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Sul clima il mondo accelera, l’ Italia sta a guardare

di Fabrizio Maggi - 17/06/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


L’indifferenza per la tematica è testimoniata anche dalla scelta del nuovo ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti. Due sono le motivazioni che possono spingere all’investitura di un ministro: da una parte la profonda conoscenza della materia che si troverà a trattare; dall’altra, in assenza di competenze tecniche, il peso politico, che garantisce al ministero l’adeguata considerazione. Galletti non possiede né l’una né l’altra. Si è garantito l’incarico per via della deleteria lottizzazione in stile manuale Cencelli, un obolo da versare al partito di Casini. Ci ritroviamo un commercialista nonché fervente sostenitore del nucleare.

emissioni


 

Obama ha varato un decreto che prevede il taglio del 30% delle emissioni di gas inquinanti delle centrali elettriche USA entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. La formula esecutiva si è resa necessaria per bypassare il dissenso del partito repubblicano, imbottito fino all’orlo di negazionisti. Tra la fine del 2013 e l’inizio di quest’anno l’80% della nuova capacità installata era costituita da tecnologie “pulite” e il piano di abbattimento delle emissioni dovrebbe creare ricchezza tra i 55 e i 93 miliardi di dollari, mentre i costi stimati sono tra i 7,3 e gli 8,8 miliardi di dollari. La decisione sembra ancora più assennata se letta alla luce del rapporto della EIA sui depositi di gas di scisto, considerati da tutti il nuovo oro statunitense: la formazione di scisto di Monterey in California, contenente due terzi delle riserve nazionali, ha visto la quantità stimata di gas crollare del 96%, “solo 600 milioni di barili di petrolio possono essere estratti con la tecnologia esistente, di gran lunga al di sotto dei 13,7 miliardi di barili che un tempo si pensava di poter recuperare dagli strati mescolati di roccia sotterranea distribuita lungo gran parte della California centrale”.

Il giorno dopo l’annuncio di Obama, He Jiankun, consulente del governo cinese, ha annunciato che la Cina sta prendendo seriamente in considerazione l’ipotesi di una limitazione alle emissioni di gas serra, ipotesi che potrebbe essere inserita nel prossimo piano quinquennale seguendo due linee: stabilendo un tetto massimo da rispettare e una misurazione dei gas in intensità e valori assoluti. La Cina è attualmente il più grande inquinatore del pianeta con un volume di emissioni compreso tra i 7 e i 9,5 miliardi di tonnellate.
La scorsa estate ha annunciato un piano per investire, entro il 2015, la cifra record di 294 miliardi di dollari in rinnovabili.

L’Unione Europea sottolinea il successo degli obiettivi previsti per il 2020 (20% in meno di emissioni inquinanti, 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili, portare al 20% il risparmio energetico e produrre il 10% dei carburanti da vegetali), analizzando i trend attuali che delineano un pieno raggiungimento per la data prevista. La Commissione Europea ha rilanciato all’inizio dell’anno, proponendo il taglio delle emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990 e il raggiungimento di una quota di energia prodotta da rinnovabili pari al 27% entro il 2030. Al momento però non sono previsti impegni vincolanti a livello nazionale ma solo un obiettivo comunitario. E qui casca l’asino, specie a casa nostra.

A fronte di questo fermento internazionale seguito dalla crescente consapevolezza verso il riscaldamento globale, l’Italia che fa? Bivacca.
L’ISPRA ha recentemente certificato che il nostro paese non è riuscito a raggiungere i pur modesti obiettivi posti dal protocollo di Kyoto: dovevamo ridurre le emissioni medie, nel quinquennio 2008-2012, del 6,5% rispetto ai valori registrati nel 1990 e ci siamo fermati a una riduzione del 4,6%. Risultiamo deficitari di 16,9 milioni di tonnellate di CO2; considerando un costo medio a tonnellata di CO2 tra gli 0,25 e i 4 euro, dobbiamo mettere in conto circa 17 milioni di euro per aver superato il limite di emissioni.
Secondo De Lauretis, uno degli appartenenti all’unità dell’ISPRA, l’incidenza della crisi economica sulla riduzione delle emissioni è pari al 75-80%.

Renzi, dalla sua ascesa nel panorama politico ad oggi, non ha mai speso una parola per la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Evidentemente conosce poco il paese in cui vive: con circa 57 mila specie animali e oltre 6.700 specie vegetali presenti sul territorio, l’Italia è il paese europeo che può vantare il più alto tasso di biodiversità. Un patrimonio da salvaguardare, soprattutto in relazione agli scandali ambientali dell’Ilva, della terra dei fuochi, della Tav.
L’indifferenza per la tematica è testimoniata anche dalla scelta del nuovo ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti. Due sono le motivazioni che possono spingere all’investitura di un ministro: da una parte la profonda conoscenza della materia che si troverà a trattare; dall’altra, in assenza di competenze tecniche, il peso politico, che garantisce al ministero l’adeguata considerazione. Galletti non possiede né l’una né l’altra. Si è garantito l’incarico per via della deleteria lottizzazione in stile manuale Cencelli, un obolo da versare al partito di Casini. Ci ritroviamo un commercialista nonché fervente sostenitore del nucleare.

L’anno prossimo è prevista a Parigi la quindicesima Conferenza delle Parti sul clima che dovrebbe finalmente dare luce ad un nuovo accordo globale e vincolante sul taglio di emissioni inquinanti, dopo la fallimentare esperienza del Protocollo di Kyoto. Ancora una volta aspettiamo che sia il mondo (o la crisi) a decidere per noi.