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Re Giorgio e la sua corte

di Lorenzo Lipparelli - 22/07/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Oggi, il re e la sua corte si vivifica e si conclude come tale, come trasformazione goliardica della prima e come bieca e malsana imitazione.

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Dalle ceneri dello Ius Commune e dei diritti particolari e locali che avevano caratterizzato il Medioevo sorgono, lentamente e in maniera diversificata nei vari territori, le strutture che si stabilizzeranno con le democrazie rappresentative attuali. L’assolutismo monarchico, di cui Luigi XIV ne è simbolo – “l’Etat c’est moi” – si inserisce come possibile chiave di lettura delle situazioni odierne. 

Per spezzare il legame tra aristocrazia e popolazione delle province nelle quali i nobili possedevano grandi terreni, i sovrani europei, per fiaccarne il potere, cominciarono a unificare le famiglie regali del regno nelle proprie corti. Con Luigi XIV ciò divenne vero e proprio sistema sociale; nasce il compromesso, i “benefici reciproci”, e quel circuito chiuso, autoconservatore, de la “politica della corte” che ha segnato le oligarchie susseguitesi fino ad oggi, compreso. Luigi ebbe inoltre la furbizia di crearsi una grande rappresentazione scenica, con vena mistica e accenti pacchiani e snob (con le pompose vesti e l’etichetta, fondamentale a Versailles), che adulò regnanti e rafforzò quel rispetto che Massimo Fini spiega in La Ragione aveva torto?dei sudditi verso il sovrano – oggi scomparso. La reggia di Versailles e la sua impersonificazione con il Sole dimostrano l’enorme propaganda usata come strumento dal sovrano che cercava di creare l’illusione di un potere assoluto che, nella realtà, era molto più limitato di quanto apparisse. 

Molte sono le similitudini che affiancano quel regno al nostro, e molte le differenze, ma sicuramente quel che risalta all’occhio è la risibilità e la bassezza dei governanti attuali rispetto a quelli passati, la degenerazione assoluta di quello che nasceva come Stato; l’onore, l’orgoglio, la dignità (che certo non spiccavano come doti principali anche all’epoca), sopraffatti, calpestati e assolutizzati nell’avarizia e nella cupidigia, i “benefici reciproci” trasmutati in vero e proprio ricatto perpetuo, la spartizione dei territori da gestire (oggi Comuni, Regioni, appalti, ecc.) diventata occasione dell’arraffare corruttivo, il rispetto verso il sovrano divenuto disprezzo. La grande rappresentazione scenica messa in atto da Luigi, utilizzata anche e forse soprattutto come propria legittimazione, risulta attuale, con il gran mezzo mediatico. Se entrambe sono da giudicare negativamente, la prima si delinea come più vera, o perlomeno più autentica; lì, in quel luogo, in quel tempo, trovava un suo senso. Oggi, il re e la sua corte si vivifica e si conclude come tale, come trasformazione goliardica della prima e come bieca e malsana imitazione.