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Il Pil non misura la vita

di Roberto Ciccarelli - 25/08/2014

Fonte: Il Manifesto


Crescita. Tommaso Rondinella (Sbilanciamoci): «Esistono anche molti altri indicatori. Il problema non è includere nel Pil droga e prostituzione, ma la politica economica che insegue l’aumento della produttività a tutti i costi»

Ha creato un vespaio di pole­mi­che l’introduzione dell’economia ille­gale com­po­sta da droga, pro­sti­tu­zione, alcol e con­trab­bando nel cal­colo del Pro­dotto interno lordo (Pil). Il governo ha posti­ci­pato la pub­bli­ca­zione della nota di aggior­na­mento del Def al primo otto­bre in attesa di con­ta­bi­liz­zare a set­tem­bre un’incremento del Pil di circa il 2% (32 miliardi di euro).

«Nel Pil è già com­preso il cal­colo dell’economia som­mersa, cioè dei pro­venti dalle atti­vità legali che si svol­gono in nero – afferma Tom­maso Ron­di­nella, ricer­ca­tore e col­la­bo­ra­tore della Cam­pa­gna «Sbi­lan­cia­moci» — L’idea di inclu­dere l’economia ille­gale risale ad una deci­sione euro­pea del 1995 ed esclude alcune parti che non deri­vano da uno scam­bio di beni e ser­vizi come l’estorsione, la cor­ru­zione e l’usura. Verrà cal­co­lato anche il valore dei sistemi d’arma. Da spese inter­me­die della difesa ver­ranno con­si­de­rati come inve­sti­menti e andranno a som­marsi al Pil. Lo stesso acca­drà per gli inve­sti­menti per la ricerca e lo sviluppo».

Il traf­fico della droga, lo sfrut­ta­mento della pro­sti­tu­zione o il con­trab­bando non sono il pro­dotto di reati?

Il pro­blema esi­ste e nasce quando noi usiamo il Pil come misura del benes­sere. Invece il Pil misura la quan­tità di beni e ser­vizi scam­biati in Ita­lia durante l’anno. Dal punto di vista eco­no­mico che io venda arance o cocaina non c’è dif­fe­renza. È giu­sto porre un’obiezione dal punto di vista legale, ma que­sto diventa un ter­reno sci­vo­loso se si para­gona la nostra situa­zione a quella olan­dese dove le dro­ghe leg­gere sono legali oppure alla Ger­ma­nia dove la pro­sti­tu­zione è un’attività rico­no­sciuta in quanto pro­duce red­dito e per que­sto viene cal­co­lata nel Pil. L’altro pro­blema è quello etico: si dice che que­ste atti­vità non dovreb­bero essere con­tem­plate dal Pil. Ma il Pil con­tiene già l’economia som­mersa come il capo­ra­lato nei campi di pomo­doro pugliesi, un’attività som­mersa fon­data sullo sfrut­ta­mento della mano­do­pera in assenza di con­tratti e diritti. In più il Pil cre­sce gra­zie alle atti­vità inqui­nanti che pro­du­cono un danno per la società. Il nostro pro­blema non è chie­dersi se sia giu­sto inclu­dere le atti­vità ille­gali nel Pil, ma se sia giu­sto repu­tare il Pil un indi­ca­tore di benes­sere del nostro paese e se sia giu­sto che la poli­tica si ponga l’obiettivo di mas­si­miz­zare la crescita.

La poli­tica potrebbe essere incen­ti­vata a non con­tra­stare que­sti reati per aumen­tare la cre­scita che resterà a lungo «anemica»?

In pas­sato atti­vità come il danno ambien­tale non sono state con­tra­state pro­prio per soste­nere il Pil. La pro­mo­zione della cre­scita eco­no­mica a tutti i costi ha por­tato a distrug­gere interi eco­si­stemi. Ma quando andremo a misu­rare le atti­vità ille­gali, i cit­ta­dini saranno in grado di con­trol­lare la poli­tica in base alla sua capa­cità di con­tra­stare il traf­fico di droga. Sarà dif­fi­cile per un poli­tico van­tarsi di un aumento del Pil otte­nuto gra­zie all’economia illegale.

Que­sto signi­fica che nella misu­ra­zione della ric­chezza non conta più lo sta­tus giu­ri­dico o pro­fes­sio­nale di chi pro­duce ma solo il valore della ric­chezza prodotta?

È pro­prio que­sto che si vuole misu­rare e credo che sia giu­sto farlo nella sua com­ple­tezza, poi restano i pro­blemi giu­ri­dici ed etici. Il traf­fico di droga o lo sfrut­ta­mento della pro­sti­tu­zione non smet­te­ranno di esi­stere solo per­ché sono stati inse­riti nel Pil. Si discu­terà di even­tuali lega­liz­za­zioni affin­ché que­ste atti­vità siano con­trol­late e pro­du­cano get­tito per l’erario. Ma par­liamo di pro­blemi cul­tu­rali com­plessi molto più rile­vanti della sem­plice com­po­nente economica.

Da tempo si discute di indi­ca­tori alter­na­tivi. Quali sono i prin­ci­pali e come funzionano?

L’idea per cui il Pil non sia suf­fi­ciente per misu­rare il benes­sere e lo svi­luppo è nota da decenni. Esi­stono mol­tis­simi indi­ca­tori come l’indice di svi­luppo umano delle Nazioni Unite, il Benes­sere equo soste­ni­bile (Bes) adot­tato dall’Istat e dal Cnel o l’Indice di Qua­lità dello Svi­luppo Regio­nale (Quars) di Sbi­lan­cia­moci. Sono costi­tuiti da una serie di indi­ca­tori che misu­rano la salute, l’istruzione, l’ambiente, le rela­zioni sociali, lo svi­luppo di un ter­ri­to­rio e cer­cano di guar­dare alla com­ples­sità di un feno­meno come il benes­sere, anzi­ché ridurlo ad un pro­blema eco­no­mico. Que­ste misure dovreb­bero diven­tare il fine ultimo della poli­tica invece della mas­si­miz­za­zione della produzione.

Era l’obiettivo della com­mis­sione Sti­glitz voluta nel 2008 da Sar­kozy. Le sue rac­co­man­da­zioni ver­ranno mai applicate?

Nella sta­ti­stica lo sono state e da parte di Euro­stat le si vuole adot­tare. Chi si occupa di poli­ti­che ambien­tali o di poli­ti­che sociali cono­sce que­sti temi. Chi si occupa di soste­ni­bi­lità del debito come i mini­steri dell’economia in Europa pro­ba­bil­mente meno. Gran parte delle poli­ti­che neo­li­be­ri­ste hanno con­si­de­rato solo l’aumento del Pil e non l’aumento del benes­sere dei cittadini.