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L'Italia nell'Europa della subalternità

di Luigi Tedeschi - 28/07/2014

Fonte: Italicum

 

 

Viviamo in un'epoca di apparenti mutamenti ma di di sostanziale stabilità. L'Italia è immobile, l'adesione alla UE e all'euro hanno determinato uno stato di perenne stagnazione economica, politica, morale, che assume le sembianze non di una stabilità istituzionale, ma che può semmai essere paragonata ad una condizione di rigor mortis. Questo è infatti lo status di un popolo incapace di reazione dinanzi alla perdita progressiva della propria sovranità, dei settori strategici della propria economia, con annessa disoccupazione che si espande a macchia d'olio, di uno stato sociale che garantiva certezze individuali e collettive.

Dopo il plebiscito pro – Renzi delle elezioni europee, scaturito più dalla pressoché assoluta assenza di opposizioni capaci di interpretare il diffuso dissenso presente nel paese, piuttosto che dal consenso su un programma di governo tuttora evanescente e confuso, sembra che l'immagine mediatica abbia creato un clima di fiducia e consenso del tutto apparente, ma comunque estraneo alla decadenza strutturale in cui versa il nostro paese.

Nonostante i verbosi proclami di Renzi in sede europea, in occasione della apertura del semestre  italiano alla presidenza del Consiglio dell'Unione Europea, l'Europa a giuda tedesca rimane ferma sulle sue posizioni.

 

Flessibilità in cambio di riforme

 

Si chiede all'Europa più flessibilità riguardo alla politica di austerità e al rispetto dei vincoli di bilancio, allo scopo di favorire la crescita ma, al di là di qualche vaga promessa della Merkel, occorre sempre tener presente che tali decisioni sono di competenza della Commissione europea. La rigidità dimostrata dalla Bundesbank riguardo al rigore finanziario rimane inalterata e non si vede quale istituzione politica in ambito UE possa validamente opporsi al potere dominante nella BCE della banca centrale tedesca. All'Italia si va promettendo da tempo flessibilità in cambio di riforme. Ma, al di là di concessioni più o meno ampie della commissione, i vincoli di bilancio legati agli accordi sul fiscal compact e sul pareggio di bilancio rimarranno comunque immutati. Il rispetto di tali vincoli comporta la devoluzione di larga parte delle risorse del paese alla UE, con conseguente sottrazione di esse allo sviluppo economico, agli investimenti, alle politiche sociali.

La flessibilità sul rispetto di tali parametri potrebbe comportare tempi più lunghi nell'adempimento degli obblighi assunti in sede europea (vedi pareggio di bilancio e fiscal compact), oppure lo sforamento temporaneo del rapporto del 3% tra deficit e Pil, ma rimane inalterata la struttura di un sistema finanziario vessatorio nei confronti dei paesi del sud della UE, che permangono in uno stato di recessione e di deflazione con effetti devastanti sulle loro fragili economie, sempre più deindustrializzate ed in calo permanente di consumi ed investimenti interni.

 

Riforme o smembramento dello stato?

 

Al di là della immagine rassicurante di un governo proteso alle riforme, la politica italiana rimane  ferma alla impostazione basata sul rigore finanziario, sulla elevata pressione fiscale e quindi sulla politica di austerità inaugurata dal governo tecnico di Mario Monti. Si sono succeduti altri due governi, ma le direttive politico – economiche sono rimaste le stesse. Lo spirito riformatore renziano, millantato per una svolta epocale del nostro paese, prevede riforme imposte dall'Europa onde rendere le nostre istituzioni adeguate a sostenere i vincoli finanziari europei.

L'Italia è afflitta dalla subalternità europea e dall'immobilismo interno. Il capitolo riforme ne dimostra l'evidenza. La riforma del senato che diverrebbe una assemblea composta da membri eletti dalle regioni e da sindaci, rappresenta una ulteriore devoluzione di poteri proprio a quegli organi della politica locale che hanno contribuito con una spesa dissennata e clientelare al degrado economico e politico dello stato. Gli scandali susseguitisi senza soluzione di continuità per decenni, sono esplicativi di tale stato di fatto. Si tenga inoltre conto del fatto che tra le attribuzioni di competenze del nuovo senato è previsto che esso debba votare la legge sul bilancio: il potere di condizionamento di regioni e comuni sullo stato in tema di finanza locale ne risulterebbe ampliato.

La stessa legge elettorale, con previsione di doppio turno e premio di maggioranza, presenta alte soglie di sbarramento per i partiti minori, onde prevenire la possibile nascita di nuove forze politiche sorte dal dissenso popolare. Le liste elettorali rimarrebbero sostanzialmente bloccate.

Lo spirito che anima tali riforme non è certo innovativo, ma semmai conservatore: si vuole  razionalizzare il sistema politico allo scopo di preservare la guida del paese da parte di forze  politiche (vedi PD), che garantiscano la omologazione dell'Italia al sistema oligarchico – finanziario europeo.

Ma l'argomento principe di questo presunto processo riformatore rimane la spending review. Si vuole in realtà, prendendo le mosse dalla conclamata inefficienza burocratica della pubblica amministrazione, destrutturare lo stato. Riducendo la sua sfera di influenza nella vita economica e civile del paese, tramite progressive privatizzazioni dei servizi, si vuole eliminare o quasi lo stato sociale e con esso, un modello istituzionale ritenuto non compatibile con quello del capitalismo anglosassone europeo. Appare evidente quindi che lo scopo finale delle riforme renziane è identico a quello voluto dal governo Monti. Il dissesto finanziario dello stato e l'abnorme debito pubblico non saranno certo risanati con la spending review, che, anziché incentivare la ripresa ne diverrà il principale ostacolo. In una fase economica congiunturale contrassegnata dalla recessione e dalla deflazione, tagli alla spesa pubblica avrebbero l'effetto di deprimere ulteriormente produzione  e consumo, accentuando la caduta verticale dell'economia italiana, anziché stimolarne la crescita. Infatti i tagli di spesa avrebbero un effetto moltiplicatore negativo sul Pil assai più ampio dei risparmi ottenuti attraverso la riduzione della spesa pubblica. Si dovrebbe invece intraprendere una politica di investimenti strutturali e di espansione della liquidità prescindendo dai vincoli europei,  per realizzare una crescita che renda sostenibile i tagli necessari alla spesa pubblica parassitaria. Si instaurerebbe in tal modo un circolo virtuoso che convertirebbe la devoluzione di risorse già impiegate nella spesa pubblica improduttiva e parassitaria in risorse destinate allo sviluppo. Tali sono le leggi economiche e il fallimento della spending review ha la stessa certezza e prevedibilità di una reazione chimica.

Gli obiettivi della politica del governo Renzi possono essere così riassunti: in cambio di una presunta flessibilità dei parametri europei, si debbono attuare riforme che comporterebbero  lo smembramento dello stato e dell'economia italiana. Al di là dei proclami e dell'ottimismo ufficiale, i dati recenti dell'economia italiana, che evidenziano il decremento della produzione industriale, l'aumento costante del debito pubblico e l'incremento verticale della disoccupazione. Tale realtà è inoppugnabile. Non può esserci infatti ripresa, in un contesto europeo di parametri finanziari che impediscono misure espansive. Uno stato costretto nell'euro – gabbia dei cambi fissi  e  dei parametri di Maastricht, non può emettere moneta per generare liquidità, non può svalutare la propria moneta per favorire la competitività e l'export e soprattutto, non avendo sovranità monetaria non può finanziare il proprio debito pubblico, oggi in larga parte detenuto dalla finanza internazionale. Anzi, lo stato oggi non finanzia la propria economia ma i propri creditori.

 

Subalternità italiana all'Europa e subalternità europea all'America

 

La euro – dipendenza dunque si accentua. I vincoli esterni hanno gravemente limitato la nostra sovranità. Ma la coscienza di questa progressiva colonizzazione economica e politica subita dall'Italia da parte di un'Europa germanizzata sembra assente sia nelle istituzioni che nel popolo. Anzi, la vulgata mediatica professa la seguente tesi: le riforme in Italia sono finalmente realizzabili grazie ad un vincolo esterno che le impone. Trattasi quindi di subalternità cosciente, di un popolo incapace di autodeterminarsi. Riemerge un atavico complesso di inferiorità di un popolo in perenne attesa messianica di un redentore esterno. In tal modo l'Italia plaude a riforme imposte dall'Europa, ma che nessuno in Italia ha proposto e votato. Soprattutto non c'è alcuna percezione della dannosità di tali riforme, concepite in funzione di un disegno di asservimento dei popoli europei alla supremazia finanziaria tedesca. Ci si impone peraltro un modello economico che prevede una crescita incentrata sull'export. Ma tale modello di crescita, come è già accaduto in tutto il continente europeo, determina, insieme con lo sviluppo dell'export, una parallela decrescita dei consumi interni e, in un paese come l'Italia già afflitto da recessione e deflazione interna, tale prospettiva non può che sortire effetti devastanti. Si aggiunga poi che la crescita dovuta all'export ha modeste ricadute sulla crescita dell'economia interna.

Tuttavia, la subalternità ai vincoli esterni non è solo italiana. Anzi, essa si inserisce in un contesto politico europeo fondato sulla subalternità storica ormai consolidata dell'Europa agli USA. L'Europa non è infatti un soggetto autonomo in politica estera. Il suo modello economico, politico e culturale è subalterno agli USA. L'Europa ha rinunciato, oltre che alla sua sovranità , anche alla sua storia e alla sua identità. Anziché assumersi le proprie responsabilità quale soggetto autonomo nel consesso mondiale, invoca protezione e subalternità agli USA. L'Europa preferisce delegare la propria sovranità internazionale agli USA in cambio protezione e deresponsabilizzazione. L'Europa vuole salvare sé stessa e i propri interessi, confidando nel protettorato USA. Tale fiducia, dopo i clamorosi insuccessi delle guerre espansionistiche americane, si è rivelata assai ingannevole: un'Europa omologata agli USA sconterà essa stessa le responsabilità degli errori americani. L'Europa si è resa responsabile peraltro di scelte contrarie ai propri interessi geopolitici, assecondando i disegni imperialistici dissennati degli USA (vedi rivoluzioni colorate e primavere arabe), i cui effetti devastanti nel vicino oriente sono evidenti. Così come l'Europa ha condiviso la strategia americana di aggressione alla Russia attraverso il colpo di stato in Ucraina, al solo scopo di guadagnare aree di espansione economica ad est, in subordine certo agli Stati Uniti. L'Europa è venuta meno al suo ruolo di potenza equilibratrice, la cui assenza si è manifestata in tutta la sua evidenza in medio oriente.

 

Macrocosmo e microcosmo della subalternità globale

 

E' comunque rilevabile una trasparente continuità tra il macrocosmo globale della politica estera e il microcosmo della società italiana, in tema di subalternità, conformismo, disgregazione sociale. Infatti il successo elettorale di Renzi rappresenta non un plebiscito di consenso, ma di acquiescenza. La nuova antropologia sociale ha come valore fondante l'adeguamento, l'inserimento in una realtà economica e politica imposta. L'attuale società è ispirata alla acriticità dei comportamenti, ad una socialità subalterna agli equilibri oggettivi creati dall'esterno, ad una omologazione perenne e mai del tutto compiuta in una realtà in continua evoluzione. E' questo un aspetto rilevante dello sviluppo pressoché totalitario dell'ideologia del progresso affermatasi parallelamente all'espandersi del capitalismo globalizzato. Il progresso è infatti una ideologia di matrice positivista che prevede un processo evolutivo che segue una linea retta ascendente, i cui sviluppi sono illimitati. Pertanto il destino dell'uomo si riassume nella omologazione alle trasformazioni realizzate dal progresso. Da tali considerazioni appare evidente, come diretta conseguenza, l'imporsi di una precarietà, oltre che economica (lavoro precario legato agli equilibri del libero mercato), anche esistenziale, per quanto concerne i valori e i rapporti sociali.

Il mantra ideologico liberista è fondato sulla precarietà globale perenne, in un contesto socio – economico che impone grandi sfide e sempre nuove opportunità, cui fa riscontro la necessità di sopravvivenza di masse condannate all'adeguamento e alla omologazione sociale. La società capitalista globale nelle sue evoluzioni non è inclusiva, ma elitaria e discriminatoria. Sulla base ideologica individualistica promuove il riconoscimento in senso cosmopolita  - globale dei diritti dell'uomo. Uomo in quanto individuo. Il capitalismo produce dunque l'atomizzazione di un uomo destoricizzato e desocializzato, sintetizzato nella figura del produttore – consumatore. Disconosce invece i diritti sociali, le aggregazioni dei soggetti collettivi, i corpi intermedi spontanei presenti nella società, destabilizza le istituzioni comunitarie, per imporre poi l'omologazione alle strutture economiche del mercato, pena la fine della sopravvivenza.

Costatiamo però che il modello capitalista vincente in occidente in varie parti del mondo viene messo in discussione e rifiutato dai popoli. Le avventure armate americane e l'esportazione globale della democrazia si sono rivelate fallimentari. Esiste una prevedibile possibilità di riscatto anche per l'Europa? Probabilmente si, dato il successo recente degli euroscettici, ma al momento non  sono prevedibili né i tempi né i modi.