti delusi e indignati da quella scelta che Renzi, se non ha voluto (e non può né averla desiderata, né averla accolta con intima indifferenza), si è comunque trovato costretto a subìre, e che la dice lunga sulla considerazione nella quale il nostro paese è tenuto.

Ora, il nostro premier è una persona energica e intelligente, che tiene molto alla sua immagine di politico decisionista: non può, in politica estera, nascondersi dietro all’affermazione di trovarsi perfettamente d’accordo con gli USA: specie adesso, mentre essi per primi non riescono a esprimere una linea sicura.

Anche questi problemi pesano su un ‘Europa fin troppo presente quando si tratta d’imporci sacrifici economici e austerità, assente poi quando si tratterebbe di aiutarci a salvar vite umane.