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Semi e biodiversità: la resilienza ai cambiamenti climatici

di Vandana Shiva - 17/06/2014

Fonte: La Stampa


AP

 

Per migliaia di anni i contadini, specialmente donne, hanno selezionato e coltivato i semi liberamente, collaborando gli uni con gli altri e con la natura per aumentare ulteriormente la diversità che la natura stessa ci ha dato, adottandola in base alle diverse culture. La biodiversità e la diversità culturale si sono influenzate reciprocamente. Ogni seme è quindi l’incarnazione di millenni di evoluzione della natura e di secoli di selezione degli agricoltori. È l’espressione dell’intelligenza della terra e dell’intelligenza delle comunità agricole. Gli agricoltori hanno selezionato semi per la diversità, la resilienza, il gusto, la nutrizione, la salute e l’adattamento agli agro-ecosistemi locali.  

 

In tempi di cambiamenti climatici, abbiamo bisogno della biodiversità delle varietà degli agricoltori per adattarci ed evolvere. Fenomeni climatici estremi sono già stati sperimentati, come cicloni più frequenti e intensi che hanno portato a inondare di acqua salata alcuni terreni. Per la resilienza ai cicloni abbiamo bisogno di varietà di semi resistenti al sale, e abbiamo bisogno di questi semi come beni comuni. Lungo le zone costiere, gli agricoltori hanno sviluppato varietà di riso in grado di tollerare le alluvioni e il sale come il “Bhundi”, il “Kalambank”, il “Lunabakada”, il “Sankarchin”, il “Nalidhulia”, il “Ravana”, il “Seulapuni” e il “Dhosarakhuda”. 

 

Dopo il Superciclone Orissa, la nostra associazione Navdanya ha potuto distribuire agli agricoltori risi che tollerano il sale perché li avevamo conservati come bene comune nella nostra banca del seme comunitaria, gestita da Kusum Mishra e dal dottor Ashok Panigrahi a Balasore, in Orissa. Abbiamo poi potuto donare due camion carichi di semi resistenti al sale ai contadini che non potevano più coltivare il riso sempre a causa del sale marino depositato sui loro terreni. 

 

Come ho scritto nel libro “Soil, not oil” (Suolo, non petrolio, ndt), il 40% dei gas che producono l’effetto serra provengono da un modello globalizzato di agricoltura industriale. Oggi, le aziende che hanno fatto profitti con l’agricoltura industriale vogliono trasformare la crisi del clima che hanno contribuito a creare in un’opportunità per il controllo dei semi resilienti ai cambiamenti del clima e dei dati climatici. Tanto che alcune multinazionali hanno preso fino a 1.500 brevetti sulle colture resistenti ai cambiamenti climatici.  

 

La Fondazione Navdanya / Ricerca per la Scienza, la Tecnologia e l’Ecologia ha pubblicato l’elenco nel nostro rapporto “Biopirateria delle Coltivazioni resilienti al clima: i giganti della genetica rubano le innovazioni dei contadini”. Con questi brevetti, aziende come Monsanto possono impedire l’accesso ai semi resilienti al cambiamento climatico anche dopo un disastro dovuto allo stesso climate change, dato che il brevetto è un diritto esclusivo di produrre, distribuire e vendere il prodotto brevettato.  

 

La natura e gli agricoltori hanno sviluppato i tratti della resilienza al clima attraverso i semi, e questa non è un’invenzione aziendale. Le aziende con personalità giuridica stanno assumendo il ruolo di “creatore”, dichiarando che i semi sono di loro “invenzione”, quindi la loro struttura è stata brevettata. Un brevetto è un diritto esclusivo concesso per una “invenzione”, che permette al titolare del brevetto stesso di escludere tutti gli altri dalla fabbricazione, dalla vendita, dalla distribuzione e dall’utilizzo del prodotto brevettato. Con i brevetti sulle sementi, questo implica che il diritto degli agricoltori di conservare e condividere i semi ora è definito come “furto”, e ritenuto un “crimine contro la proprietà intellettuale”. 

 

In tempi di cambiamenti climatici, tali monopoli aggravano il disastro, negando agli agricoltori il diritto a semi che loro stessi hanno selezionato.