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A cent'anni da Sarajevo i Balcani rischiano di ripiombare nel caos

di Massimo Fini - 07/07/2014

Fonte: Massimo Fini

Con l'assassinio il 28 giugno del 1914, a Sarajevo, dell'Arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie per mano di un giovane serbo, Gavrilo Princip, ha inizio l'età contemporanea. Non quella moderna che era partita molto prima. In genere a scuola e nelle università si fa iniziare la Modernità con la scoperta delle Americhe, che poi scoperta non era, di Cristoforo Colombo (1492). Ma non è solo una data convenzionale è anche priva di senso. La Modernità comincerà due secoli e mezzo dopo con la Rivoluzione industriale che partita dall'Inghilterra a metà del XVIII secolo coinvolgerà prima l'intera Europa e il Nord America e poi, in seguito alla globalizzazione, che ne è una conseguenza inevitabile, tutto il pianeta. Sarà questa Rivoluzione a cambiare radicalmente la nostra esistenza, la vita materiale, la mentalità, gli stili di vita. Sarajevo 1914 da questo punto di vista non cambia assolutamente nulla. Muterà invece l'assetto geopolitico dell'Europa. La 'grande guerra' segnerà infatti la fine del grande e civilissimo Impero austro-ungarico che era riuscito a tenere insieme, senza ricorrere alla violenza, se non in modo sporadico, popolazioni culturalmente diversissime, austriaci, ungheresi, rumeni, bulgari, musulmani, sloveni, croati e serbi. Grande e civile Impero. Se Milano, nonostante tutti i mascalzoni e sottomascalzoni che l'hanno governata nel dopoguerra italiano, conserva ancora una burocrazia relativamente efficente, se non è Napoli o Palermo, è grazie all'imprinting che gli diede Maria Teresa d'Austria.

Il miracolo di tenere insieme, in quella che allora era la Jugoslavia, serbi, croati e musulmani riuscì anche al dittatore Tito, bisogna riconoscerglielo, ma con metodi assai più brutali, deportando intere popolazioni su quel territorio, un po' come aveva fatto, ma su una scala infinitamente maggiore, Stalin in Unione Sovietica.

Gli americani usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale e con le mani libere dopo il crollo dell'Urss del 1989, commisero l'errore, insieme ad alcuni Paesi europei, come la Germania, cui va aggiunto il Vaticano, di negare ai serbi di Bosnia l'indipendenza (o la riunione con la madrepatria di Belgrado) che avevano invece concesso senza fiatare a Slovenia e Croazia. Una Bosnia multietnica a guida musulmana aveva infatti senso in una Jugoslavia multietnica quale era stata quella di Tito. Ora non lo aveva più. E così i serbi di Bosnia scesero in guerra e poiché sul terreno, a detta di chi se ne intende, sono i migliori combattenti del mondo e oltretutto potevano contare sul retroterra della Serbia di Milosevic (mentre i musulmani questo retroterra non l'avevano, potevano contare solo su qualche aiuto dall'Iran), quella guerra la stavano vincendo. Ma americani ed europei decisero che invece dovevano perderla, per molte ragioni, fra le quali, e non delle minori, c'era che il loro grande protettore, Slobodan Milosevic, era a capo dell'ultimo Paese rimasto comunista, o meglio, paracomunista, in Europa. E si intestardirono nel mettere in piedi uno Stato che non era mai esistito e inesistente, la Bosnia.

E così oggi, a cento anni di distanza, Gavrilo Princip è considerato un terrorista a Sarajevo Ovest e un eroe a Sarajevo Est. E una volta che le forze internazionali si saranno ritirate dalla Bosnia, cosa che prima o poi, come in Kosovo, dovrà avvenire, tutto ha l'aria di poter ricominciare da capo.